Giovani, anarcoidi, leggeri e irregolari: ce n’è abbastanza per definire l’identikit del capro espiatorio ideale per una società che sta vivendo un passaggio drammatico della sua storia – tra virus, crisi economica e guerra in corso ‒ e che ha bisogno di scaricare il malessere e la tensione accumulati nel tempo su dei parafulmini sociali. Quali prototipi migliori se non i frequentatori dei rave e dei free party?
È una popolazione difficilmente definibile, non inscatolabile in categorie preformate, che spesso viene narrata – da un occhio esterno, adulto e diffidente ‒ in termini carenziali e negativi, di esclusiva connotazione problematica: sporchi, irrazionali, “drogati”, “zombie”. Si materializzano e si presentano al mondo attraverso una festa, un tempo di divertimento e ballo che li vede occupare temporaneamente uno spazio in disuso, incontrarsi, attivarsi e – anche ‒ consumare sostanze. Forse all’occhio politico del tempo, così sotto pressione per la crisi in corso e in piena ansia di performance da decreto, il loro agitarsi leggero e irrazionale può sembrare una minaccia, il loro cercare piacere e leggerezza un’aperta provocazione. La libera vitalità, anche se accesa nel tempo limitato di un weekend, appare quindi intollerabile; e l’unico modo per reagire a questa sgradevole sensazione è punire, disciplinare.
Più le situazioni sono complesse – e il fenomeno dei rave, per chi è interessato e non mosso esclusivamente da pregiudizi, presenta una notevole complessità ‒ e più emerge il bisogno di semplificare, di identificare questi ragazzacci esclusivamente come problemi e di mortificare la Vita sotto il giogo dell’Idea, una dimensione di legge e ordine molto sbandierata, ma sostanzialmente applicata solo alle categorie sociali più fragili e marginali (leggi giovani, sbandati e in questi giorni migranti). Nella – ormai lunga ‒ storia di queste feste a livello italiano ed europeo non abbiamo notizie di spaventose azioni vandalistiche, violenze eclatanti e risse: è forse nella sfacciata libertà di questi giovani, nel loro divertirsi e auto organizzarsi la sensazione di minaccia all’ordine pubblico patito dalla società adulta. Se non capisco, vieto: la normativa appena varata sembra andare in questa direzione, un pericoloso fallo di frustrazione sociale che traduce una mancata comprensione della diversità e della possibilità di espressione in riduzione sostanziale degli spazi di libertà, in correzione dello scorretto.
La palese fatica di inquadramento di questo fenomeno traspare anche nel modo giornalistico corrente di narrare gli eventi, con uno sguardo talvolta superficiale, altre volte in palese malafede. Sarebbe ingiusto generalizzare e non riconoscere positive volontà di raccontare e capire, ma la tessitura del racconto generale che, nei giorni del rave di Modena, si è via via composta è fatta da toni cupi, scenari disumanizzanti, enfasi del negativo e inserti di pura invenzione: le orge e le violenze narrate non hanno avuto nessun riscontro testimoniale, e sembrano rimandare al plot narrativo della festa di Valentano dell’anno scorso, quando sui giornali e sui siti sono comparse rappresentazioni barbariche di bovini predati, cani lasciati morire nella polvere e altre immagini catastrofiche figlie di pure fantasie apocalittiche e leggende metropolitane. Stride l’incompatibilità tra il tono da cronaca nera dei racconti degli inviati “al fronte”, un clima da reality show permanente in attesa del sempre più imminente sgombero, e le tranquille telefonate che alcuni frequentatori hanno fatto a Radio Deejay – un inedito contatto tra l’alternativo e il mainstream! ‒ per raccontare una festa piacevole e divertente.
C’è un’alternativa al vietare? Certo, e parte dal conoscere meglio questa realtà e attraversarla nella sua complessità, cogliendo con curiosità la specificità, riconoscendone al contempo le risorse e le zone d’ombra. Superare, per quanto ci è possibile, le nebbie del pregiudizio adulto ci permette di ritrovare intenzionalità di relazione e di condivisione, ricerca di un piacere attivante e fusionale, rincorsa di una ritualità aggregativa dai forti contenuti simbolici; è solo guardando e comprendendo questa parte che possiamo al contempo riconoscere le aree di rischio, l’allerta sull’abuso di sostanze e i pericoli che si possono generare in una condizione di limitata lucidità e padronanza.
C’è qualcuno capace di realizzare tutto questo? Sì, sono gli operatori della riduzione del danno che, come a Valentano, sono stati presenti e attivi anche nella manifestazione di Modena. È la via della relazione e della conoscenza, della sensibilizzazione e della prevenzione, la strada pragmaticamente efficace tra la demonizzazione che porta alla repressione e l’idealizzazione che nega ingenuamente i rischi comunque presenti. E il bello è che funziona: al di là dei toni gotici della maggior parte del coro giornalistico, la festa ha avuto il suo positivo sviluppo, gli operatori e gli educatori hanno realizzato un intervento di protezione e di supporto, la mediazione tra organizzatori e autorità pubbliche ha portato a una chiusura morbida e non violenta, con tanto di pulizia finale dei locali usati da parte dei frequentatori.
Quando la Vitalità non viene soffocata, ma viene accolta, ascoltata e, quando necessario, protetta, può riservarci piacevolissime sorprese. Ma a tutto questo l’occhio politico attuale non vuole assolutamente guardare.