Il calcio italiano balla sul Titanic

Anche se vuol continuare a esporre un profilo alto, il calcio italiano presenta contraddizioni crescenti e un andamento economico sempre più prossimo al fallimento. E non si emenda da solo, né sono bastati gli scandali e la purga di Calciopoli. Del resto gli italiani, rassegnati e silenti di fronte alla riforma delle pensioni, metterebbero a ferro e fuoco le piazze per la sospensione di un torneo calcistico…

Il grande business degli stadi di Roma e Milano

Il turbo-capitalismo punta su nuovi stadi in cui gli interessi speculativi prevalgono su quelli sportivi. Accade a Roma come a Milano e, nell’establishment sportivo, nessuno sembra preoccuparsi della sorte dei vecchi impianti, spesso ottimi. Il modello della democrazia polisportiva partecipata spagnola è lontano mille miglia e non c’è sentore di referendum per decidere se e cosa costruire.

Ultras, dagli stadi alle piazze

Tra le (eterogenee) frange che “contestano” violentemente le restrizioni governative dettate dal coronavirus non stupisce di trovare il fronte degli ultras, momentaneamente disoccupati per l’inagibilità degli stadi. Da tempo, infatti, è in atto una identificazione tra gruppi di ultras e destra eversiva in cui il tifo calcistico è una semplice copertura.

Calcio, spettatori in aumento

Nonostante la difficile agibilità di molti stadi e il razzismo che contamina il tifo, nel campionato di calcio di serie A gli spettatori aumentano. Si arriva a una media di 30.000 a partita, che sale a 65.000 per l’Inter. Ciò dovrebbe stimolare nuove politiche per uno sport che si sta trasformando in puro investimento economico.

Grandi eventi per piccoli stadi

Il Governo ha rilanciato la possibilità che l’Italia ospiti grandi eventi dello sport. Ma il nostro Paese ha un’impiantistica sportiva vecchia e superata. L’ultima generazione di stadi è quella sfornata per Italia ’90 e i club professionistici del calcio non vogliono o non possono seguire l’esempio della Juventus.

Siamo tutti Koulibaly

«Sono orgoglioso del colore della mia pelle. Di essere francese, senegalese, napoletano, uomo», così Kalidou Koulibaly, roccioso difensore del Napoli, dopo i boati e gli ululati di San Siro. È auspicabile che questa lezione di civiltà induca arbitri e dirigenti del calcio ad abbandonare pavidità e complicità col razzismo.