Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Torino, studia da sempre i temi dei diritti fondamentali e delle forme di partecipazione politica e di democrazia diretta con particolare attenzione alla loro concreta attuazione. Tra i suoi molti scritti: "Diritto proteiforme e conflitto sul diritto" (Giappichelli, Torino, 2018) e “Democrazia, rappresentanza, partecipazione. Il caso del movimento No Tav” (Jovene, Napoli, 2011).
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La guerra cancella il pluralismo e il dissenso, semplifica e omologa la realtà, verticalizza le decisioni, chiude le possibilità di cambiamento, travolge l’espressione del conflitto e le istanze di emancipazione. Mobilitarsi per la pace è quindi anche agire per una democrazia pluralista e conflittuale, per un progetto di trasformazione della società nell’orizzonte della giustizia sociale.
Di fronte al dilagare di manifestazioni e movimenti fascisti una risposta democratica ed efficace deve articolarsi su più piani. Va applicato il divieto costituzionale di «riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il disciolto partito fascista». Ma non basta. Occorre contrastare il liberismo e costruire una democrazia conflittuale, pluralista e sociale, che è l’unico vero antidoto contro ogni autoritarismo.
Il 25 aprile non può essere una festa stanca e rituale. Il suo significato è la reiterazione dell’impegno per l’attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza. Una costituzione che tiene insieme democrazia politica, diritti per tutti e pace e che è il naturale riferimento per le lotte “dal basso” tese, su vari fronti ma nella stessa direzione contraria, a costruire un’alternativa, un’utopia concreta.
L’articolo 6 del disegno di legge sulla concorrenza consente al mercato, cioè ai privati, di estendersi nel settore dei servizi pubblici rendendo marginale il ruolo dei Comuni. Eppure il disegno costituzionale è un altro: quello di assicurare a tutti la fruizione dei diritti fondamentali. Per questo è in atto una campagna per lo stralcio dell’articolo dal disegno di legge
Lo scenario politico, all’indomani della elezione del presidente della Repubblica, presenta due caratteristiche univoche: l’appiattimento sul presente e la mancanza del senso del limite. Scompare il futuro da costruire e immaginare, in un sistema ricompattato, cieco alle diseguaglianze sociali e alla catastrofe ambientale e violento contro chi non lo accetta.
Viviamo in una Repubblica che c’è nel disegno costituzionale ma non nella realtà. Mancano forze politiche che vogliano rendere la Costituzione un programma concreto, e vi sono forze che mirano a stravolgerla, sostituendo la centralità del Parlamento con un processo di verticalizzazione del potere. La Costituzione tuttavia è una utopia concreta; proviamoci.
Nelle mobilitazioni “no green pass” emergono posizioni assai distanti dalla prospettiva solidaristica della Costituzione. Ma il loro superamento richiede una paziente ricostruzione del legame sociale, cioè l’opposto della criminalizzazione imperante, che ignora ‒ e alimenta ulteriormente ‒ la disgregazione, il disagio e la sfiducia nelle istituzioni.
Che fare? Come invertire rapporti di forza mostruosamente sbilanciati, creando un’alternativa e forze materiali (sociali e politiche) in grado di contrapporsi al sistema neoliberista penetrato in tutti i gangli della società? La risposta è obbligata: costruire reti dal basso che propongano e, insieme, pratichino alternative e che sappiano immaginare e agire, sul territorio e nei grandi conflitti globali.
Il direttore di “la Repubblica” accusa i No Tav di essere dei terroristi. In quelle parole non c’è solo una macroscopica diffamazione. C’è anche l’arroganza del potere che non tollera il dissenso e che vuole espellere dalla scena chi non si adegua al modello dell’uomo omologato e competitivo. Per questo le querele del movimento No Tav sono doppiamente importanti.
L’Università è un’azienda! L’allegra affermazione condiziona la gestione degli atenei e il PNRR: l’università si struttura come un’azienda e il suo interlocutore privilegiato sono le aziende. Ciò indebolisce la ricerca di base, annulla il pensiero critico, produce un’impropria concorrenza tra atenei. Che fare? Cominciare, almeno, a rompere il silenzio.