La storia, il potere, la propaganda

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«Oggi c’è tra gli storici concordia nell’assegnare il titolo di resistente a tutti coloro che, con le armi o senza, mettendo in gioco la propria vita, si oppongono a una invasione straniera. […] Nelle prime ore del mattino del 24 febbraio siamo stati tutti raggiunti dalla notizia che le Forze armate della Federazione Russa avevano invaso l’Ucraina. […] Pensando a loro, mi sono venute in mente […] le parole: “Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor”». In questo passaggio del discorso che il presidente della Repubblica ha pronunciato lo scorso 25 aprile, il passato viene usato per legittimare una lettura del presente, che a sua volta legittima moralmente una scelta politica del governo – quella di inviare armi all’Ucraina invasa da Putin. È un uso di Stato della storia, che non rinuncia a rivendicare per sé un consenso (addirittura unanime) della storiografia.

Non è certo la prima volta: l’uso del calendario civile (con l’istituzione del Giorno del Ricordo e della recente Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini) è l’esempio più clamoroso di questa appropriazione della storia da parte della politica. Ed è un processo pericoloso, difficilmente conciliabile con la scelta dei costituenti, che affidarono la verità storica alla libertà della ricerca (articoli 9 e 33), non alla manipolazione del potere. Eric Hobsbawm ha spiegato perché: «Il vero pericolo è cercare d’interferire con la ricerca della verità storica attraverso il potere o il diritto. Gli esempi non mancano, specialmente negli ultimi trent’anni quando la storia – sotto forma di cerimonie e commemorazioni pubbliche finanziate dallo Stato, musei, beni artistici, costruzioni a tema, eccetera – si è moltiplicata. […] La possibilità di stabilire verità storiche a suon di decreti o atti parlamentari ha tentato i politici, ma non può avvenire negli Stati costituzionali. Gli Stati dovrebbero ricordarsi di quanto disse Ernest Renan: “Dimenticare la storia, o anche comprenderla male è uno dei maggiori elementi nella costruzione di una nazione. Ragion per cui il progresso degli studi storici è spesso un pericolo per il nazionalismo”. Ritengo un simile pericolo il dovere principale degli storici». Questa maledetta guerra ha invece resuscitato, insieme a tutti gli altri fantasmi del nazionalismo, anche l’uso della storia da parte di presidenti e parlamenti. Fin dall’innesco: il mostruoso discorso neo-zarista e pan-russista con cui Putin ha dichiarato la guerra, manipolando la storia al servizio di un’ideologia imperialista. La dichiarata volontà di de-nazificare l’Ucraina (esibita da un Putin che finanzia neofascisti e neonazisti di tutti i paesi europei, Italia compresa) fa parte di questo abuso della storia, così come le indegne parole del ministro Lavrov su Hitler e gli ebrei, o l’equiparazione da parte di Zelensky tra il martirio della sua nazione e la Shoah, o appunto il tentativo di dire che la resistenza ucraina è esattamente uguale alla resistenza italiana contro i nazifascisti. Sono tutti casi in cui una lettura non scientifica del passato serve a piegare la storia alle esigenze politiche del presente: la prima vittima della guerra è la verità, intesa anche come verità storica.

Non è, del resto, solo la guerra: Hobsbawm cita i musei e i beni artistici, e i rischi del loro uso politico. Per festeggiare il primo maggio, pochi giorni fa il Quarto Stato è stato portato dal Museo del Novecento di Milano a Palazzo Vecchio a Firenze, dove è servito da sfondo per la propaganda politica dei sindaci di Firenze e Milano e del ministro del Lavoro. Così il centro-sinistra ha usato un’opera d’arte in proprietà pubblica per accreditare l’idea di essere dalla parte dei lavoratori. Nel Quarto Stato, Pellizza da Volpedo reagisce a ciò che aveva visto a Milano nel 1898. Allora il generale Bava Beccaris aveva fatto sparare sui dimostranti che manifestavano per il pane, e per la dignità del loro lavoro: ottanta morti rimasero a terra, tra centinaia di feriti. Umberto I pensò bene di ricompensare il generale macellaio facendolo grande ufficiale, e senatore. Il quadro mostra quei lavoratori risorti e in marcia, circonfusi dal sole dell’avvenire. E nel 1920 una raccolta di fondi in cui si tassarono anche braccianti e poveri (gli stessi che avevano posato per Pellizza) permise al Comune di Milano di acquistare il Quarto Stato. Chiunque può giudicare quanto appartengano a questa storia di lotta gli atti politici di Nardella, Sala e Orlando. A me è venuto in mente il verso in cui Salvator Rosa denuncia l’ipocrisia dei signori della Roma barocca, che si appendevano in casa quadri che rappresentavano i poveri mendicanti che nella realtà opprimevano: «quel che aborriscon vivo, aman dipinto».

Ma, comunque la si pensi, sarebbe ora di porre un limite all’uso politico della storia e del patrimonio culturale: se non vogliamo assomigliare a quel totalitarismo putiniano che diciamo di voler combattere in nome dei valori della democrazia.

L’articolo è comparso anche su Il Fatto Quotidiano

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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2 Comments on “La storia, il potere, la propaganda”

  1. Grazie Professore per essere sempre una voce chiara e precisa in questi giorni di caos e paura. Sono una signora di 70 anni e spero con tutto il cuore che i nostri giovani, e magari tutti i giovani del mondo, non abbiano a soffrire per una guerra di qualsiasi tipo ed estensione.
    Potessimo abolire la produzione di armi ed investire quei soldi, privati o pubblici che siano, in istruzione, sanità e benessere sociale oltre che in uno sviluppo meno devastante per il pianeta.
    Purtroppo la maggioranza delle persone hanno perso la loro umanità ed il senso della vita stessa.
    Un sincero saluto
    Rita

  2. E come si pone un limite all’uso politico della storia? Vietiamo ai politici di parlarne? Facciamo valutare i loro discorsi dall’Accademia degli Storici prima di farli pronunciare in pubblico? Montanelli scrisse la sua Storia d’Italia in diretta polemica con gli storici di professione che scrivevano solo per altri storici. Penso avesse ragione.

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