Il mondo trema per gli effetti che il coronavirus potrebbe avere sull’economia. L’OCSE parla di «rischio senza precedenti» per l’economia globale, che potrebbe addirittura dimezzare la sua crescita. Nella migliore delle ipotesi quest’ultima potrebbe lasciare sul campo di battaglia un mezzo punto percentuale, ma non è escluso che da una stima iniziale del 2,9% si possa scendere a un effettivo 1,5%.
C’è un problema dal lato dell’offerta (chiusura delle fabbriche, blocco della catena internazionale del valore) e un problema dal lato della domanda, quella interna e quella estera. L’isolamento di intere aree geografiche, l’inasprimento delle misure di prevenzione, la paura, stanno infliggendo colpi durissimi all’economia globalizzata, molto più di quanto abbia fatto la grande crisi finanziaria del 2007-2008.
È una situazione inedita che richiede una fuoriuscita dall’ordinario. Non basta più che la FED, la Banca centrale degli Stati Uniti, tagli i tassi d’interesse di mezzo punto o che la BCE pensi a nuove iniezioni di liquidità nel sistema bancario, attraverso il quantitative easing o il rifinanziamento a tassi agevolati degli istituti di credito. È ridicolo che in una situazione così eccezionale si insista ancora e unicamente sul «meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’economia reale».
In Europa, peraltro, questo «meccanismo» ha dimostrato tutta la sua fallacità in questi anni. La politica ultra-espansiva della BCE (tassi a zero o sottozero e liquidità a iosa per le banche) coniugata con l’austerità fiscale si è rivelata acqua fresca per l’economia, come dimostra l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo nell’ultimo decennio. Siamo ancora lontani dal target del 2% fissato a Francoforte e ben al di sotto dei valori del 2011-2012, gli anni della cosiddetta «crisi dei debiti sovrani». L’inflazione, se è troppo alta, mangia il potere d’acquisto di stipendi, salari e pensioni. Ma se è troppo bassa, significa che la gente non spende, perché risparmia o, soprattutto, perché non ha soldi da spendere. Proprio come in Europa, dove alcuni Paesi come l’Italia rimangono sull’orlo della deflazione, con conseguenze importanti anche sulla sostenibilità dei conti pubblici. È a tutti evidente, infatti, che un’inflazione più alta gioverebbe anche al debito pubblico, la cui sostenibilità è valutata in rapporto al PIL. Ma questa è un’altra storia, torniamo all’emergenza.
I soldi servono, ma devono arrivare all’economia e ai cittadini. In Europa, l’autorità monetaria non è una monade ma un «sistema» (Sistema europeo delle banche centrali, SEBC), composto dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Quando si dice, a proposito del quantitative easing, che la BCE stampa soldi per comprare dalle banche private titoli di Stato dei Paesi membri, si dice una cosa solo in parte corretta. In realtà, ogni banca nazionale compra i titoli del suo Paese in proporzione alla quota di capitale della BCE che possiede, assumendosi direttamente il rischio di insolvenza che ne deriva. Più semplicemente: la BCE stampa i soldi e le banche centrali nazionali li prendono in prestito per acquistare titoli di Stato dalle banche commerciali. Queste ultime sostituiscono titoli illiquidi con moneta fresca.
Ma questa moneta rimane intrappolata nel circuito bancario e della speculazione, non arriva all’economia, alla società, ai cittadini. Parliamo, dal 2015 ad oggi, della bellezza di 3 mila miliardi di euro. Se solo un terzo di questa massa di denaro creato dal nulla fosse stato utilizzato per investimenti e sostegno al welfare state, a parte l’inflazione e il PIL, in Europa ci sarebbero meno disoccupati e staremmo tutti meglio.
L’epidemia intanto ha messo sul piatto una serie di esigenze: c’è bisogno di più soldi per la sanità (strutture, dispositivi, personale) e soldi per non far collassare il sistema produttivo (sostegno alle imprese più a rischio e rilancio della domanda interna). In sostanza, lo Stato deve spendere di più, molto di più. Anche Confindustria è convinta che adesso «la domanda pubblica deve compensare l’arretramento di quella privata» (quando tutto precipita, il laissez-faire può attendere) e propone un piano da mille miliardi per l’Europa da finanziarsi con l’emissione di eurobond. Un concetto tipicamente keynesiano da parte di chi, nelle situazioni di normalità, fa generalmente professione di fede nelle magnifiche sorti e progressive del mercato.
Nel caso europeo, nondimeno, la soluzione potrebbe essere ancora più semplice (e più efficace), senza mettere in discussione l’architettura dell’euro. Nel quadro di alcuni parametri fissati dalla Commissione (tenendo conto della crescita, dell’inflazione, della disoccupazione di ciascun Paese), ogni singola banca centrale nazionale andrebbe a finanziare una quota di spesa pubblica statale attraverso l’acquisto, direttamente dal Tesoro, di bond appositamente emessi. Una sorta di «coronavirus bond», senza scadenza, perpetui, il cui rendimento sarebbe scontato agli Stati attraverso l’incasso dei diritti di signoraggio.
Niente paura, più o meno è già così. Oggi, ogni banca nazionale ha un cosiddetto «reddito monetario», derivante dal flusso di interessi sugli attivi detenuti come contropartita (titoli di Stato) delle banconote in circolazione e dei depositi bancari. Questo reddito, dopo aver fatto il giro di Francoforte, ritorna alle banche nazionali che, a loro volta, lo girano agli Stati. Una partita di giro, appunto.
Sarà per questo che, a proposito del denaro, si parla spesso di «magia». Il problema, però, è che dei suoi prodigi gli unici a non goderne pienamente sono i cittadini. Dai tempi in cui la moneta coincideva con il pezzo di metallo nel quale era stata coniata ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi il denaro, nella forma di moneta non coperta da riserve auree o di altri materiali, costituisce una «variabile manovrabile» da parte dell’autorità politica, per il governo dell’economia e della società. Bisogna solo liberarlo dalla gabbia neoliberista in cui è trattenuto.
..”le criptovalute e, più in generale, la distributed ledger technology potrebbero utilmente porre le basi per dar vita a soluzioni capaci di rendere più efficiente o, secondo i più ottimisti, di trasformare radicalmente l’attuale sistema economico.
Lo sviluppo di risposte regolatorie efficaci in merito alle criptovalute è ancora in una fase iniziale: si tratta di un ambito difficile da disciplinare, rientrando nella competenza di differenti soggetti pubblici a livello nazionale e operando, al contempo, su scala globale”. ….lo dice la Consob ed io sottoscrivo. Ripartiamo dalla Blockchain .