Questo referendum è davvero meno dirompente dei precedenti?

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L’articolo di Livio Pepino del 2 settembre (https://volerelaluna.it/referendum/2020/09/02/referendum-qualche-risposta-ai-fautori-del-si/) è convincente, tranne che per un giudizio che compare in chiusura: «Il taglio dei parlamentari e il conseguente referendum non hanno la portata dirompente di precedenti tentativi di riforma costituzionale», e dunque è questione di “prudenza” respingere le ragioni del “sì”.

Dato come si sono messe le cose negli ultimi tempi, è giusto. Ma siamo proprio sicuri che la portata del referendum fosse minore dei precedenti? Per esserlo bisognerebbe ridurre la questione ai suoi minimi profili giuridico-formali e pensare – come Claudio De Fiores – che la questione è risolta perché: a) il referendum è stato richiesto nelle forme previste; b) il referendum ha un oggetto puntuale e non presenta i profili dirompenti delle “grandi riforme” soi-disant organiche, che volevano “superare” la Costituzione nel suo complesso. Dunque che il referendum si svolga – certo, con le sacrosante polemiche – ma senza drammi.

Che il referendum abbia perso, con il decorrere dei mesi, la sua forza dirompente e si sia ridotto a una questione di numeri è frutto di un “salvataggio in corner” che hanno cercato tutte le forze politiche, le quali, riducendo il quesito alla sua lettera – alla questione dei numeri – lo hanno banalizzato (per consentire giravolte senza pudore). Il quesito è stato così sterilizzato, complice l’ignoranza di molti costituzionalisti che hanno stabilito un nesso concettuale – che non esiste – tra numerosità degli eletti e qualità della rappresentanza elettiva.

Politica e “dottrina”, tenendosi a braccetto, hanno abbandonato il campo del vero contendere (gettare nella spazzatura con un plebiscito l’idea stessa di rappresentanza democratica). Questa era la sua portata dirompente, che non era affatto minore dei precedenti tentativi di riforme, ma semmai maggiore.

I precedenti tentativi saltabeccavano qua e la, per dire che la Costituzione è morta, “superata”. Questo andava direttamente al cuore di tutto il sistema costituzionale, che si regge sul “fatto” della rappresentanza politica, che è un fatto che non esiste più, perché il degrado del rappresentante e del rappresentato hanno trascinato a fondo entrambi. Non è necessario essere dei genî per sapere che «il» problema della filosofia politica e del costituzionalismo è trasformare in «un» corpo politico (per quanto conflittuale al suo interno) un volgo disperso dedito alla reciproca lotta bestiale. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’opera si è interrotta, e non è riuscita. Siamo tornati a uno stato di natura.

L’articolo di Livio ci fa pensare che sia stata un bene questa rimozione, questo ridimensionamento, questo abbandono della questione bruciante, che non sarebbe oggi affrontabile. Ed è indubbiamente vero. Ma che resta sotto la cenere.

Gli autori

Mario Dogliani

Mario Dogliani, già professore di Diritto costituzionale nell’Università di Torino, è socio dell’Accademia delle scienze di Torino e componente della direzione di numerose riviste giuridiche. È vicepresidente del Centro studi per la riforma dello Stato.

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