La svolta razzista

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Dopo l’obiettivo su pace e guerra, oggi ci fermiamo – necessariamente – sulla svolta razzista che attraversa il mondo occidentale e, in esso, il nostro Paese. Mentre, ai confini col Messico, Trump separa i bambini dai genitori che tentano di entrare senza permesso negli Stati Uniti, facendoli richiudere in vere e proprie gabbie (come documentano filmati agghiaccianti) e, in Ungheria, Orban impone l’inserimento in Costituzione di un generale “divieto di accoglienza” dei migranti, i Paesi europei “più tolleranti” propongono di esternalizzare i confini del vecchio continente installando ed estendendo in Africa – nei paesi costieri ma anche dell’interno – centri di raccolta e smistamento per decidere chi ha diritto di partire per l’Europa e chi no (senza curarsi del fatto che quei campi – come ormai ampiamente documento anche in sede giudiziaria – sono luoghi di violenze inenarrabili) . Questa scelta l’Italia l’ha ormai fatta da tempo, nel periodo in cui al Governo sedeva il Partito democratico e al ministero dell’interno l’on. Minniti. Oggi quella linea si inasprisce con l’ulteriore estremizzazione impressa (nelle politiche, nelle esternazioni, nella violenza verbale) dal neo ministro Matteo Salvini, che – non pago – propone di schedare gli zingari e di espellere i non italiani (rammaricandosi che “purtroppo” questi ultimi ci tocca tenerceli). Il tutto – ed è la cosa peggiore – in un clima di diffuso consenso, alimentato dalla gravità della crisi, dalla canalizzazione in tale direzione della rabbia sociale, dalla diffusione a piene mani di dati falsi sulla reale entità dei fenomeni, sul rapporto tra l’Italia e gli altri Paesi europei, sui soggetti che si occupano di salvare in mare i migranti e di sostenerli una volta arrivati in Italia.

I numeri sono solo una piccola parte del problema, ma quando sono palesemente falsi o utilizzati in modo improprio occorre, almeno, segnalarlo. Partiamo, dunque, da qui, riprendendo i dati ufficiali (di Istat, Eurostat e dello stesso Ministero dell’interno, oltre che delle organizzazioni internazionali) elaborati e diffusi il 20 giugno dal sito “Cronache di ordinario razzismo”. 

Risiedono oggi in Italia 5 milioni di cittadini stranieri, di cui quasi un milione nato nel nostro Paese. Più della metà (2 milioni e 600 mila) viene da altri Paesi europei, in gran parte dell’Unione europea. Circa un milione viene dall’Africa o è di origina africana. Superfluo dire che la gran parte non è arrivata oggi, né nell’ultimo decennio, ma è il risultato di 50 anni di migrazioni. I rifugiati e i richiedenti asilo sono un numero molto piccolo: 353.983 (di cui 167.335 rifugiati e 186.648 richiedenti asilo), corrispondente a una città di media grandezza, al doppio degli italiani emigrati nel solo 2016. Negli ultimi anni, tra il 2014 e il 2017, le persone straniere residenti in Italia sono aumentate di 124.943, al ritmo di 31.000 all’anno. Una cifra estremamente modesta, per non dire irrisoria.

I numeri, dunque, non giustificano l’allarme diffuso a piene mani da ministri e telegiornali. Ma – si dice per alimentare una sorta di mal posto orgoglio nazionalistico – noi siamo comunque il Paese che “fa di più” per l’accoglienza e assorbe il maggior numero di rifugiati, supplendo alle carenze e agli egoismi altrui. Anche questa affermazione è infondata, pur se le politiche di accoglienza europee sono del tutto insoddisfacenti. L’Italia, come appena detto, accoglie 353.983 rifugiati e richiedenti asilo, a fronte dei 1.413.127 della Germania e dei 401.729 della Francia e mentre piccoli stati come la Svezia, l’Austria e la Grecia (la cui popolazione è un sesto di quella italiana) ne accolgono rispettivamente, 327.709, 172.570 e 83.418. Se passiamo dal dato assoluto a quello percentuale la situazione è ancora più evidente. Basta guardare alle domande di asilo accolte per milione di abitanti: 3.945 in Germania, 3.865 in Austria, 1.115 in Grecia, 605 in Francia e solo 580 in Italia (il tutto in presenza di una media europea di 1.050).

Certo, la nostra posizione geografica favorisce gli sbarchi. Ma anche qui i dati sono molto più ridotti di quanto si dice e comunemente si ritiene. Negli anni i flussi e le rotte dal Nord Africa verso l’Europa hanno subito oscillazioni e modifiche profonde (si pensi che nel 2015 arrivarono, nella piccola Grecia, 800 mila persone: un numero assolutamente incomparabile con quello degli sbarchi in Italia anche negli anni di maggior affluenza). Dal luglio 2017, per fattori di carattere geopolitico e a seguito degli accordi stipulati con le autorità libiche, i flussi verso l’Italia hanno subito una netta contrazione. Non lo si dice certo per valorizzare quegli accordi (che ci hanno resi complici di quanto sta accadendo nei lager libici) ma per sottolineare che, in ogni caso, l’allarme di questi mesi per una supposta invasione in atto è doppiamente ingiustificato. Basti considerare che nei primi 5 mesi del 2018 sono sbarcati in Italia 15.345 migranti a fronte dei 12.219 arrivati in Spagna (dal mare o dall’enclave di Ceuta e Melilla) e dei 12.065 approdati in Grecia: numeri, dunque, sostanzialmente simili (mentre il ministro dell’interno, con una sorta di spregiudicato “gioco delle tre carte”, continua ad effettuare suggestive comparazioni tra dati disomogenei).

Il punto dolente non sta nell’entità degli arrivi ma nell’assenza o nell’inadeguatezza delle politiche di accoglienza. Pur a fronte di un aumento delle necessità, infatti, il sistema ordinario di accoglienza (SPRAR), articolato attraverso la rete degli enti locali (e con la previsione di un inserimento supportato di poche persone per ogni comune), è sostanzialmente fermo da anni per responsabilità congiunta del Governo centrale e di gran parte delle amministrazioni locali (di destra e di centrosinistra). A fine 2017 gli inserimenti tramite lo SPRAR erano circa 24 mila, mentre i residui 151.000 richiedenti asilo presenti sul territorio erano sistemati alla meno peggio e senza interventi finalizzati all’integrazione in strutture straordinarie, per lo più di grandi dimensioni in una logica di permanente emergenza. È questa cattiva accoglienza che ha generato, insieme, condizioni di vita non dignitose nei centri, difficoltà di integrazione, utilizzo improprio di risorse pubbliche, malaffare e senso di insicurezza in molte aree urbane. Il problema, dunque, non sta nei migranti ma in noi (o meglio nei nostri governanti).

Né è giustificata (se non in piccola parte) l’affermazione – anche questa gridata ai quattro venti dalla propaganda governativa – che la stragrande maggioranza dei migranti è composta da “finti rifugiati” che vengono in Italia per ragioni esclusivamente economiche. Una percentuale oscillante tra il 40 e il 50 per cento di coloro che hanno presentato domanda di asilo ottiene, infatti, dalle autorità italiane una forma di protezione legale: non certo poco se si considera che l’onere della prova (spesso difficilissima) di essere in fuga da una guerra, da una persecuzione personale o da una discriminazione è a carico del richiedente! E ciò anche a tacere del fatto che – come commenta “Cronache di ordinario razzismo” – coloro che usano canali irregolari per entrare e cercare lavoro hanno una ragione: a causa della sostanziale chiusura dei flussi è quasi impossibile entrare regolarmente in Italia. L’esempio del 2017 è perfetto: il decreto flussi stabilisce la possibilità di concedere 30.850 permessi di lavoro, 13.850 sono conversioni di permessi di persone già presenti in Italia e 20.000 sono permessi stagionali. Nessun nuovo ingresso per lavoro non stagionale, insomma.

Già si è segnalata l’inadeguatezza, a dir poco, delle politiche europee di accoglienza. È di una qualche utilità ricordarle. Nel settembre 2015, al culmine della crisi umanitaria siriana, l’Unione adottò un sistema di ricollocazione delle persone che arrivavano in Grecia e in Italia. In teoria si trattava di condividere lo sforzo fatto dai due Paesi che in quella fase erano sotto una pressione migratoria straordinaria. Quell’accordo, definitivamente adottato con l’Agenda europea sulla migrazione nel settembre 2015, si è concluso nel settembre 2017 ed è stato riavviato in forma ridimensionata nel 2018. Ma quegli accordi sono presoché totalmente disattesi, con alcuni Paesi che adempiono solo in parte ai propri impegni e altri (Ungheria, Danimarca, Regno Unito, Polonia) che si rifiutano di accogliere anche un solo rifugiato. Su questo punto, dunque, le proteste dell’Italia sono più che giustificate. Peccato, peraltro, che il Governo italiano anziché esigere l’applicazione degli accordi si trovi politicamente alleato con i Paesi (Ungheria e Polonia, ad esempio) che rifiutano di fare la propria parte e dicono di no all’immigrazione per ragioni ideologiche.

Insieme ai migranti i nuovi nemici – come tali indicati dal ministro dell’interno e non solo – sono gli zingari: un popolo la cui consistenza nel nostro Paese varia, secondo le diverse stime, tra le 90.000 e le 140.000 persone. Di esse più della metà (circa 70.000) hanno la cittadinanza italiana e persino Salvini deve prendere atto che “purtroppo ce li dobbiamo tenere”. La gran parte è ormai stanziale, mentre una esigua minoranza (12.346 persone, di cui 5.436 minori, secondo il censimento del 2008; 20.000 secondo stime recenti) vive nei cosiddetti campi nomadi. Come ciò possa minare la sicurezza del Paese, imponendo espulsioni e (anche qui) separazione dei bambini dai genitori, è davvero un mistero.

La conclusione è obbligata. Le politiche di rifiuto e di allontanamento dei diversi non hanno alcuna seria base nell’entità dei flussi migratori. Sono piuttosto un tragico diversivo di fronte ai problemi reali che affliggono la società e, insieme, il frutto di una vera e propria svolta razzista. Come altre volte è accaduto, con gli esiti che la storia insegna. Saperlo e ribadirlo non è la soluzione del problema ma, almeno, un punto di partenza necessario.

 

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One Comment on “La svolta razzista”

  1. Concordo pienamente con il vostro editoriale. Ammesso che i due partiti al governo siano apprezzati, oggi, dalla metà circa degli italiani quello che continuamente mi chiedo è: dove sono tutti gli altri? Cosa possiamo fare per risvegliarli? iniziative come la vostra sono importanti per sgomberare il campo dalle tante falsità che ci vengono propinate ogni giorno. Purtroppo, come anche tante iniziative locali di vario tipo ( rappresentazioni teatrali, incontri, presentazioni di libri, manifestazioni) finiscono per essere seguite da una esigua minoranza che già condivide quanto viene trasmesso loro.
    Qualcosa di più ognuno potrà portarlo in un ambito diverso ma è ancora troppo poco.
    Mi viene in mente una famosa frase di Martin Luther King : non temo le parole dei violenti ma il silenzio degli onesti.
    Che poi, sono davvero “onesti” o perfettamente consci che proprio le disuguaglianze permettono loro di mantenere i propri privilegi cui non intendono assolutamente rinunciare?

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