Tutelare la salute ma non troppo…

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Il diritto alla salute può essere oggetto di “bilanciamento”? Evidentemente sì per il nostro legislatore il quale, nell’ultimo decreto legge emanato per scongiurare la chiusura dell’Ilva di Taranto, ha stabilito che gli impianti inquinanti dichiarati (come Ilva) di interesse strategico nazionale non possono essere oggetto di sequestro e misure interdittive purché si adotti un «modello organizzativo idoneo a garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente». Ma prima ancora, già dal 2013 la Corte costituzionale, sempre per l’Ilva, aveva auspicato un «ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Costituzione), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Costituzione), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso». E anche la CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo), condannando nel 2019 il nostro paese per non aver realizzato le misure dettate, già dal 2012, per il risanamento dell’Ilva, affermava che «si deve avere riguardo al giusto equilibrio da trovare tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme», anche se poi aggiungeva che questo giusto equilibrio per l’Ilva non era stato realizzato in quanto «le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita».

Nessuno si è chiesto, però, come si può realizzare questo bilanciamento. Forse, accettando un numero limitato e “ragionevole” di decessi e di malattie? A questo proposito, nella sua prima ordinanza di sequestro del 2012, il GIP di Taranto evidenziava giustamente che, in tal modo, «si arriverebbe all’assurdo giuridico di operare delle comparazioni fra il numero di decessi accettabili in relazione al numero di posti di lavoro assicurabili: le più elementari regole di diritto e soprattutto del buon senso vietano un simile ragionamento». E, sia chiaro, nel caso in esame non si tratta di pericolo ma di certezza. Uno studio effettuato nel 2021 dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), su richiesta della regione Puglia per una valutazione predittiva del danno sanitario provocato da ILVA concludeva che, se anche si realizzassero le opere di contenimento che già da anni si sarebbero dovute attuare, rimarrebbe, comunque, un rischio inaccettabile di mortalità (con quantificazione dei decessi), anche negli scenari più favorevoli.

In questo quadro, quale “bilanciamento” è possibile? 5 morti invece di 500? Proprio la Corte costituzionale, del resto, nel lontano 1990, dovendosi occupare della definizione di «migliore tecnologia disponibile» subordinata dalla legge alla condizione che essa non comporti «costi eccessivi», aveva concluso, senza alcuna esitazione, che essa «va interpretata nell’assoluto rispetto del principio fondamentale del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione. Conseguentemente il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana». E ancor prima, nel 1979, in una storica sentenza (Corasaniti), la Cassazione a sezioni unite aveva scritto che «il bene della salute […] è assicurato all’uomo come uno ed anzi il primo dei diritti fondamentali anche nei confronti dell’Autorità pubblica, cui è negato in tal modo il potere di disporre di esso. […] Nessun organo di collettività neppure di quella generale e del resto neppure l’intera collettività generale con unanimità di voti potrebbe validamente disporre per qualsiasi motivo di pubblico interesse della vita o della salute di un uomo o di un gruppo minore».

Resta solo da chiedersi come è possibile proporre un simile “bilanciamento” pochi mesi dopo che il nostro Parlamento ha aggiunto all’art. 9 della Costituzione che «la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni» e all’art. 41 che «l’iniziativa economica privata non può svolgersi […] in modo da recare danno alla sicurezza […], alla salute e all’ambiente».

Gli autori

Gianfranco Amendola

Gianfranco Amendola, già magistrato, è stato procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Roma dove si è occupato principalmente di reati ambientali. É stato parlamentare europeo per la Federazione dei Verdi e membro dei direttivi di Legambiente, WWF e Italia Nostra.

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