Perché sono per l’invio di armi all’Ucraina

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In un intervento di pochi giorni in tv Marco Revelli ha esposto in estrema sintesi il suo pensiero, che qui spero di riportare fedelmente, sulla guerra in Ucraina: 1) bisogna fermare la guerra; 2) a questo scopo, serve di più mandare armi ai combattenti ucraini, oppure non mandargliele e perseguire la strada delle trattative? La risposta che si dà Revelli è la seconda. Vorrei tentate di muovere alcune modeste osservazioni a questa posizione. Si potrebbe infatti controbattere che, al contrario, forse proprio la resistenza degli ucraini, sostenuta dalle armi ricevute e che riceveranno, potrebbe por fine alla guerra.

Revelli ha espresso in modo più esteso le sue convinzioni nell’articolo Il virus della guerra. L’antidoto della memoria, pubblicato in questo sito il 7 marzo (https://volerelaluna.it/controcanto/2022/03/07/memoria-antidoto-alla-guerra/). Qui l’autore richiama a sostegno delle sue argomentazioni l’“etica della responsabilità”: «Ma credo che anche in queste circostanze, accanto alla weberiana “etica dei principi”, che si orienta ai valori universali (e astratti), debba praticarsi la simmetrica “etica della responsabilità” che vede le conseguenze dell’agire e si sforza di calcolarne l’adeguatezza al fine. E qui l’inadeguatezza, o peggio la contrapposizione della moltiplicazione delle armi sul terreno rispetto al fine, se questo è la pace e comunque il risparmio maggiore possibile di sofferenze e di vite umane, mi pare evidente».

In proposito, noto che Revelli non si sofferma sull’”etica dei principi”, che ci condurrebbe a chiederci se la resistenza degli ucraini è una “guerra giusta”. Richiamo qui la nota tradizione, che risale almeno a Tommaso, Vitoria, Grozio, ecc., citati da Norberto Bobbio nella raccolta di scritti Il problema della guerra e le vie della pace (il Mulino, prima ediz. 1979). Se la consideriamo una guerra di difesa da una aggressione, allora la resistenza ucraina è una “guerra giusta”. Revelli riconosce che c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Sarebbe allora doveroso aggiungere: quindi la resistenza militare degli ucraini è una guerra giusta.

Nel libretto Una guerra giusta? (Marsilio 1991), Norberto Bobbio poneva due domande: 1) la guerra a Saddam è giusta? 2) è anche efficace? La prima domanda Bobbio la riconduceva esplicitamente all’etica dei principi, la seconda all’etica della responsabilità o delle conseguenze (p. 59 e p. 76).

Circa la prima domanda, Bobbio non aveva dubbi: la guerra contro Saddam era una guerra giusta perché era una guerra di difesa contro una aggressione. Affermazione che suscitò la reazione negativa di numerosi suoi allievi e colleghi. Del resto, Bobbio ammetteva la difficoltà a distinguere, a volte, l’aggressore dall’aggredito: «Ogni Stato, infatti, anche quando è aggressore, tende a presentare la propria aggressione come risposta anticipata a una possibile aggressione altrui, cioè come una risposta preventiva» (p. 50). Ma, nel caso di quella guerra contro Saddam, egli non aveva dubbi: era giusta perché difensiva. Ne era così convinto che dedica poco spazio a questo tema, mentre torna ripetutamente e tormentosamente sull’altro tema: questa guerra è e sarà efficace? Raggiungerà i risultati voluti – porre fine alla guerra – o provocherà un’estensione del conflitto nello spazio e nel tempo (p. 31 e p. 88)? Le conseguenze di una guerra non sono infatti facilmente prevedibili: domani possono essere quelle cercate. Ma dopo? Dopo domani? E dopo ancora? Quando le prime conseguenze provocheranno altre e imprevedibili conseguenze? Di qui il tormento di Bobbio, che cresce man mano che passano i giorni e si susseguono i suoi articoli e commenti.

Ma torniamo, in conclusione, alle domande di Revelli alle sue risposte che ho in precedenza riportato. Siamo proprio sicuri che non mandare armi farà risparmiare sofferenze e vite umane? Forse, al contrario, l’invio di armi potrebbe rafforzare gli ucraini aggrediti e indurre Putin a una trattativa. Certo, osserva Domenico Quirico nell’incontro organizzato da Volere la Luna il 18 marzo (https://www.youtube.com/watch?v=w6-tvgF_KmE&t=688s), la sproporzione di forze è enorme. Ma anche Quirico potrebbe sbagliarsi. E appunto le conseguenze sono sempre imprevedibili. Per di più, a trattativa conclusa, la distruzione di vite umane si fermerebbe? Non lo so. Gli ucraini potrebbero avviare una resistenza che i russi cercherebbero di spegnere con le armi. Altri morti e altre distruzioni.

Inoltre, quali potrebbero essere le conseguenze esterne, internazionali, di una trattativa che oggi appare come una resa (la Russia si prende la Crimea, le due repubbliche del Donbass, e demilitarizza l’Ucraina)? Il successo potrebbe incoraggiare Putin a continuare la sua politica di espansionismo “preventivo”, giustificato o non giustificato che sia. Dopo la Crimea e il Donbass potrebbe tentare di prendersi tutta l’Ucraina. Dopo, verrebbe l’ora della Moldavia: Putin potrebbe usare come pretesto la Transnistria come per l’Ucraina ha usato il pretesto del Donbass. Poi verrebbe la volta della Georgia, una delle possibili prossime vittime. Qui il casus belli potrebbe esser l’Ossezia. Naturalmente, ogni volta Putin prometterebbe che è l’“ultima” conquista e poi basta. Perché non dovremmo applicare a Putin il “modello Hitler”?

E poi, se continuiamo a incoraggiarlo con la nostra inerzia, con il nostro comportamento arrendevole, Putin potrebbe volgersi verso la Polonia e i Paesi baltici. Perché no? In fondo quei Paesi sono già veramente della NATO e, nella visione di Putin, sono una minaccia per la Russia. In proposito, quando citando Kissinger scriviamo che la NATO, allargandosi fino ai confini della Russia, ne ha suscitato la paura e la reazione, non teniamo conto che anche Polonia, Paesi baltici, Romania, Moldavia ecc. forse avevano anch’essi paura del secolare espansionismo imperiale russo: anche questi Paesi hanno cercato di armarsi, di difendersi preventivamente, e hanno chiesto, o accettato, di entrare nella NATO. Perché, se consideriamo legittimi i timori della Russia, non teniamo conto di quelli di Polonia, Paesi baltici ecc.?

Se queste sono le conseguenze possibili del nostro atteggiamento arrendevole, allora dovremmo aggiungere all’alternativa di Revelli (resistenza o trattativa) una terza via: fermare Putin, prima che sia troppo tardi. Certo, altri tempi, altre condizioni: però perché non dovremmo ricordare come è stato fermato Hitler? È stato fermato arrivando con le armi nei dintorni del bunker della Cancelleria. La storia è tremenda, è un banco di macellaio, ma quella è.

Gli autori

Piero Meaglia

Piero Meaglia ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia del pensiero politico e delle istituzioni politiche a Torino nel 1989. Ha pubblicato "Le regole del gioco. Bobbio e la democrazia", Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (FI) 1994, e "Il potere dell’elettore. Elezioni e diseguaglianza politica nel governo democratico", Città Aperta Edizioni, Troina (EN) 2006. Svolge attività ambientalista nel Basso Canavese e scrive sul periodico “La Voce del Canavese” di Chivasso.

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One Comment on “Perché sono per l’invio di armi all’Ucraina”

  1. La guerra è un orribile episodio e speriamo che non sia quello finale. Perciò ritengo che si faccia di tutto perché la malaugurata evenienza non succeda, ma allo stesso tempo pianifichiamo il dopo affinché l’episodio abbia meno probabilità di ripetersi con sa stessa pericolosità.
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    Una strategia per la PACE
    Pianificare una strategia per fare convergere due obiettivi: gli aiuti umanitari agli ucraini mediante il contributo destinato alle ASSOCIAZIONI UMANITARIE e la presa in carico da parte delle stesse per la petizione di organizzare l’ONU per il DISARMO NUCLEARE. Chi elargisce l’aiuto venga messo in grado di sottoscrivere l’Appello all’ONU. I migliori specialisti delle campagne promozionali facciano il resto utilizzando i media a favore di una verità incontrovertibile.

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