Il futuro del sindacato: burocratizzazione o rinnovamento?

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Le riflessioni di Loris Campetti sul ruolo del sindacato (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/11/01/la-salute-del-sindacato/) possono essere ignorate come si fa ormai da molti anni, eppure pongono questioni molto importanti per il futuro dei lavoratori e della democrazia in Italia. Le derive sono sotto gli occhi di tutti sia per le condizioni di lavoro che per la partecipazione dei lavoratori alla vita politica.

I sindacati possono rinnovarsi?

È una delle domande che la delegazione dei sindacati presente nella Organizzazione Internazionale del Lavoro (ACTRAV-OIL) si è posta sul futuro del lavoro in occasione del centenario dell’organizzazione delle Nazioni Unite con competenza sui temi del lavoro (Il futuro del lavoro:sindacati in trasformazione, https://www.ilo.org/actrav/international-journal-labour-research/WCMS_731147/lang–en/index.htm). Nella premessa del suo documento sul tema del futuro del sindacato viene messo in evidenza come negli ultimi tre decenni i sindacati abbiano visto progressivamente ridursi il numero di adesioni e il corrispondente invecchiamento della loro base associativa (Rafael Peels, I sindacati in transizione, pp. 14-17, https://www.ilo.org/rome/pubblicazioni/WCMS_760106/lang–it/index.htm).

Ancora nei mesi scorsi, la delegazione in rappresentanza dei lavoratori a Ginevra, ricordando i quattro grandi cambiamenti in corso (la globalizzazione economica, la crisi climatica, la crescita demografica e l’accelerazione delle innovazioni tecnologiche), ha pubblicato una ulteriore nota (ACTRAV, Trade Unions in Transition, https://www.ilo.org/actrav/projects/trade-unions-in-transition/lang–en/index.htm) che ripropone il dilemma tra declino e rinnovamento evidenziando in quattro punti i rischi e le sfide che il sindacato ha di fronte: a) la marginalizzazione, derivante dalla riduzione e dall’invecchiamento degli aderenti; b) il dualismo, caratterizzato dalla azione di protezione degli attuali aderenti senza affrontare con efficacia la protezione e organizzazione dei nuovi lavoratori; c) la sostituzione con organismi come le ONG operanti sui diritti umani perdendo la specificità del lavoro, tentativo già in atto in alcuni paesi e oggetto di prime discussioni in ambito ONU; d) in alternativa, la rivitalizzazione, innovando tattiche di azione e alleanze e ponendo al centro l’organizzazione dei «lavoratori instabili nel Nord e nel Sud del mondo».

Perché, ora più che mai, è necessaria una solidarietà sindacale internazionale.

L’appello di IndustriAll, il sindacato internazionale dei lavoratori dell’industria che conta tra i suoi affiliati 55 milioni di aderenti, è per un forte rinnovamento del sindacato. Risale all’agosto 2019 e mantiene una grande attualità (traduzione dal IndustriAll. https://volerelaluna.it/lavoro/2019/08/21/perche-ora-piu-che-mai-e-necessaria-una-solidarieta-sindacale-internazionale/).

Ricordo e commento alcuni passaggi del documento. «Anche quando vinciamo, la maggior parte delle nostre vittorie sono difensive. A volte combattiamo con successo contro un assalto ai nostri diritti e condizioni di lavoro, ma non stiamo guadagnando nuovo terreno. I lavoratori sono sulla difensiva. I lavoratori sono sempre più instabili. Ci sono meno lavoratori con buone pensioni. La diseguaglianza sta aumentando». Su questa base viene svolta un’interessante analisi delle ragioni e degli effetti dei cambiamenti conseguenti all’azione degli avversari sia sul terreno delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori che sul piano della democrazia politica. Prosegue il documento: «Sebbene la diagnosi sia complicata, il rimedio è semplice: dobbiamo riacquistare il diritto umano alla dignità del lavoro». Vengono poi indicati alcuni terreni di azione:

«Ci restano 12 anni per ridurre drasticamente le nostre emissioni di carbonio se vogliamo preservare la qualità della vita sul pianeta. […] Mentre il settore privato non riuscirà a realizzare una transizione equa ed efficace senza emissioni di carbonio, con lavoro e dignità per tutti». Già, in questi giorni, a Glasgow, un Paese come l’India è stato tra i più resistenti ad una azione ravvicinata di riduzione delle emissioni e conviene ricordare che quel paese è stato attraversato da due delle lotte sociali più imponenti nella storia del lavoro, quella dei contadini e quella dei lavoratori che, tra l’altro, si sono battuti e si stanno battendo contro la privatizzazione dei settori minerario e energetico, carbone compreso. Nel settore industriale l’azione più efficace per contrastare il “dualismo” tra lavoratori tutelati e quelli privi di diritti è quella di intervenire e organizzare i lavoratori per “catene di produzione”, che noi chiamiamo filiere: «L’impegno del sindacato focalizzato solo ai vertici della catena di approvvigionamento non costituisce solidarietà. Dobbiamo rappresentare tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici nella catena di approvvigionamento». Indicando poi l’esigenza di nuove alleanze: «Dobbiamo partecipare al movimento per l’ambiente, al femminismo, a tutte le questioni in cui le persone si incontrano attorno alla visione di un mondo migliore. Dobbiamo dimostrare di essere parte del futuro, non solo del passato. Dobbiamo avere nuove forme di organizzazione sindacale e un nuovo internazionalismo».

Mi scuso per le citazioni, forse un po’ pedanti, ma intendo sottolineare anche in questo modo il vuoto di riflessioni e di idee presente nel paese in cui vivo. Ho accolto e letto con molto piacere l’articolo di Loris Campetti che ha richiamato con forza il riferimento all’internazionalismo. Viviamo in un continente in cui le persone, per la prima volta, si aspettano che i loro figli stiano peggio di loro e subiscono passivamente o addirittura sostengono la costruzione di migliaia di chilometri di muri e reticolati da Melilla alla Lituania, mentre la solitudine e l’incertezza cancellano le loro speranze. Solo riaffermando il valore della solidarietà internazionale si potrà contrastare il «venir meno di una idea di destino comune tra i lavoratori» come ci ricordava Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi libri.

Incontrarsi tra persone che aspirano a un mondo migliore

Mentre il sindacato italiano vive nella richiesta permanente di un “tavolo” e, verso il basso, nei servizi assistenziali e di tutela al singolo lavoratore, ormai fonte pressoché esclusiva di tesseramento, altrove per il mondo qualcosa cammina nella direzione indicata da IndustriAll.

Negli ultimi due anni in Cile e in Uruguay la lotta sociale, ma anche politica e per la democrazia, ha visto come organizzatori e protagonisti le associazioni della società civile, come diremmo noi. In Cile l’esperienza della riaggregazione delle organizzazioni e dei movimenti sociali, di genere ed etnici ha presso avvio nella primavera di due anni fa con l’organizzazione delle manifestazioni promosse dal sindacato contro i trattamenti pensionistici suggeriti oltre trent’anni fa da Milton Friedman e imposti dall’ultimo Governo Pinochet (https://volerelaluna.it/mondo/2019/10/28/un-altro-cile-e-possibile-noi-siamo-stanchi-ci-uniamo/), un modello molto valorizzato a livello internazionale che ha anche influenzato la riforma delle pensioni del 1995 in Italia. Qualche mese dopo, in agosto, le prime 78 associazioni hanno dato vita al movimento di Unidad Social con la partecipazione del sindacato Cut, delle associazioni delle donne e degli studenti, delle organizzazioni delle popolazioni indigene a partire dai Mapuche condividendo un manifesto-appello che iniziava così: «da soli si perde, ci uniamo per combattere con maggiore efficacia». Sulla base dell’appello si sono promossi numerosi gruppi tematici di studio e di proposta in ogni territorio del paese e promuovendo le prime manifestazioni duramente represse. Tra i “tavoli” tematici c’è stato sin dall’inizio quello più importante sulla riforma della Costituzione imposta da Pinochet quando dovette dimettersi. Ora si è svolto il referendum che con oltre il 70% dei voti ha dato vita a una nuova assemblea costituente formata attraverso il voto popolare con quasi il 50% dei suoi membri espressione dei movimenti di lotta nati con Unidad Social e a presiederla è stata eletta una donna mapuche (https://volerelaluna.it/mondo/2021/07/12/cile-una-nuova-costituzione-per-tutelare-i-popoli-indigeni-e-la-madre-terra/). In Uruguay il sindacato PIT-CNT ha iniziato con lo sciopero generale contro la legge di restaurazione neoliberale dei diritti sociali e civili proposta dal governo di destra e poi approvata dal parlamento. A quel punto anche in Uruguay si è dato vita a una esperienza di unità sociale molto simile a quella cilena e si è dato vita ad un movimento di associazioni di lavoratori, di donne e di studenti che ha promosso la raccolta di firme per indire un referendum abrogativo della legge, si sono raccolte più di 800mila firme a fronte di un elettorato di 2,4 milioni di elettori (https://volerelaluna.it/mondo/2021/08/23/la-lotta-sociale-e-politica-scuote-luruguay/).

Quindi, in determinati contesti e a fronte di determinate soggettività collettive, diventa possibile la proposta del sindacato IndustriAll di unirsi tra chi immagina e si batte per un mondo migliore.

Agire collettivamente in Italia

La situazione italiana è molto diversa e distante dalle esperienze sociali in corso nel ConoSur dell’America Latina e il pessimismo è d’obbligo. Eppure non ci resta che la strada di ricostruire dal basso come indica Loris Campetti.

Abbiamo vissuto una esperienza entusiasmante e drammatica vent’anni fa a Genova dove la domanda di unità sociale per un mondo migliore era fortemente presente, ma gli apparati – in primis quelli di una sinistra settaria e autosufficiente – sono riusciti a disperderla molto velocemente. Ora, sempre considerando la dimensione sociale, siamo al deserto. Tutto diventa difficile e, ragionevolmente, ognuno si unisce ad altri per affinità, come può. Non si è soli, ma si è separati. Tutto questo favorisce il degrado, l’individualismo e la divisione tra lavoratori mentre le attuali norme e gli attuali strumenti per difendere collettivamente i lavoratori sono ogni giorno più deboli. Facciamo tre esempi.

Il primo è il salario minimo che i sindacati osteggiano: il salario minimo lo stabilisce il contratto collettivo nazionale e non la legge, europea o italiana che sia. Senza considerare la questione del pluralismo sindacale e della rappresentatività dei sindacati firmatari del contratto, prendiamo in considerazione i contratti firmati dai sindacati di categoria delle confederazioni Cgil, Cisl e Uil. Tradizionalmente per un lavoratore con un rapporto di lavoro senza un contratto la magistratura adottava il criterio di stabilire che dovesse essere applicato quello del commercio. Sul sito del CNEL possiamo esaminare quanti contratti del commercio e dei servizi ci sono e quante siano le associazioni firmatarie. Tra questi ci sono ovviamente quelli firmati dai sindacati delle confederazioni, ma a luglio mi è capitato di parlare con due giovani lavoratrici che svolgevano con contratto a termine il lavoro di assistenti in cucina e di cameriere in un hotel lamentandosi di essere inquadrate e pagate con il livello professionale più basso come sguattere o addette alla pulizia. Anche nel passato si veniva assunti al livello inferiore e poi dopo poco tempo, nel caso considerato dopo pochi giorni o settimane (il periodo di prova era calcolato a giorni), si passava ai livelli superiori. Già, ma ora, con il lavoro a termine ripetuto, quell’inquadramento diventa permanente e il salario percepito è in contrasto con il principio costituzionale del salario che deve garantire la dignità del lavoratore. Molti contratti collettivi sono così e sarebbe interessante calcolare se e quando queste lavoratrici o lavoratori potranno andare in pensione, sicuramente neanche a quota 120 (70 anni di età e 50 di lavoro) perché non matureranno il minimo di contributi versati per poter avere quella pensione di 640 euro mensili, pari a 1,5 volte la pensione sociale, che permette (sic!) a un lavoratore di andare in pensione.

Si presenta così una seconda contraddizione che il sindacato internazionale chiama dualismo. In questi giorni i sindacati criticano le proposte del governo su quota 102 e poi 103 e poi 104. E quelli/e che non la maturano neanche a quota 120? Sono ormai milioni e milioni, basti pensare alle donne a part-time involontario. Lo sciopero lo si minaccia per difendere i lavoratori toccati da quota 102, per gli altri/e si rinvia a un auspicio di clemenza.

Mi ha colpito ‒ è il terzo esempio ‒ la differenza abissale tra le norme dello statuto dei lavoratori italiano e quelle spagnole sull’uso delle tecnologie digitali e il controllo a distanza. In Italia le nuove norme, imposte non caso dal Governo Renzi, permettono pressoché tutto con il solo limite di rispettare la privacy e, come conseguenza, permettono solo una tutela individuale del lavoratore interessato. In Spagna la norme dello statuto prevedono che i lavoratori siano informati «dall’impresa di parametri, regole e istruzioni sulla cui base funzionano gli algoritmi o i sistemi di intelligenza artificiale che supportano la presa di decisioni che possono incidere sulle condizioni di lavoro, sull’accesso e sulla conservazione del rapporto di lavoro, inclusa l’elaborazione dei profili personali», con la conseguenza della diffusione di una contrattazione collettiva su parametri, regole e istruzioni del cosiddetto algoritmo. La differenza è tra un sindacato che offre servizi individuali e uno che si propone di contrattare le condizioni di lavoro.

Mi pare evidente che le contraddizioni evidenziate a livello internazionale siano particolarmente presenti in Italia, ma il sindacato italiano le ignora o rinvia la riflessione. Conosco dei casi, nel territorio in cui vivo in Val di Susa, di lavoratrici e lavoratori che si licenziano e preferiscono l’indennità di disoccupazione al reddito derivante da un lavoro perché il comando è arbitrario e umiliante. Non voglio generalizzare ma devo ricordare che nel solo mese di settembre, in Usa, 4,4 milioni di lavoratori hanno lasciato un lavoro giudicato lesivo della loro dignità (https://www.washingtonpost.com/business/2021/11/12/job-quit-september-openings/). Emergono quindi comportamenti individuali di difesa caratterizzati dalla solitudine, ma, almeno negli Stati Uniti, accompagnati da azioni di sciopero dei lavoratori diffuse e crescenti (https://volerelaluna.it/lavoro/2021/03/31/usa-i-lavoratori-dellalabama-contro-amazon/), anche sostenute dal sindacato AFL-CIO.

Ricostruire dal basso

Forse è proprio dal basso che si dovrà ripartire. Perché ormai non ci sono più altre possibilità, anche se sarà tremendamente difficile. Ma anche perché senza una reale partecipazione dei lavoratori la deriva elitaria in politica e burocratica nel sindacato non si fermerà. Le esperienze aziendali che Campetti ricorda ci indicano che è ancora una strada possibile, ma non si può ignorare che l’orientamento degli apparati sindacali è, in generale, quello di tenere sotto controllo le RSU e i singoli rappresentanti sindacali. Nel 1968 mi era possibile incontrarmi presso la sede del partito repubblicano per discutere con alcuni militanti della Uil della possibilità di presentare una lista unitaria per la Commissione Interna alla Montedison di Novara; oggi una norma dell’accordo interconfederale che regola la rappresentanza sui luoghi di lavoro – impropriamente chiamato “testo unico” – vieta espressamente la possibilità di presentare liste comuni alle elezioni delle RSU pena la decadenza della lista, si devono contare i voti per misurare la rappresentatività e la forza dell’organizzazione sindacale esterna e l’unità tra lavoratori e loro rappresentanti è considerata un elemento di confusione. Il loro potere può solo derivare dai rapporti con l’impresa del funzionario sindacale che li segue.

Ripartire dal basso obbliga a fare i conti con questa pratica sindacale, ma la forza della ricerca dell’ unità dei lavoratori e della solidarietà può permettere molti passi avanti come GKN insegna. Per fare questo è necessario riprendere e riaffermare un’altra lezione di Di Vittorio: i lavoratori devono essere uniti perché vivono e lavorano nelle stesse condizioni; la condizione fa unità mentre le opinioni importate dall’esterno quasi sempre dividono. Molti dei fattorini che chiamiamo rider (https://volerelaluna.it/talpe/2021/07/02/i-diritti-dei-rider/), impegnati nelle battaglie per i diritti, vedono con fastidio l’intervento di sindacati, confederali o di base, perché portatori di divisioni.

Proprio a partire dal valore dell’unità tra lavoratori può essere proposta un’altra domanda: chi sono i titolari del diritto alla rappresentanza? i lavoratori o il sindacato? Nelle leggi di tanti paesi europei questo diritto è dei lavoratori che possono eleggere i loro rappresentanti anche dove il sindacato non è presente. In Spagna i verbali delle elezioni vengono raccolti dagli uffici locali del Ministero del Lavoro e su questa base si verifica la rappresentatività, per fare un esempio, delle Comisiones Obreras e della UGT. Sempre in Spagna è previsto che i rappresentanti dei lavoratori in azienda possano dotarsi di un programma comune. Ma con la scomposizione dei cicli di lavorazione, di oggetti come di servizi, è necessaria una nuova unità tra lavoratori di imprese diverse (alla Fiat di Melfi, nel 2007, se ne contavano più di 440 che dovevano coordinarsi ai fini della prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute) dando vita nuove forme di organizzazione, da un lato guardando alle catene globali di produzione (la Confederazione delle Americhe ha elaborato degli ottimi materiali) e dall’altro con strutture intercategoriali (avremmo detto una volta) sul territorio. Sempre sul territorio si può dare vita a esperienze organizzative che vedano l’incontro tra chi si batte per il diritto umano alla dignità del lavoro e chi si batte per i diritti di genere, degli immigrati, dei LGTB, o dell’ambiente dando vita a forme di unità sociale.

Per intanto bisognerebbe inventarsi dei momenti e dei luoghi per approfondire e condividere.

Gli autori

Fulvio Perini

Perini Fulvio, sindacalista alla CGIL, ha collaborato con la parte lavoratori, Actrav, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

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