Memoranda/ Memoria come ricerca di giustizia

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L’utopia di un tempo “salvato” sta dietro ogni operazione di memoria – ammonisce Marija Stepanova nel suo recente Memoria della memoria uscito per Bompiani. Però senza un’istanza di salvezza, che non è propria delle società secolari, nel con-servare si  lascia cadere il prefisso e l’atto si riduce a una forma di custodia convenzionale e limitata. Conservare o custodire comunque rimandano a un’immagine potente del passato, sulle cui orme la poetessa e scrittrice russa si pone alla ricerca della sua cosmopolita famiglia di origine ebraiche, in un romanzo fortemente evocativo.  Quel passato che a differenza della memoria è smisurato, sovrabbondante, una piena o un diluvio e può provocare nella quantità e nella discordanza delle fonti, “gorgoglianti di rivoli a destra e a sinistra” una sorta di nausea, smarrimento: lo stesso che coglie l’uomo di città al cospetto della natura nuda e cruda  Oscuro, e costantemente in movimento.

Per riportarlo a terra è inevitabile drenarne il volume vivente, alla Benjamin, nei canali della narrazione. Spesso, tuttavia, gli esercizi di comprensione del passato assomigliano a quei testi per bambini dove bisogna raccontare una storia partendo da una data immagine, disegnando una figura basandosi su tre, quattro puntini: “un’occhio, una coda, una zampa”. Il passato non ci appartiene più ma insieme è inscindibile da noi: sorta di “oggetto transazionale” (come un orsetto per un bambino) attraverso il quale  è possibile invece  formarsi una visione del mondo. Non a caso il termine ebraico Zakhor di uno studioso come Yerushalmi esprime l’esigenza di non dimenticare che coincide però con “il dovere di non prescindere dalla propria storia”.

Il passato è talvolta un’ invenzione (rifacendosi a Orhan Pamuk) nei giochi illusivi del Pittoresco: quando i nostri occhi trovano conforto nella desolazione di edifici e borghi caduti in rovina, o nei cortili deserti divorati dalla vegetazione. In quel tempo neutro che non appartiene né a noi, né al passato di chi li ha abitati. Quegli edifici diventano pittoreschi solo dopo che la storia li ha dotati “di una bellezza non premeditata”. Lo stesso si può dire di fronte a letti, vestiti, scarpe e cappelli venuti a noia ma che mentre svaniscono si riempiono d’incanto di una nuova “ultraterrena luminosità”. E’ il gusto del vintage mediante il quale, si può dire, non entriamo nella vita passata ma ci intrufoliamo giocando ai vecchi tempi mentre ce ne allontaniamo irreversibilmente.

Anche la memoria, a sua volta, è per la Stepanova, oscurità inconoscibile, piovosa, illuminata da “alterni lampi di congettura”. Si basa per lo più non sulla conoscenza ma sulle “coemozioni” (il cum del con-servare?) dei “cosentimenti”, dell’esperienza assordante del dolore che esige partecipazione. Dolore del ricordo. E’ nel tempo ambivalente della memoria che si consuma – rifletto a questo proposito – la dimensione dolceamara del ricordare. Ciò che si rinnova in fondo, attraverso l’operazione memore, é insieme un atto di scoperta e di sofferenza  per tutto ciò che non siamo più. “Sento il tempo come un enorme dolore” confessava lo stesso Fernando Pessoa: un serbatoio melanconico di abbandoni.

E’ lì, per tornare a Stepanova, nel punto in cui la memoria spinge passato e presente a confrontarsi, che l’atto del ricordare diviene “ricerca di giustizia”. Come una sete inesausta, “un prurito che lacera dall’interno” costringendoci a cercare, ad avere risposte, soprattutto se si tratta di morti di cui nessuno può prendere le parti se non noi (e qui il riferimento ai tanti familiari finiti nei crematori è forte). Memoria e giustizia. Vien da concludere con la riflessione della Stepanova quando afferma che all’orecchio russo la parola tedesca Erinnerung, memoria, è fortemente evocativa del volo delle Erinni, divinità vendicative che ricordano e perseguitano i colpevoli in ogni parte del mondo…

Gli autori

Antonella Tarpino

Antonella Tarpino è una storica, pubblicista ed editor. Negli ultimi anni si è concentrata sul tema della memoria e del paesaggio, in particolare dei suoi aspetti marginali e dimenticati. Tra i suoi scritti: "Il paesaggio fragile. L'Italia vista dai margini" (Einaudi, 2016) , "Spaesati. Luoghi dell'Italia in abbandono tra memoria e futuro" (Einaudi, 2012 - Premio Bagutta), "Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi, 2007).

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