Care compagne e cari compagni del movimento No TAV e dei movimenti, indecisi o intenzionati a votare SÌ,
vorrei condividere con voi qualche riflessione, lasciando un po’ da parte l’abito della costituzionalista e delle ragioni più “tecniche”, e ragionando nell’orizzonte di un percorso di lotta condiviso (pensando, peraltro, che di tale cammino la Costituzione, mai attuata, sia compagna).
La democrazia rappresentativa, e l’organo che più di ogni altro la sostanzia, il Parlamento, non godono, da decenni, di buona salute. Non solo. La rappresentanza di per sé è un medium, che facilmente degrada in rappresentazione e maschera una gestione del potere oligarchica, dalle e per le élites. Siamo d’accordo, penso. La virata del sistema elettorale in senso maggioritario, dal 1993, e, parallelamente, la trasformazione dei partiti, che hanno perso ogni tensione ideale e raccordo con la società, divenendo mere macchine elettorali (partiti liquidi e catch all) hanno acuito la distanza fra la società, i rappresentanti e le istituzioni. La torsione in senso maggioritario della democrazia si accompagna – e non è un caso – a una crescente espansione e arroganza delle istanze neoliberiste, con le privatizzazioni e le liberalizzazioni, la progressiva dismissione della garanzia dei diritti sociali, la medievalizzazione del diritto del lavoro; dilaga in ogni ambito il modello dell’homo oeconomicus. Le istituzioni rappresentative appaiono sempre più etero-dirette, asservite agli interessi del finanzcapitalismo e occupate da una classe politica imbarazzante e prona.
Perché, dunque, dire no alla riduzione del numero dei parlamentari?
Accantoniamo l’argomento del risparmio, la cui insignificanza, erroneità e inadeguatezza, è ormai evidente, così come la falsa e infondata speranza che un semplice taglio migliori la qualità della classe politica e lasciamo da parte anche le posizioni “tattiche” dei partiti, perché considerazioni sulla riforma della Costituzione non possono essere appiattite su più o meno squallide manovre per restare o arrivare al Governo di turno (https://volerelaluna.it/referendum/2020/09/02/referendum-qualche-risposta-ai-fautori-del-si/).
Qual è la ratio del Parlamento? Il Parlamento è/dovrebbe essere il luogo dove, attraverso la rappresentanza e i rappresentati, si elaborano norme e politiche mediante l’ascolto, lo scontro e la mediazione, tra rivendicazioni, proposte e visioni del mondo differenti. D’accordo, non è così da molto tempo, ed è difficile rintracciare un’età dell’oro in cui questo è avvenuto. I movimenti, dai movimenti territoriali, il No TAV per tutti, ai movimenti per la casa, per i diritti dei migranti, per l’ambiente, contro lo sfruttamento del lavoro, spesso incontrano nelle istituzioni il proprio antagonista: i movimenti nascono contro decisioni assunte dalle istituzioni o si scontrano con le istituzioni nel loro percorso. Incontrano repressione, non ascolto.
Ancora: i movimenti integrano direttamente l’essenza della democrazia, la partecipazione; danno vita alla democrazia dal basso, un’altra forma di democrazia rispetto a quella rappresentativa. Ora, senza dubbio la democrazia rappresentativa ha molte pecche, strutturali e storiche, e, altrettanto senza dubbio, ha bisogno di essere innervata e resa viva da tutte quelle forme di auto-organizzazione che attraversano la società. Quanto mai oggi, nell’era della global economic governance, con le tentazioni autoritarie che essa veicola, con i rischi che si annidano nella strumentalizzazione di supposte “necessità” correlate all’emergenza del Covid-19, è imprescindibile l’esistenza di movimenti indipendenti, esterni rispetto alle istituzioni, portatori di valori e rivendicazioni alternative.
I movimenti sono un «potente correttivo» delle istituzioni democratiche (Luxemburg), così come la via per una «democrazia insorgente» (Abensour), ma ridurre i parlamentari non è un passo verso una forma di democrazia sostanziale ed effettiva; amplifica, non riduce, i difetti della rappresentanza. Tagliare i parlamentari non è un “colpo al sistema”, ma è un colpo del sistema contro i territori, contro chi si oppone al pensiero unico, contro chi crede che «ogni euro speso per il TAV è un euro sottratto a qualcosa di utile per tutte e tutti: scuola, sanità, cura del territorio, edilizia popolare».
Camere ridotte non ovviano alla pochezza di una classe politica, non rovesciano il servilismo verso i diktat di un neoliberismo che si tinge vie più di autoritarismo, non avvicinano rappresentanti e rappresentati; al contrario, sono parte di un disegno che mira a espellere il conflitto sociale, attraverso la sua negazione, la sua repressione, la sua emarginazione. La riduzione dei componenti del Parlamento è un passo verso un sistema dove il potere è sempre più concentrato, verso la realizzazione di una governabilità (https://volerelaluna.it/controcanto/2020/02/13/diminuire-i-parlamentari-non-aiuta-la-democrazia/), indifferente o, meglio, ostile alla possibilità che in Parlamento possano trovare rappresentanza e ascolto prospettive e domande non in linea con il profitto elevato a grundnorm.
Il NO al referendum, dunque, è un no per sostenere che esiste un conflitto sociale e che non è stato vinto da una parte, per rivendicare spazi politici; è un NO, se allarghiamo lo sguardo, «dalla parte degli oppressi», nella prospettiva di immaginare e lottare per un mondo diverso, in direzione contro-egemonica. Certo, questo referendum è solo una piccola battaglia, non decide le sorti della democrazia, ma il SÌ è una trappola, che cogliendo facili impulsi populisti e sfruttando le pessime prove rese dai rappresentanti, prosegue nella restrizione degli spazi del pluralismo e del dissenso.
Spero di incontrarvi ancora una volta in direzione ostinata e contraria.