Nel libretto Non sprechiamo questa crisi, pubblicato da Laterza nell’ottobre di quest’anno, in piena pandemia, l’economista Mariana Mazzucato suggerisce che, «finché si trova in posizione di forza», lo Stato colga l’occasione per imporre all’economia una svolta. Lo Stato, oggi forte, non deve limitarsi a intervenire a posteriori a «correggere i fallimenti dei mercati», né creare liquidità che finisce nelle casse della finanza speculativa. Deve «fare capitalismo», nel senso di spingere le imprese, con incentivi e erogazioni di «capitali pazienti», a investire in attività che migliorino l’ambiente e riducano le diseguaglianze. E penalizzare le aziende che non ne vogliono sapere.
Non ho le competenze per valutare le posizioni e le proposte economiche della professoressa Mazzucato, e pertanto vorrei porre domande che riguardano piuttosto sia la teoria politica, sia l’analisi dei rapporti di potere reali che potrebbero scaturire dal periodo Covid. Lo Stato è oggi veramente così forte da potersi imporre ai grandi gruppi economici? Il potere economico si farà veramente guidare dai politici? E quali altri poteri emergeranno nella società italiana?
Ne La élite del potere, uscito nel 1956 negli Stati Uniti, e tradotto in italiano nel 1959, Charles Wright Mills distingue nella società americana le tre “élite del potere” più forti: politica, economica e militare. Egli ritiene che nei momenti decisivi le tre élite si siano unite e abbiano agito di concerto. Ma in altri periodi ha prevalso ora un’élite ora l’altra. Dopo la guerra civile e fino alla crisi del 1929 i grandi gruppi economici si imposero sul potere politico e su quello militare. Nell’età del New Deal i politici rovesciarono i rapporti di forza e prevalsero sul potere economico e sui militari. La seconda guerra mondiale e il successivo conflitto freddo con l’Unione Sovietica portarono al vertice il potere militare. Qui si ferma la sequenza descritta dal libro, uscito a guerra fredda in corso.
Ora, che cosa accadrà in Italia con e dopo il Covid? Chi comanderà?
Potrebbe crescere il potere militare. Lo Stato sta ricorrendo ampiamente all’aiuto delle forze armate. L’opinione pubblica e i mass media le guardano con favore. Le percepiscono come solide, organizzate, unite, in conclusione affidabili. Le forze armate passeranno all’incasso? Otterranno più risorse e più uomini? Imporranno loro uomini anche in settori dello Stato che non sono di loro competenza? Più giovani di oggi vorranno arruolarvisi, portando le loro famiglie nell’area di consenso verso i militari? Le forze armate potrebbero venire sostenute dalle associazioni d’arma, dalle industrie delle armi, dalla burocrazia dei ministeri competenti, a cominciare dal ministero della difesa. I partiti di destra potrebbero assumere anche il ruolo di loro braccio politico, formando un blocco di potere politico-militare.
C’è chi ritiene che la pandemia e i servizi sanitari configurino anche un problema di “sicurezza nazionale”. È un’espressione che significativamente ricorre nel linguaggio del direttore de la Repubblica Maurizio Molinari, da sempre per così dire un “atlantico” e un sostenitore dell’unità dell’Occidente. L’eventuale ascesa della “sicurezza nazionale” ai vertici dei valori che la classe politica intende perseguire comporterà mutamenti nei rapporti di potere? Mi chiedo, ad esempio, se il ruolo dei servizi di sicurezza interna ed esterna aumenterà. Ma mi domando anche se avrà ripercussioni al di fuori degli organi dello Stato deputati alla “sicurezza nazionale”. Se ad esempio la sanità pubblica avrà un’importanza crescente proprio in quanto strumento della sicurezza nazionale. Se quindi lo Stato sarà indotto a rientrare nel capitale dell’industria farmaceutica, a sostenere con propri capitali la creazione di un’industria farmaceutica nazionale allo scopo di dipendere di meno delle multinazionali del farmaco straniere. Se aumenterà il potere degli operatori della sanità pubblica, dai primari di reparto ai vertici della piramide dell’Istituto superiore di sanità o del Comitato tecnico scientifico del Ministero della Salute: nella prospettiva della sicurezza nazionale essi diventeranno dei soldati al fronte, dei soldati di prima linea.
E gli accademici? Intendo i professori delle cliniche universitarie. Molti di loro sono diventati delle star mediatiche. Altri sono stati chiamati a importanti incarichi governativi, come il Comitato tecnico scientifico che si occupa del Covid. Sarà solo una fiammata destinata a spegnersi? Oppure essi accresceranno il loro potere sia nell’ambito dello scenario nazionale, sia all’interno dell’accademia stessa? Compreso il potere di ottenere dallo Stato più risorse. E quello di fare aumentare il prestigio delle scienze mediche e in generale delle scienze “dure” a spese degli studi umanistici?
La sanità pubblica è oggi di competenza delle Regioni. Proprio nella gestione della pandemia alcune Regioni paiono essere state poco efficienti. Lo Stato centrale coglierà l’occasione per sottrarre loro competenze in materia e per attribuirle a se stesso? Immagino che questo trasferimento di poteri e risorse richiederebbe delle modifiche costituzionali. Ma il riaccentramento della sanità è già cominciato nei fatti. La Protezione civile, che dipende dal governo centrale, sembra avere accresciuto il proprio potere intervenendo in compiti che forse spetterebbero alle Regioni. Ma anche i militari, che hanno un’organizzazione centralizzata, hanno assunto ruoli di supplenza nei confronti delle sanità regionali. In generale, il Covid spingerà gli Stati, compreso quello italiano, verso un riaccentramento di poteri a scapito degli enti locali?
Si potrebbe continuare, e approfondire l’analisi della società italiana prendendo in considerazione molte altre sue componenti.
Ma torniamo alle primissime risposte che ci siamo posti: una classe politica come quella italiana avrebbe la forza, la compattezza, e soprattutto la volontà, di piegare il potere delle grandi imprese capitalistiche e di orientarne le politiche aziendali? Oltretutto, su quali sostegni potrebbe contare nella società? Per Mazzucato lo Stato dovrebbe orientare l’economia in modo tale da almeno non accrescere le diseguaglianze sociali. Ma per fare ciò la classe politica dovrebbe poter godere dell’appoggio di coloro che nella società stanno in basso. Ma i tanti che stanno in basso – dai lavoratori dipendenti alle cosiddette partite IVA al ceto medio in corso di impoverimento – sono oggi quasi privi di organizzazione e di rappresentanza. Come hanno scritto Luciano Gallino e Marco Revelli, la lotta di classe esiste ma finora l’hanno vinta i ricchi.