1. In Italia il sindacato era forte quando il sistema di lavorazione industriale era quello fordista: da questo punto di vista è significativa la rievocazione dell’accordo FIAT del 1971, fatta da Adriano Serafino (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/12/20/50-anni-dopo-laccordo-che-cambio-le-relazioni-sindacali-alla-fiat/). La condizione materiale di lavoro permetteva più facilmente ai lavoratori di cogliere la condivisione di problemi e di possibili soluzioni nella dimensione della fabbrica di massa, dove le condizioni erano oggettivamente comuni e le rivendicazioni egualitarie; questa situazione oggettiva era il presupposto per la sindacalizzazione e anche per la condivisione di un progetto politico che stava alla base dell’azione del sindacato. In questo senso il sindacato faceva politica. Naturalmente c’erano anche altri fattori economici e politici, interni e internazionali, che aiutavano, ma lasciamoli da parte per concentrarci su cosa dovrebbe cambiare nel sindacato oggi.
2. Sappiamo tutti cosa è cambiato da allora ad oggi dal punto di vista dell’organizzazione della produzione e del mercato del lavoro: si è ridimensionato il settore industriale a causa della globalizzazione e del decentramento produttivo in paesi a più basso salario; si è enormemente sviluppato il settore della logistica; la rivoluzione digitale ha radicalmente trasformato il lavoro tecnico e impiegatizio; l’automazione e lo sviluppo di internet hanno drasticamente ridotto la quantità di manodopera utilizzata in molte attività; si sono costruite catene di appalti e subappalti (spesso affidati a finte cooperative) con contratti diversi anche nelle produzioni rimaste; nelle stesse aziende si è creata una frattura generazionale tra i lavoratori più anziani, stabili contrattualmente e con salari più elevati e i lavoratori giovani più precari e meno retribuiti, meno difesi anche dal punto di vista normativo; questa frattura si è accentuata attraverso l’utilizzo di lavoratori immigrati meno tutelati non solo dal punto di vista sindacale; il tempo di lavoro ha invaso il tempo di vita con turni su tutta la settimana, con orari su tutta la giornata, con ferie scaglionate su tutto l’anno, con un uso scontato degli straordinari.
3. Su questa diversa condizione materiale di lavoro, si è diffusa, inoltre, un’ideologia liberista per la quale ogni lavoratore si deve sentire in competizione con gli altri per guadagnarsi, in regime di scarsità, almeno una continuità di lavoro alle condizioni date e al massimo un consolidamento contrattuale della sua condizione attuale. Questa ideologia, però, non può essere combattuta solo sul piano delle idee, ma deve essere criticata attraverso esperienze concrete di ricostruzione dell’unità dei lavoratori all’interno della loro azione di mobilitazione e di lotta. Gli esempi delle fabbriche che si oppongono alla chiusura, decretata da qualche multinazionale o da qualche finanziaria, sono positivi, ma non sufficienti, perché esclusivamente difensivi. Servirebbe una capacità di mobilitazione offensiva anche in settori che non stanno subendo ridimensionamenti produttivi e licenziamenti.
4. Di fronte a questi mutamenti, si è chiesto Loris Campetti (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/11/01/la-salute-del-sindacato/), «chi rappresenta il sindacato nella stagione della globalizzazione neoliberista, quali figure sociali tutela e quali sono invece abbandonate allo strapotere del turbocapitalismo? cosa è diventato il sindacato?». Credo che si possa rispondere che il sindacato di oggi è un ibrido tra il sindacato del glorioso tempo passato e quello che dovrebbe essere in base ai nuovi problemi del presente. Dal punto di vista organizzativo, sono rimaste tutte le categorie contrattuali (meccanici, chimici ecc.) con tutte le articolazioni organizzative (leghe, federazioni provinciali, regionali, nazionali, per ogni categoria contrattuale); e poi ci sono tutte quelle confederali (alte e basse).Da ultimo si sono aggiunte strutture che cercano di organizzare i lavoratori considerati atipici che sono invece tutt’altro che atipici, almeno tra le nuove generazioni. A tutto questo si sovrappone un mastodontico sindacato dei pensionati che, al di là delle buone intenzioni, simboleggia la divisione tra giovani e anziani e costituisce generalmente la massa di manovra a fini congressuali delle burocrazie interne. Il sindacato di massa, dunque, è rimasto tale solo negli apparati; mentre è notevolmente diminuito il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori e si sono via via ridotte le modalità di partecipazione diretta dei lavoratori all’azione sindacale: non solo sono scomparsi i Consigli dei delegati (anche a causa della fine delle fabbriche fordiste), ma gli stessi rappresentanti sindacali aziendali sono oggi nominati dai sindacati in tante aziende dell’edilizia, del commercio e dei servizi e vengono selezionati dal sindacato dove i lavoratori sono chiamati alla elezione delle RSU: quindi sono scelti e confermati dalle organizzazioni non tanto per la loro capacità di rappresentare i lavoratori e di conoscere i problemi dei medesimi, ma piuttosto per la loro adesione alle direttive dell’apparato sindacale professionale. Quest’ultimo è più spesso impegnato nella gestione interna oppure nell’erogazione dei servizi offerti agli iscritti piuttosto che nell’azione di sindacalizzazione dei lavoratori attraverso le esperienze di contrattazione delle loro condizioni di lavoro. Non stupisce, quindi, che la maggioranza dei lavoratori, tanto più quelli giovani, veda oggi il sindacato come un ente parastatale, un’istituzione accanto alle altre, e non come uno strumento di difesa dei propri diritti e di organizzazione delle lotte per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro.
5. Se si guarda all’attuale realtà del mondo del lavoro, è evidente che non si giustifica più una tale struttura elefantiaca e una simile frammentazione organizzativa: i contratti di lavoro andrebbero unificati in poche aree (ad esempio industria, logistica e trasporti, edilizia, servizi prevalentemente digitali, altri servizi e commercio, pubblica amministrazione con articolazione per comparti); il sindacato pensionati andrebbe superato, favorendo ovviamente la possibilità per i lavoratori anziani di mantenere l’iscrizione al sindacato di categoria di provenienza, per contribuire all’azione sindacale e al confronto con i nuovi lavoratori. Non dovrebbero essere accettati contratti diversi per lavoratori che operano all’interno dello stesso ciclo produttivo (appalti e subappalti).
6. Questa diversa organizzazione proposta schematicamente a grandi linee ha una motivazione in primo luogo politica; se il sindacato vuole combattere la divisione tra i lavoratori, determinata dalla politica padronale e dalle nuove forme di produzione e di organizzazione aziendale, allora deve praticare l’obiettivo a partire da se stesso: unire e semplificare le sue strutture per unire i lavoratori sia in termini contrattuali sia in termini di progettualità politica.
7. Come già indicato da Fulvio Perini (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/11/17/il-futuro-del-sindacato-burocratizzazione-o-rinnovamento/), ci vuole, dunque, un apparato sindacale più snello, che favorisca una maggiore partecipazione della base: allo stesso tempo l’apparato deve essere più qualificato perché deve riuscire a fare sintesi operando su un mercato del lavoro oggi così complesso. Attraverso una struttura più capillare e meno accentrata il sindacato potrebbe e dovrebbe svolgere un’inchiesta più approfondita sulle concrete condizioni di lavoro: è un compito che oggi non viene sostanzialmente svolto dalle strutture sindacali e che indebolisce perciò gravemente la possibilità di iniziativa contrattuale.
8. Quest’ultima deve operare sia sul piano nazionale (ma sarebbe opportuno anche su quello europeo) che su quello aziendale o di comparto nella pubblica amministrazione (e nel primo ambito sicuramente non solo più a livello nazionale per le imprese insediate in molti diversi paesi). Essa deve operare lungo alcuni indirizzi fondamentali: il primo è sicuramente quello di una maggiore stabilità del posto di lavoro che superi le varie forme di precariato (lavoro a chiamata, contratti a tempo parziale ecc.); il secondo è quello di un migliore riconoscimento salariale, in modo da formare uno zoccolo adeguato e sufficiente ad articolare, al di sopra di esso, una progressione legata allo sviluppo della professionalità; il terzo è una maggiore separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro attraverso un riduzione dell’orario settimanale, una limitazione dei turni di lavoro, un maggiore rispetto dei periodi di riposo e un contrasto forte alla pratica diffusa dello straordinario. Il quarto è il ripristino, la difesa e l’ampliamento dei diritti sindacali dei lavoratori. Ovviamente su tutti questi indirizzi l’azione sindacale deve coniugarsi con la pressione politica sul Parlamento per l’adozione di provvedimenti legislativi che stabilizzino e rafforzino l’azione autonoma del sindacato. I temi sono quelli noti del salario minimo (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/10/01/si-riapre-la-questione-del-salario-minimo/), del reddito di cittadinanza inteso non solo come fattore di contenimento alla povertà dei lavoratori, ma anche come strumento di difesa da lavori umilianti e sottopagati; di ripristino e allargamento dei diritti sindacali negati attraverso il Jobs act e altri provvedimenti legislativi degli ultimi vent’anni.
9. Tanto più debole è l’azione del sindacato, tanto più numerose sono le strutture organizzative che si propongono come sindacati: ci sono le tre confederazioni, i vari sindacati di base radicati significativamente tra i lavoratori immigrati, i sindacati corporativi particolarmente diffusi nel pubblico impiego e/o nelle categorie che vantavano, e in parte vantano ancora, condizioni di privilegio, i sindacati fasulli ispirati dalla destra politica e i tanti sindacatini finanziati dal padronato per svuotare di senso la contrattazione. Una scelta unitaria da parte delle organizzazioni maggiormente rappresentative farebbe chiarezza all’interno del mondo del lavoro: essa è tanto più praticabile quanto più le organizzazioni sindacali accetteranno di mutare la propria struttura organizzativa e soprattutto il rapporto oggi penalizzante tra apparati e lavoratori.
10. C’è, infine, una questione che diventa ogni giorno più importante: un sindacato rinnovato e partecipato non dovrebbe limitarsi a contrattare le condizioni di lavoro, senza portare un punto di vista critico sia sul modo di produrre, sia su cosa produrre. La crisi climatica e quella pandemica, tra loro connesse, mettono in evidenza come sia urgente modificare l’impianto economico per impedire un collasso generale della nostra società. I giovani studenti e i giovani lavoratori potrebbero costruire su questo terreno un decisivo momento d’incontro e di unità: il sindacato potrebbe favorire questo confronto, come in qualche misura avvenne negli anni ’70 ricordati da Adriano Serafino (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/12/20/50-anni-dopo-laccordo-che-cambio-le-relazioni-sindacali-alla-fiat/), quando i giovani operai e i giovani studenti di allora si ribellarono all’autoritarismo della fabbrica fordista e delle istituzioni educative.
Il buon compagno e storico Diego Giachetti ha consigliato di rivolgere il commento che avevo postato nella sua pagina direttamente all’autore dell’articolo , quindi lo faccio volentieri ringraziando per l’opportunità Buon lavoro
un buon lavoro che in pratica riassume e riordina di alcuni degli interventi e contributi pubblicati in VolereLaLuna , la parte che che non resco a immaginare fattibile sul piano della possibilità cioè pensionati che hanno un ruolo di memoria e confronto con i lavoratori attivi del sindacato di categoria di provenienza al quale dovrebbero continuare ad essere iscritti dopo il pensionamento. Vero che nessun governo o altro si spaventa dalla mobilitazione dei pensionati ,però Leghe e attività varie fra volontariato e assistenza , biblioteche e assistenza non sono cose inesistenti , chi porterebbe avanti richieste su pensione e sanità ,veramente la soluzione sarebbe la rottamazione per scioglierso nelle categorie? Per essere chiari mi piacerebbe capire il senso di re righe pesanti che vengono annegate nel mare di tante questioni complicate : ” il sindacato pensionati andrebbe superato, favorendo ovviamente la possibilità per i lavoratori anziani di mantenere l’iscrizione al sindacato di categoria di provenienza, per contribuire all’azione sindacale e al confronto con i nuovi lavoratori.”
Caro Paolo, non ho nessuna critica da fare al lavoro di assistenza ai pensionati (come me) sui temi della pensione, delle prestazioni sanitarie, fiscali o per altri servizi: tutte cose utili. Mi chiedo, pero’, perché assegnarle a un sindacato di categoria (?) e non ad uffici di normale servizio agli iscritti. Va benissimo anche l’attivismo dei compagni pensionati in questi servizi, ma perché costituirli in una categoria autonoma che rappresenta ormai più’ della metà degli iscritti e finisce quindi per condizionare il dibattito congressuale e le scelte politiche del sindacato. I vecchi come me possono avere una funzione di militanza di servizio (come ricordi tu) e anche di stimolo al confronto sulla base dell’esperienza (come suggerisco nel mio intervento), ma non è positivo, secondo me, che contino nel determinare la linea del sindacato. Il sindacato è in primo luogo uno strumento di organizzazione e di lotta per chi lavora oggi come dipendente.