Antonella Tarpino è una storica, pubblicista ed editor. Negli ultimi anni si è concentrata sul tema della memoria e del paesaggio, in particolare dei suoi aspetti marginali e dimenticati. Tra i suoi scritti: "Il paesaggio fragile. L'Italia vista dai margini" (Einaudi, 2016) , "Spaesati. Luoghi dell'Italia in abbandono tra memoria e futuro" (Einaudi, 2012 - Premio Bagutta), "Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi, 2007).
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Quel mondo legato all’industria del turismo dello sci, che non ha retto alle prime avvisaglie del cambiamento climatico con le stagioni accorciate e i costi in fibrillazione ora in profonda metamorfosi nella stagione dell’Antropocene, è il protagonista di un libro corale che ci rivela una montagna davvero “disincantata”, e per questo aperta anche a esperimenti virtuosi.
Ormea è un borgo di mezza montagna tra il Piemonte e la Liguria le cui frazioni, un tempo povere ma piene di vita, sono state gradualmente abbandonate. Come tanti borghi del mondo dei vinti descritto da Nuto Revelli. Un appassionato racconto di Fabio Balocco ripercorre quella storia e anticipa la scommessa del ritorno (o della “restanza”): unica speranza per i “troppo vuoti” delle aree interne.
Nel più recente libro di Alberto Magnaghi, “Il principio territoriale”, il concetto di Territorio esce dalla genericità e assume dignità di visione e progetto per una resistenza attiva contro il degrado in atto. In questa visione il territorio, in quanto “bene comune”, si fa caposaldo di una conversione dell’economia che la riporti alla sua natura originaria di «arte dell’abitare».
Nel recente libro di Marija Stepanova, Memoria della memoria, l’atto del ricordare diventa “ricerca di giustizia” nel punto in cui passato e presente sono spinti a confrontarsi generando una “sete inesausta”, un “prurito che lacera dall’interno” spingendoci a cercare per avere risposte, soprattutto se si tratta di vittime di cui solo noi possiamo prenderci cura.
Lavoriamo tutti in remoto: ma remoto non è una figura del tempo, anzi del passato? Il nostro presente dispotico si scopre insidiato da altre, remote, forme del tempo. E noi impariamo che il tempo non può essere ridotto a solo prodotto industriale. Non è la fine del mondo, ma la “fine di un mondo”, come dice Sennet, questo sì.
Non lasciamo che l’unica voce udibile contro la distruzione dei luoghi sia quella delle retoriche populiste e sovraniste. Come ci mostra un recente libro di Anna Marson, il territorio è ben altro rispetto al valore finanziario dei terreni edificabili. Un principio che troppo spesso le amministrazioni di ogni colore tradiscono.
Con la fine dell’era dei testimoni si è assistito a un crescendo di memoria mediatizzata e a una progressiva amnesia della tragicità della Shoah e della lotta di Liberazione che sancì la sconfitta dei fascismi. Si può dimenticare anche ricordando in modo troppo esteriore. Dobbiamo rispondere riavvicinando storia ed esperienza quotidiana.
Il libro di un giovane storico aiuta a riflettere sulla parabola dell’antifascismo nel discorso pubblico, dall’egemonia degli anni Sessanta e Settanta alla damnatio dell’epoca dell’edonismo e della rivincita delle destre fino alle piazze delle Sardine che cantano Bella ciao. Un percorso nella memoria e nella non-memoria quando la Storia si fa storie.
Il recente libro di Alberto Saibene, Il paese più bello del mondo, ricostruisce il percorso attraverso cui un “gruppo di uomini moderni che rispettano l’antico” si sono presi cura del nostro patrimonio artistico e ne hanno salvato alcuni gioielli: è la storia del FAI e della sua avventura in un Paese in ampia parte incivile.
Storia senza perdono, il più recente libro di Walter Barberis, ci conduce nel cuore della memoria tragica del secolo, dove prende forma quel paradosso di sovrabbondanza e caduta, di eccesso (di esperienza non elaborabile) e insieme di impotenza (di perdita di senso da comunicare) proprio del nostro complesso ricordare.