Grandi eventi per piccoli stadi

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Non è scritto nel contratto ma la coalizione di Governo nell’ansia di contribuire al marketing elettorale ha rilanciato con generosità la possibilità che l’Italia ospiti grandi eventi internazionali dello sport.

Si va oltre quanto già pattuito, come le Universiadi di Napoli o la Ryder Cup di golf. L’esempio più eclatante, officianti i governatori ufficiali delle Regioni competenti, la candidatura ai Giochi Invernali 2026 con Milano-Cortina, sfidante contro la Svezia. Ma anche tennis, atletica, calcio e basket muovono opzioni importanti contando sulla smania di protagonismo dell’accoppiata Movimento Cinque Stelle-Lega.

Questa tendenza però cozza vistosamente con l’esistente e con la mancanza di denaro liquido da stornare per dare consistenza a questi progetti. L’Italia dal punto di vista sportivo si regge su un’impiantistica vecchia e superata. L’ultima generazione di stadi è quella sfornata per Italia ’90. I mondiali di calcio di quell’anno sono stati un’occasione di rinnovamento ma anche di corruzione considerando che alcune opere non sono state mai completate (la stazione di Farneto a Roma) mentre per lo Stadio Olimpico di della capitale è stata messa a regime una copertura assolutamente non necessaria, come più avanti riconosciuto dallo stesso gerente Franco Carraro. Comunque per rispettare quell’impegno l’intervento fu considerevole con la costruzione degli stadi di Bari e Torino (ironia della sorte ora il Bari gioca in serie D) e con il costoso restauro di dieci strutture esistenti: San Siro per Milano, Bologna, Genova, Firenze, Roma, Palermo, Cagliari, Napoli, Udine e Verona.

Erano altri tempi e il deficit era altra cifra se tutte queste operazioni vennero completamente finanziate dallo Stato. Da allora poco o nulla. Nel calcio come per il basket o la pallavolo. Pensate che la finale di un campionato universitario di basket negli Stati Uniti è stata seguita in una struttura capace di ospitare 75.000 spettatori, capienza che nessuno degli stadi del più popolare sport italiano (il calcio) è in grado di raggiungere a norma, a parte il “Meazza” milanese. Ma ci troviamo a invidiare, in un contesto più ridotto, anche l’impiantistica di Francia, Germania, Spagna, sorretti da Stati e, in qualche caso, da polisportive ben più funzionali.

Il faticoso e ancora incerto iter dello stadio della Roma, quello ancora più fantascientifico della Lazio, fanno intuire che l’esperienza della Juve (lo stadio di proprietà) è un’utopia nella serie A e questo stallo fa decisamente scolorire la possibilità di espansione anche economica dei club, rispetto, ad esempio all’Inghilterra. Ora anche Milan e Inter, sospinte dall’impulso di proprietà straniere (dietro ogni stadio c’è l’ombra del grande affare e il rischio della corruzione: vedi l’arresto dell’imprenditore Parnasi) sognano un nuovo impianto.

Le istituzioni che sovrintendono a queste possibilità di trasformazioni (Comuni, CONI, Ministero competente) dovrebbero, di fronte a queste ipotesi, porsi un primo problema fondato su un’essenziale domanda: «In caso di nuovo stadio che fine farà il vecchio?». Forse se questo interrogativo fosse posto quando il Flaminio è stato abbandonato dalla Federugby per il torneo delle Sei Nazioni, quello stadio non verserebbe in condizioni di completo abbandono, bisognoso di 45 (previsti) milioni per un economico ripristino delle condizioni di partenza.

Inoltre per troppo tempo i club professionistici di calcio si sono affidati a una sorta assistenzialismo preferendo rimanere affittuari delle strutture di riferimento piuttosto che proprietari. Il mondo andava avanti e le società italiane rimanevano indietro. L’esempio della Juve ha avuto pochi e limitati imitatori (Sassuolo, Udine e Cagliari). La cassaforte della famiglia Agnelli ha permesso un passo importante che quasi tutti gli altri grandi club hanno evitato di compiere, complice la mancanza di risorse proprie e il colossale indebitamento del sistema-calcio.

Gli autori

Daniele Poto

Daniele Poto, giornalista sportivo e scrittore, ha collaborato con “Tuttosport” e con diverse altre testate nazionali. Attualmente collabora con l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Ha pubblicato, tra l’altro, Le mafie nel pallone (2011) e Azzardopoli 2.0. (2012).

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One Comment on “Grandi eventi per piccoli stadi”

  1. A proposito di “che fine farà il vecchio?”, si fa notare che “il passo importante” compiuto grazie alla “cassaforte di casa Agnelli” ha comportato l’abbattimento di uno dei due nuovi stadi costruiti per Italia ’90 (il Delle Alpi di Torino).
    Fiat voluntas eorum

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