Sinistra. La lunga marcia verso la sconfitta

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La miccia che ha portato alla deflagrazione elettorale di domenica scorsa è troppo lunga per discutere solo dell’ultimo tratto. Per questo, a disastro puntualmente avvenuto è necessario, ma non sufficiente, cogliere le responsabilità di chi ha clamorosamente sbagliato la campagna elettorale. I numeri dimostrano che la partita era contendibile, e che se Enrico Letta e la dirigenza del Pd non avessero impedito la coalizione “di resistenza” con i 5 Stelle, si sarebbe arrivati a un sostanziale pareggio, e a un Parlamento ben diverso. Invece ora – grazie all’ovvia profferta dei mercenari Renzi e Calenda – la Costituzione è in pericolo: e su questo il Paese dovrà reagire, con pacifica determinazione, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze. Per tutto il resto, non basta una veloce plastica facciale al vertice del Pd: o c’è una comprensione profonda delle cause dell’arrivo al governo della destra di tradizione fascista, o questo governo durerà a lungo.

La prima cosa da capire è che le elezioni non le ha vinte la destra: le hanno perse tutti gli altri. I voti assoluti del blocco di destra non sono aumentati: si sono polarizzati sulla forza più nera, ma sono sempre circa 12 milioni, cioè circa il 26 % degli aventi diritti al voto. In particolare, Fratelli d’Italia è stato votato da circa il 15%: cioè da un italiano e mezzo su 10. Se con questi numeri l’estrema destra si prende l’Italia, è perché l’elettorato di centrosinistra e dei 5 Stelle si astiene in massa, concorrendo al vero evento di queste elezioni: l’eclissi di un terzo abbondante degli italiani (36,09%). Capire le ragioni, recenti e antiche, dei 18 milioni non votanti significa capire in quale direzione andare. Non certo perché siano tutti di sinistra, ma perché – essendo la parte più povera del Paese – lì sono oggettivamente tutte le ragioni dell’esistenza di una qualunque sinistra.

Il Pd è stato il pilastro dell’operazione Draghi, il cui messaggio era chiaro: la politica non serve più, il voto è inutile, il Parlamento pericoloso. La soluzione era un governo paternalista calato dall’alto: come si poteva pensare che il risultato non fosse un’astensione maiuscola? Solo il giornalismo servile e cieco del nostro Paese poteva cantare per mesi un consenso che non esisteva, se non in quell’establishment che il “governo dei Migliori” garantiva. Già, perché la virata oligarchica del governo Draghi non solo commissariava la democrazia, ma lo faceva a favore dello stato delle cose, e cioè dei più ricchi. Se il Movimento 5 Stelle si è, in parte, salvato, è solo perché è sceso giusto in tempo dalla barca Draghi. Ma i suoi sei milioni di voti regalati all’astensione sono il prezzo per l’errore madornale di esserci salito. (Anche la polarizzazione sull’estrema destra, rimasta astutamente fuori dal governo Draghi, è un ovvio frutto della geniale operazione che ha visto l’alta regia di Mattarella).

Ma il Pd non ha sostenuto Draghi per caso, e lo stesso governo Draghi è solo l’ultimo sintomo di una lunghissima malattia. Di più, l’Italia come è oggi – diseguale, abbandonata, antipolitica – è opera del centrosinistra. È ad esso che dobbiamo lo smontaggio sistematico e pervicace del progetto della Costituzione. Fu un governo di centrosinistra a decidere la guerra nei Balcani, illegittima per la Carta dell’Onu, e per la nostra. L’avvio della precarizzazione dei rapporti di lavoro, con la sua scia di vite distrutte e povertà, lo dobbiamo alla riforma Treu, governo Prodi. L’abbandono del ruolo dello Stato nell’economia (e dunque nella vita dei cittadini) è avvenuto con privatizzazioni e liberalizzazioni volute da governi di centrosinistra. La mancanza di una seria legge contro la concentrazione dei mezzi di informazione è frutto della prima legislatura dell’Ulivo. La “federalizzazione” dei diritti, che oggi ne impedisce l’uguale attuazione sul territorio nazionale (pensiamo alla sanità!), inizia con le riforme di Franco Bassanini. L’autonomia differenziata (cioè l’abbandono definitivo del Mezzogiorno) nasce dalla riforma del titolo V del 2001, e oggi è una bandiera di Bonaccini. La linea securitaria Turco-Napolitano-Minniti è la radice dei decreti sicurezza di Salvini. E non parliamo di Renzi, che di tutto questo tradimento fu il pirotecnico gran finale. È su queste macerie che la destra – rimasta l’unica realtà politica con un progetto – vince.

Ma attenzione: anche questa destra di matrice fascista governerà attuando l’agenda Draghi (che è poi il pilota automatico degli ultimi decenni), fondata su politica economica neoliberale e atlantismo prono e armatissimo – mettendoci di suo solo l’attacco ai diritti civili, e un ancor più forte securitarismo razzista. Per la sinistra, fare davvero opposizione, dunque, significa cambiare tutto, rimettere in discussione tutto. Non solo cambiare leadership, ma nemmeno solo cambiare partiti: il salto deve essere culturale. E deve essere un salto capace di costruire politiche diverse, che si porteranno dietro persone diverse. Per il Movimento 5 Stelle significa accelerare senza tradimenti nella direzione indicata da Giuseppe Conte negli ultimi mesi, liberandosi da zavorre (Grillo) e contraddizioni (per esempio l’antiparlamentarismo). Il traguardo è presto detto. Quale forza, o quale alleanza, riesce oggi in Italia a tradurre in progetto politico le cose che – sui tre cardini: giustizia sociale, ambiente e pace – dice il leader più radicale del mondo, papa Francesco? La risposta è: nessuna. Quando ci sarà una proposta del genere, il consenso della destra avrà i minuti contati.

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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4 Comments on “Sinistra. La lunga marcia verso la sconfitta”

  1. “Quale forza, o quale alleanza, riesce oggi in Italia a tradurre in progetto politico le cose che – sui tre cardini: giustizia sociale, ambiente e pace – dice il leader più radicale del mondo, papa Francesco?” La risposta è:
    “Alleanza VERDI SINISTRA”:
    https://verdisinistra.it/programma/ 🔴🏳️‍🌈🌳… con la consapevolezza che è ampiamente insufficiente ed anche con la consapevolezza che sui diritti dei migranti… se papa Francesco fosse un dirigente politico e presentasse le sue idee (che io condivido, ma che potrebbero essere realizzabili soltanto con una condivisione di tutta l’Unione europea anche nell’accoglienza concreta) alle elezioni, a mio parere, non supererebbe il 5%, caro compagno che ha la presenzione di avere la Verità assoluta.
    Giuliano Ciampolini, ex operaio e impegnato a sinistra – come militante di base – da 53 anni.

    1. Giuliano! Ma davvero speri in quell’agglomerato che mi pare molto confuso? Sono una parte di quelli che hanno combinato il disastro della sinistra denunciato da Montanari!
      Ti invito fraternamente a rileggere l’articolo di Tomaso: ” Per la sinistra, fare davvero opposizione, dunque, significa cambiare tutto, rimettere in discussione tutto. Non solo cambiare leadership, ma nemmeno solo cambiare partiti: il salto deve essere culturale. E deve essere un salto capace di costruire politiche diverse, che si porteranno dietro persone diverse”.
      Dai, guardiamo avanti, lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti.

  2. Grazie di tutto il lavoro che svolge in difesa della nostra Costituzione.

  3. Plaudo all’esame critico e autocrico, ben storicizzato e riassunto in alcuni passaggi che disegnano una gelida e autolesiva coerenza a sinistra (?)… Sono però il primo a sentirsi confuso e disilluso di fronte all’idea che esistano degli elettorati di riferimento rispetto a qualsiasi forza politica di rappresentanza. Preferisco chiamarle così e rammento un testo di Revelli ancora molto attuale proprio nel riconoscimento o disconoscimento di un cambiamento avvenuto (“Finale di partito”, libro di qualche anno fa). Un’interrogazione su questa fluidità e imprevedibilità.
    Il blocco ideologico che “tiene” è quello di destra che si addensa sulla parte ahimè più nera. E per motivazioni di consenso economico, oltre che per sconfitta (culturale) delle altre forze politiche.
    Mi auspico che proprio a partire da alcuni ideali condivisibili e da un resistente spirito antifascista e costituzionale si riesca a continuare a fare politica al di là dell’offerta e dei discorsi delle “forze politiche” – “partito” e degli “elettorati”. Confusi e/o vacanti. La strada appare in salita, secondo modesta opinione in primo luogo territoriale, e inestricabilmente culturale.

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