Il prezzo del lavoro e della salute

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La salute non ha prezzo. In questi ultimi anni non ha prezzo neanche il lavoro. Per il fatto che il lavoro, profondamente cambiato da manifatturiero (sempre più robotizzato) a relazionale, immateriale, di servizio alla persona (non standardizzabile e, quindi, non robotizzabile) non consente al capitale di ragionare in termini di produttività, cioè di bulloni prodotti nell’unità di tempo. Il capitale, brutalmente, ragiona in termini di “tasso di profitto”. Nel tasso di profitto non sono compresi termini come “condizioni favorevoli, benessere sociale e ambientale, paesaggio, cultura, salute interesse della collettività, lavoro diritto fondante, prevenzione primaria”, che, invece, sono parole cardine della nostra Costituzione. Sempre più persone toccano con mano che il lavoro spesso non consente di avere un reddito dignitoso. Che la salute non coincide con la sanità. In particolare – aggiungo con amarezza – in quelle regioni (pandemia docet) dove la sanità è stata maggiormente privatizzata, a spese della sanità pubblica. Su questo quadro si sono inseriti il perdurare della pandemia e il lento scivolamento complessivo verso la “guerra grande”. Appare evidente che, nel prossimo futuro, il mondo cambierà rispetto alla narrazione a senso unico degli ultimi trent’anni.

Mi astengo da considerazioni geopolitiche, qui fuori luogo. Ma la sanità dovrà ridiventare pubblica (bene comune) e il tempo di lavoro, a parità di salario, dovrà ridursi. Già vediamo i sacerdoti del turbo capitalismo, annidati nei giornaloni, nelle televisioni, nelle Università, che porranno la fatidica domanda: «Con quali soldi?». Brutalmente: andandoli a scovare dove si nascondono. «Ma questo alimenterà il conflitto sociale! Anzi “l’odio di classe!”». Cos’altro ci dice il programma di larga parte dello schieramento politico? Un “Vaffa Day delle Élite”, come titola, in modo appropriato, l’ultimo numero di FQ Millennium. In conclusione una serie di fatti ci indicano che, nei prossimi tempi, stante la situazione attuale, aumenterà il rischio, cioè la probabilità, di conflittualità sociale e alta dovrà essere la vigilanza nei confronti di una degenerazione violenta indotta da provocazioni che, abbastanza frequentemente, saranno studiate e calibrate a tavolino. I ventenni degli anni Settanta del secolo scorso lo ricordano bene.

La risposta ai sacerdoti del turbo capitalismo sta, anche, nella matita elettorale. Se si vuole uscire dall’inganno della “crescita infinita” dovranno essere premiate le forze politiche (poche, spesso marginali, comunque osteggiate dai sacerdoti di cui sopra) che sostengono la sanità pubblica, la scuola pubblica, l’acqua pubblica, la riduzione dell’orario di lavoro, le fonti di energia rinnovabili vere (non il nucleare “pulito”), il cambiamento di modello di sviluppo vero (non consumare per produrre, bensì produrre ciò che di materiale e immateriale effettivamente serve alle persone). Basta con la salute intesa come quantità di prestazioni sanitarie spesso inappropriate. Basta con l’energia da fonti fossili o da nucleare di nuova generazione. Basta con la cultura come prodotto di consumo ad uso di chi può pagarselo.

Ma la soluzione non sta solo nella cabina elettorale. Sta nella lotta per dare un chiaro segnale di inversione di rotta. A quelli che ci dicono che dobbiamo essere resilienti, cioè sopportare la situazione così com’è, dobbiamo far capire che siamo resistenti, cioè che la situazione com’è oggi non va bene. Per cambiare ci vorranno tempi medio lunghi. Ne abbiamo il tempo? Fondamentale, comunque, è modificare la percezione complessiva di senso e direzione. Non più verso il baratro sociale, economico e ambientale che ci propongono in cambio della nostra “resilienza”. Bensì verso la maggiore cura dell’unico pianeta che abbiamo e, come conseguenza diretta, degli interessi vitali della stragrande maggioranza, cioè nostri. Questo cambio di percezione migliora la nostra salute (benessere fisico, psichico, sociale), certamente più della sanità privata.

Gli autori

Riccardo Falcetta

Riccardo Falcetta è medico del lavoro a Torino

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