Torino. Dedicare una via a Valletta?

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Per alcuni giorni sul sito del Corriere della Sera, nell’edizione torinese, un articolo di Aldo Cazzullo propone l’intitolazione di una via a Vittorio Valletta… per rimediare alla dimenticanza da parte di Torino, una città con “identità incerta”, di un uomo che risollevò le sorti della FIAT quando, all’indomani della Liberazione, ne divenne presidente. Ruolo mantenuto fino all’aprile del 1966 quando Gianni Agnelli prese direttamente in mano l’Azienda automobilistica.

Non è una proposta condivisibile ma può essere un’occasione per una seppur breve riflessione sulla storia della Torino operaia e antifascista: il nostro passato prossimo che ci sembra invece ormai remoto.

Proprio nell’ottimo libro di Cazzullo, che merita di essere letto: I ragazzi di Via Po 1950-1961. Quando e perché Torino ritornò capitale (Mondadori, 1997) c’è il curriculum di Valletta: un insieme di iniziative antisindacali, anticomunismo, imposizione di ferrea disciplina. E non manca il finanziamento diretto del movimento “Pace e Libertà” di Edgardo Sogno che, insieme a Luigi Cavallo, progettò un colpo di Stato, golpe bianco, con lo scopo di trasformare l’Italia in una Repubblica presidenziale. L’inchiesta del magistrato Luciano Violante, che nel 1976 portò all’arresto di Sogno, si arenò per il muro di gomma trovato nel Ministero degli Interni.

Valletta, all’indomani della Liberazione, venne condannato all’epurazione dal CLN, per il collaborazionismo attivo con il regime fascista, ma si salvò e venne reintegrato alla FIAT, come la famiglia Agnelli, grazie alle pressioni degli Alleati. Per rimettere in moto l’azienda ottenne ingenti finanziamenti USA, subordinati a una dura linea anticomunista a danno della FIOM, e realizzò il suo progetto di trasformazione della FIAT per produrre l’auto di massa, sviluppando a Mirafiori l’organizzazione del lavoro fordista di cui il simbolo fu la catena di montaggio.

Furono gli anni della trasformazione della classe operaia: sempre più emarginata quella specializzata e maggiormente sindacalizzata a favore di quella meno qualificata, ideale appendice della macchina che decide e impone i tempi e i modi di produzione. Furono gli anni della durissima repressione contro la FIOM (allora sindacato di classe e ampiamente maggioritario), dei circa mille licenziamenti per rappresaglia, dei reparti confino (come l’Officina Sussidiaria Ricambi dove venivano ghettizzati i delegati della FIOM), del finanziamento, per dividere i lavoratori, dei sindacati filo padronali tra cui il SIDA.

La stessa Torino, travolta da un’imponente immigrazione a cui non sapeva e non poteva dare risposte in termine di casa e servizi adeguati, venne condizionata nello sviluppo urbanistico e piegata nei suoi ritmi sociali a quelli produttivi della FIAT. Per spiegare al meglio il clima del controllo sulla “città-fabbrica” basti ricordare la schedatura che in quegli anni FIAT e Questura, in diretta collaborazione, fecero a danno di 350.000 persone, operai e familiari, sindacalisti, giornalisti, raccogliendo dati e informazioni su opinioni politiche e vita privata.

Inoltre c’è il ruolo, fondamentale e negativo, di Valletta nel declino dell’Olivetti. Quando la FIAT entrò nel capitale dell’azienda di Ivrea, all’indomani della morte di Adriano Olivetti, una sua famosa frase («La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare, senza grosse difficoltà, il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana potrà affrontare») suonò come una pietra tombale. Non si trattò solo di favorire l’americana General Electric (c’era una cambiale da pagare?) ma anche di fermare la moderna visione, mal sopportata da Confindustria, di un rapporto più equilibrato tra industria e operai e territorio.

Il sistema vincente di Valletta subì una forte battuta di arresto solo con lo sciopero di tre giorni del luglio 1962 e gli scontri di Piazza Statuto cui seguì, con Agnelli diventato presidente, un’altra tappa fondamentale della lotta operaia: gli scontri di corso Traiano del 3 luglio 1969; ma questa è un’altra storia da raccontare.

A Torino c’è via dei Platani ma non vie intitolate a Franco Platania, a Emilio Pugno, a Sergio Garavini, a Giovanni Alasia, ad altri operai e sindacalisti che hanno fatto la storia di una città operaia.

Dopo lo smantellamento della FIAT-Mirafiori, Torino non può, cercando la sua nuova identità, rimuovere il protagonismo delle tute blu.

Gli autori

Giovanni Vighetti

Giovanni Vighetti vive a Bussoleno ed è esponente del Movimento No Tav

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