TAV. Venaus 14 anni dopo

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L’8 dicembre 2005 è stata una data spartiacque nella trentennale vicenda dell’opposizione alla Nuova linea ferroviaria Torino-Lione e del Movimento No Tav.

Due giorni prima, la notte del 6 dicembre, le forze di polizia erano intervenute per sgombrare il presidio allestito sui terreni nei quali si sarebbero dovuti effettuare i sondaggi propedeutici allo scavo del tunnel di base della nuova linea. L’intervento era stato particolarmente brutale con quindici presidianti feriti (alcuni dei quali con lesioni serie) e distruzione delle tende. Scriverà, sul punto, il giudice per le indagini preliminari di Torino nel decreto di archiviazione 16 giugno 2009 che «numerosi fatti costituenti i reati di lesioni personali volontarie (talora concorrenti con il delitto di violenza privata) e percosse sono stati perpetrati da operatori di polizia. Ciò risulta incontestabilmente dalla descrizione fornita dai manifestanti riscontrata dalle certificazioni mediche: infatti tra le 21 persone che hanno presentato querela […] e gli altri 14 manifestanti identificati […] ben 18 (la metà) risultano essersi recati in ospedale per ricevere cure ([… mentre] tutti gli agenti ai quali sono stati rilasciati i certificati medici allegati all’annotazione Digos Questura Torino – con cui sono stati trasmessi gli atti relativi allo sgombero del cantiere Tav di Venaus del 6 dicembre 2005 – risultano essere stati feriti in altre circostanze») e addirittura 23 di essi riferiscono specificamente di essere stati percossi dagli agenti, senza ragione, con manganellate, anche ripetutamente».

Nei giorni successivi la valle si fermò e l’8 dicembre un corteo di 40.000 persone, partito da Susa sotto la neve, aggirò gli sbarramenti, arrivò a Venaus, abbattè le reti di recinzione installate dopo l’intervento della polizia e rioccupò l’area del cantiere piantando sui terreni le bandiere No Tav.

Quel giorno ha lasciato il segno: da un lato rinsaldando il rapporto tra le diverse componenti del movimento di opposizione (dai sindaci ai valligiani, dai centri sociali di Avigliana e Torino agli ambientalisti), dall’altro provocando una sfiducia e una diffidenza nei confronti delle istituzioni centrali e regionali e delle forze di polizia che si sono rafforzate negli anni.

Da allora ogni anno, con la neve o con il sole, un imponente corteo ripercorre la strada che da Susa porta a Venaus. Non è un amarcord, anche se il ricordo di quanto è stato ha – come ovvio – una parte importante. Non è un semplice amarcord ma un evento capace, ogni anno, di rinnovarsi, nei contenuti e nei partecipanti.

Anche quest’anno è stato così. Almeno 15.000 persone (persino La Stampa è stata costretta a parlare di 9.000…) hanno sfilato per ore. Soprattutto valligiani, ma anche torinesi e consistenti delegazioni provenienti dalla Francia e dalla Spagna. Un serpentone colorato lungo chilometri, con donne, uomini, vecchi, bambini e migliaia di bandiere, di cartelli, di striscioni combattivi, ironici, irridenti nei confronti di istituzioni e politici che definiscono “chiusa” la questione del Tav ma che, intanto, non riescono a procedere neppure di un metro mentre il movimento No Tav è sempre vivo, più vivo che mai.

Due, quest’anno, le parole d’ordine più forti: la critica contro la repressione che conosce un nuovo momento di grande intensità (cfr. La vicenda esemplare di Luca… e Intervista a Nicoletta Dosio…) e la sottolineatura del collegamento dell’opposizione al Tav con la più generale mobilitazione contro i cambiamenti climatici in atto e per politiche attente a un diverso modello di sviluppo. Lo ha ricordato Alberto Perino all’inizio della manifestazione: «Il TAV è un ecocidio. Uccideranno l’ambiente. Dicevano che siamo morti, ci hanno messi in galera per farci tacere. Ma noi siamo ancora qui. Per dire no al TAV, per salvare il pianeta e per la casse esauste del nostro povero Paese. Siamo qui per quei ragazzi che sono in prima linea e che non c’erano 14 anni fa. Ma che hanno capito l’importanza della nostra lotta».

Con il Movimento e con i sindaci hanno sfilato in molti quest’anno, dalla Fiom a Legambiente, il cui presidente regionale Giorgio Prino ha diramato un comunicato in cui si legge: «Le ferite dei nostri territori ci dimostrano ancora una volta che la crisi climatica impone dei cambiamenti urgenti nelle priorità non solo dell’agenda politica internazionale, e la Conferenza sul clima in corso a Madrid è un importante banco di prova su questi temi, ma anche di quella nazionale e locale. Le opere che davvero servono all’Italia e al Piemonte sono altre, non certamente il TAV la cui utilità, dopo decenni di discussione, resta ancora tutta da dimostrare». Ma soprattutto hanno sfilato – aprendo il corteo – molti giovani di Friday for Future Val Susa. A dimostrazione di due cose fondamentali: che il movimento No TAV non è isolato (ma, al contrario, è in piena sintonia con la rinascita che attraversa il mondo intorno all’emergenza climatica) e che una nuova generazione di giovani si sta preparando a prendere il testimone della protesta, che durerà a lungo. «Sarà düra» (ovviamente per chi vuole il TAV) come dice uno degli slogan del Movimento.

Ancora una volta una grande giornata di lotta, di festa, di consapevolezza. Una risposta a chi ripete con la grancassa (forse per autoconvincersi) che i giochi sono fatti. Una risposta anche al lettore de La Stampa che, commentando criticamente, sul sito del giornale, la manifestazione di ieri aggiunge: «Dimostrino che la TAV è un ecocidio e che produrrà un inquinamento enormemente superiore a quello delle migliaia di camion che percorrono giornalmente la Valle. Allora “noi massa” potremo unirci consapevolmente alle proteste No TAV e anche i politici avranno in mano una valido motivo ecologico per fermare per sempre la costruzione di tale linea ferroviaria». La dimostrazione sta nei dati del Quaderno n. 8 dell’Osservatorio Torino-Lione del Governo italiano da cui risulta che scavare ex novo le gallerie della linea ferroviaria aumenterebbe le emissioni di CO2 fino al 2038, quando probabilmente non ci sarà neppure più un ghiacciaio sulle Alpi e sarà impossibile tornare indietro (vedi: Chi applaude Greta e vuole il TAV non la racconta giusta). Se il commento è sincero non è da escludere che un giorno – sperabilmente vicino – le “masse” si uniscano consapevolmente alle protesta No TAV (mentre per i politici lasciamo perdere…).

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