Occupandomi da anni di metodi formativi attivi e basati sull’apprendimento esperienziale, mi arrabbio sempre un po’ quando leggo o sento dire – in particolare in questi giorni – che e-learning e lezioni on line siano le metodologie innovative e del futuro.
No!… Possiamo parlare di nuove tecnologie, di dispositivi innovativi e della modernità, elogiarne i loro inventori e propagatori, ma quanto alla metodologia didattica, nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di una rivisitazione tecnologica della vecchia e cara “lezione frontale”, cioè della più tradizionale e arcaica tra le modalità d’insegnamento, con tutti i limiti che essa possiede in chiave di efficacia e soprattutto di mantenimento dell’apprendimento.
Me lo confermano in questi giorni amici e amiche insegnanti che volenti o nolenti devono registrare o tenere le loro lezioni su piattaforme digitali, così come in maniera per me ancora più significativa, lo ha fatto la figlia quindicenne di una mia amica che qualche settimana fa (quando ancora ci si poteva incontrare) mi ha detto: «Ma io per potere imparare ho bisogno di avere davanti a me la mia professoressa e che lei mi possa guardare negli occhi per vedere se ho capito» (l’avrei abbracciata… ma questo già non si poteva più fare).
Non voglio sembrare passatista o “retrotopico” e so che in queste settimane e forse mesi la didattica a distanza sta svolgendo e svolgerà una funzione di “supplenza” imprescindibile e inevitabile, ma nemmeno, in nome di una supposta superiorità della cultura digitale e delle sue indubbie potenzialità, si possono prendere a schiaffi più di cento anni di teorie pedagogiche e dell’apprendimento, anche degli adulti.
Qualche giorno fa, sulle pagine torinesi de La Repubblica è uscita un’intervista a Renzo Sicco, un regista teatrale che conosco molto bene e con il quale in passato ho lavorato. Alla domanda sulla necessità di fare il teatro in streaming lui ha risposto: «No, ho passato la vita a spiegare ai bambini che il teatro non è vedere uno schermo dove gli attori non si accorgono se li guardi oppure no, quindi un minimo di coerenza ci vuole».
Ecco, quello stesso pensiero, cioè la necessità della compresenza tra attori e spettatori così come tra docente e discenti, oltre che per il teatro e per la scuola, io credo valga tuttora anche per la formazione, o quantomeno e soprattutto per quella comportamentale.
A meno che gli esseri umani, “animali sociali” per eccellenza fin dalla definizione di Aristotele, si debbano trovare anche in un futuro prossimo venturo e terminata la drammatica emergenza sanitaria che ci impone di stare lontani, ad essere privati o limitati nelle loro forme di socialità e di aggregazione (e non dimentichiamo che anche gli uffici, le fabbriche, i luoghi del lavoro sono importanti e insostituibili luoghi di socializzazione), o comunque a doverle modificare radicalmente…. Ma allora questa sarebbe una ulteriore tragedia.
Molto d’ accordo. C’ è la tendenza a considerare la Didattica a distanza una tecnica nuova ed efficace ( !), pronta a sostiture la vecchia ( !) tecnica vetusta del rapporto umano e in presenza. Invece, la DAD è una ” condizione” obbligata da un’ emergenza che, in quanto tale, deve essere a tempo. Considerare la DAD una tecnica è un errore costituzionale perchè la libertà d’ insegnamento è libertà di scelta del metodo. Tentre di imporla come metodo innovativo non si può : si lasci al docente la scelta dei suoi mezzi didattici, solo così si avrà un insegnamento davvero efficace.