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Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui "Il Manifesto", "Micromega", "Economia e Politica". Tra i suoi libri più recenti: "Metamorfosi del denaro" (manifestolibri, 2020).
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I vaccini sono assoggettati in toto alla logica del mercato. A differenziare un vaccino e un diamante non è la diversità dell’uso ma solo quella del prezzo. E nemmeno ce ne accorgiamo: il problema sembra il ritardo nelle forniture e non il fatto che un bene essenziale venga prodotto in funzione dei guadagni che produce.
Siamo, almeno a parole, alla vigilia della transizione verde e digitale. Forse essa aiuterà a uscire dalla crisi. Ma ciò può avvenire con l’economia in equilibrio (e più verde) e la società a pezzi, oppure con una nuova economia capace di tenere insieme piena occupazione e dignità/stabilità/libertà del lavoro. E non è la stessa cosa…
Dall’Europa arriveranno (probabilmente) molti soldi, anche se in gran parte da restituire. A condizione che “si facciano le riforme”: più flessibilità lavorativa, meno tasse e nuovi incentivi alle imprese, appalti più semplici, privatizzazioni. C’era bisogno di un garante: chi, data la sua storia, meglio di Draghi?
Con il Recovery fund sono in arrivo, tra sovvenzioni e prestiti, 209 miliardi di euro. Sul loro utilizzo c’è una bozza di piano. Ma in essa le parole “disuguaglianze”, “povertà”, “assunzioni” non compaiono. Così la situazione sociale resterà immutata e continueremo a dividerci tra chi ha tutto, chi ha poco e i troppi che non hanno niente.
Negli ultimi decenni le concezioni economiche delle classi dominanti sono state elevate a teorie oggettive. Così, per esempio, desta scandalo la proposta di cancellare i debiti contratti dagli Stati per la pandemia. Per questo, ai fini della trasformazione dell’esistente, occorre affiancare al conflitto sociale la “lotta delle idee”.
Non si può uscire dalla crisi con misure tampone. Servono misure strutturali che modifichino in profondità gli assetti socioeconomici. Tra queste il reddito di base: non un reddito per stare a casa e istituzionalizzare la povertà, ma ciò che serve per consentire a milioni di persone di partecipare al processo produttivo in condizione di maggiore libertà.
La legge di bilancio varata dell’esecutivo spagnolo ha importanti elementi di novità: tra l’altro l’aumento delle aliquote IRPF per i redditi da lavoro e da capitale più elevati e una piccola patrimoniale. Non è il “socialismo” ma un tentativo di non far pagare la crisi solo ai ceti popolari.
La nota di aggiornamento al DEF evoca un rilancio della «crescita in chiave di sostenibilità ambientale e sociale». Intento lodevole ma non sorretto, nonostante l’attenuarsi dei vincoli europei, da proposte adeguate. A cominciare dalla riforma del fisco a beneficio delle classi medie: davvero poca cosa e non certo una priorità.
I soldi, oggi, ci sono. In cinque mesi, sono stati stanziati oltre 100 miliardi (l’equivalente di dieci manovre). Ma, come sempre, sono stati dirottati verso le imprese e con piccoli bonus per i ceti popolari. Senza tenere conto che non si compensa il crollo della spesa privata senza un aumento proporzionale della spesa pubblica.
Alla fine del braccio di ferro di Bruxelles i soldi messi a disposizione dall’Europa non sono pochi, almeno per l’Italia. Il problema è se queste risorse verranno utilizzate per coniugare stimolo all’economia e giustizia sociale oppure a vantaggio dei soliti noti. Le premesse non sono incoraggianti.