Nella seconda metà dell’Ottocento menti eccelse della borghesia europea si industriarono pur di elaborare una teoria economica che chiudesse definitivamente i conti con l’«eresia» marxista. Ne scaturì a cavallo tra Otto e Novecento il marginalismo, secondo il quale l’origine del valore – e della ricchezza in generale – non è tanto nel lavoro «incorporato» nella merce, come la dottrina economica classica, oltre al buon senso, suggeriva, bensì nell’elemento astratto del prezzo a sua volta determinato dalla preferenza del consumatore sovrano. Liquidando in un solo colpo Ricardo, Smith e Marx, il lavoro scompare così dal pensiero economico per poi via via degradare anche dalle pratiche economiche e sociali prescritte da quel modello, non senza coraggiosi e acuti tentativi teorici di ripristinarlo.
Ebbene, una lontana eco di quella disputa, tutt’altro che accademica, si rintraccia nelle affermazioni di questi giorni di Guido Barilla. Si sa che i figli d’arte sono fra coloro che più si scagliano contro il costrutto ideologico della pigrizia, in tutte le sue declinazioni, forse anche per l’origine ereditaria delle loro fortune da rimuovere. In un passaggio chiave della sua intervista a La Stampa Barilla arriva a dire che «molte persone scoprono che stare a casa con il sussidio è più comodo rispetto a mettersi in gioco cercando lavori probabilmente anche poco remunerati e c’è un atteggiamento di rilassamento da parte di alcuni che io spero termini perché serve l’energia di tutti. Rivolgo un appello ai ragazzi: non sedetevi su facili situazioni, abbiate la forza di rinunciare ai sussidi facili e mettetevi in gioco». Insomma, dopo il blocco dei licenziamenti a questo giro il bersaglio grosso pare sia il reddito di cittadinanza, si badi non per farne una misura incondizionata valida per tutti, ma per farlo sparire per sempre dalla faccia della terra.
A fare da controcanto ci ha pensato poi l’onnipresente Salvini, con parole spicce che non richiedono particolare cautela esegetica: «Va fatta una riflessione sul reddito di cittadinanza […]. Molto semplicemente, se tu prendi 600 euro per stare a casa a guardare la televisione e ti offrono 600 euro per fare il cameriere la soluzione la lascio intuire». Dove a fare scandalo non è tanto la retribuzione sotto la soglia di un affitto urbano medio, ma una qualche forma di resistenza a un simile sfruttamento selvaggio. La soluzione, implicita, è levare ogni diritto e ogni aiuto di Stato, così magari da consentire 500 anziché 600 euro di retribuzione.
Servirebbe raccogliere in appositi archivi digitali personalizzati il profluvio di dichiarazioni che spesso affermano tutto e il suo opposto, da poter consultare agilmente all’occorrenza, in particolare per chi, sondaggi alla mamo, si appresterebbe a guidare il nostro Paese. Ma quello dei giovani presi di mira e consegnati alla gogna mediatica è una lunga penosa storia, che non fa onore al ceto dirigente. Ad esempio, il duo Fornero-Ricolfi non perse occasione, qualche tempo fa, per introdurre nel dibattito nostrano l’ennesimo inglesismo, choosy, schizzinosi, al fine di bacchettare da ben solidi scranni di comando chi di potere ne ha molto meno. Luca Ricolfi, in particolare, nel suo più recente saggio La società signorile di massa (2019) ci ritorna su, rimproverando i giovani non solo di non avere una buona formazione scolastica a causa del «donmilanismo dilagante» – che vede solo lui! –, ma soprattutto, a suo dire, di non fare i conti, questi «giovani choosy», con le mutate condizioni del mercato del lavoro, portando ad esempio il solito posticcio pizzaiolo, stavolta piemontese, che non riuscirebbe a trovare camerieri per il suo locale.
Come detto all’inizio, lo scopo è cingere d’assedio la cittadella dei sussidi, «Sussidistan», con la infelice espressione coniata dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, all’assemblea 2020 degli industriali, dove paventò il rischio per l’Italia di trasformarsi per l’appunto in una Sussidistan, uno Stato di soli sussidi.
Troppo nota la circostanza che la fetta più grossa di aiuti finisce inesorabilmente dalle parti di Confindustria (in occasione del Covid si è calcolato a spanne all’incirca un 60-70% di tutti gli aiuti erogati dallo Stato), forse è più utile rammentare che dietro quella formula c’è l’idea che la ricchezza è prodotta esclusivamente dall’impresa. Pertanto ogni aiuto o sussidio che viene dirottato altrove si configura come un reato di lesa maestà. E qui ritorna il preambolo marginalista di fine Ottocento che, mediante il coinvolgimento del consumatore di ultima istanza, ha riportato le lancette del pensiero economico, sia pure ammantato di grafici, diagrammi, torte e tecnicismi vari, decisamente all’indietro. Per la modellistica astratta, che quel paradigma disegna, la variabile più che indipendente dell’offerta è al traino di una esportazione furiosa (mercantilismo), con conseguenti spaventosi squilibri di surplus commerciali. Dacché viene il fondato sospetto che il mercato sia una ideologia, neppure troppo sofisticata, utile solo a giustificare la mancanza o la cancellazione di politiche sociali a sostegno della domanda interna di beni e servizi. Si tace spudoratamente che la richiesta di abbattere ogni sussidio è fatta per intensificare lo sfruttamento sul lavoro, concreto volano di quella stessa ricchezza che ci si vanta, viceversa, di creare dal nulla, per essere così più competitivi sul mercato globale.
Ma delineare per il nostro Paese, e non solo per i suoi giovani, un futuro oscillante esclusivamente tra logistica, stile Amazon, e ristorazione, con poco o niente di valore aggiunto, solo frutto di innovazione e ricerca, presentando per giunta i rider come il futuro lavorativo che avanza, consegna un’istantanea di una élite economico-finanziaria e politica cinica, che non ci crede più. Per riprogettare un Paese e soprattutto costruirlo su basi lavoristiche solide, così come scritto in Costituzione, servono ben altre energie politiche e soprattutto crederci per davvero e non solo fare finta.
un antico proverbio dice che é impossibile spiegare la fame a chi ha la pancia piena.
i figli di papa sono sempre esistiti: una vita professionale ed economica in discesa, con la certezza di raggiungere i vertici. quelli che poi ti spiegano pure cos é la meritocrazia e tutta la gavetta che si sono fatti. solo secondo loro.
i comuni mortali, quelli che la pasta la mangiano e non la producono, oggi hanno solo la certezza
di lavori precari, malpagati che non consentono di programmare alcun futuro e spesso nemmeno un
presente.
sono lavori a debito, nel senso che anche se lavori, a fine mese le spese basic (vitto e alloggio) superano le entrate.
sono lavori levisi della dignita umana, economicamente al limite dello sfruttamento.
sono lavori che, guardacaso, sono proprio i figli di papa a indicare come opportunita per crescere, per fare esperienza, utili. e pure con un che di superiorita morale nell indicarlo.