Dei quattro candidati che avevano ricevuto i maggiori consensi al primo turno delle elezioni presidenziali in Ecuador uno, Guillermo Lasso, era un banchiere neoliberale e tre si presentavano con proposte di sinistra: Andrés Arauz, candidato della aggregazione politica Rivoluzione Cittadina che ha come riferimento Rafael Correa, Yaku Perez candidato dei movimenti indigeni e Xavier Herbas, imprenditore di Sinistra Democratica partito aderente alla internazionale socialista (https://volerelaluna.it/mondo/2021/02/12/ecuador-una-svolta-politica-incerta/). Apparentemente, la sinistra non poteva non vincere, ma, invece, ha avuto ragione il banchiere quando, subito dopo le elezioni del primo turno, ha affermato: «Congratulazioni al popolo ecuadoriano, perché più del 65% dell’elettorato ha detto no al modello totalitario e populista …». E così è stato. Il candidato neoliberale ha vinto al secondo turno con il 52,36% contro il 47,64 del candidato di sinistra. Una sconfitta, ma un consenso elettorale così in Italia appartiene al mondo dei sogni. (fulvio perini)
Cosa ha causato la sconfitta elettorale del candidato dell’Unione per la speranza (UNES) Andrés Arauz nelle elezioni dell’11 aprile contro il banchiere e riciclatore di denaro Guillermo Lasso? È vero, il correísmo ha dovuto affrontare colossali avversità per sopravvivere e competere per le elezioni: persecuzione politica, processi fabbricati, incarcerazione, esilio della sua leadership storica, linciaggio senza precedenti da parte dei media, risorse finanziarie esigue rispetto a quelle dei suoi avversari, l’opposizione degli Stati Uniti e delle oligarchie. Ma è naturale attendersi queste reazioni dallo Stato imperiale e dalla destra. Il voto delle altre forze popolari, distinte rispetto alla esperienza di Rivoluzione Cittadina (RC) di Correa (che identificano come il nemico principale, prima del neoliberalismo e dell’imperialismo indicando ai propri militanti e ai propri elettori di annullare il voto), impone di andare a fondo nell’analisi delle cause che hanno portato a questo esito.
La Confederazione degli indigeni di nazionalità dell’Ecuador (CONAIE) ha sostenuto l’annullamento del voto (circa il 30 per cento dei votanti), anche se molti indigeni hanno votato per il banchiere. Questo orientamento si evidenzia nei dati di Pichincha, dove si trova Quito, in cui il candidato alla presidenza Guillermo Lasso ha ricevuto il 30% dei voti mente il suo partito si è fermato al 17. Un andamento simile è accaduto con il voto di Xavier Hervas, della Sinistra Democratica (ID), un’altra forza popolare. Ma non sarebbe serio dare la responsabilità della sconfitta di Andrés agli indigeni e ai sostenitori dell’ID. Sebbene la leadership di queste forze abbia sposato il settarismo, il rifiuto intransigente verso Correa, il dogmatismo o la mancanza di principi, i leader di Rivoluzione Cittadina devono una spiegazione ai loro seguaci, al popolo ecuadoriano e a tanti che erano e sono solidali con la loro forza politica. Che Lasso abbia superato Andrés con un vantaggio di quasi mezzo milione di voti non ha una spiegazione semplice.
Questo vantaggio è un duro colpo per Rivoluzione Cittadina e i colpi, seppur ancora non chiari, si estenderanno a tutte le organizzazioni sociali e alla gente comune che molto presto dovranno affrontare, in condizioni sfavorevoli e disuniti, un terribile assalto di politiche antipopolari, di smantellamento di quel che resta dei servizi pubblici e del lavoro e dei diritti sociali conquistati durante i governi di Rafael Correa, che andranno ben oltre il feroce neoliberismo del presidente uscente Lenín Moreno, il più odiato nella storia contemporanea del Paese (https://volerelaluna.it/mondo/2021/02/12/ecuador-una-svolta-politica-incerta/). È noto che Moreno ha governato con l’appoggio determinante di Lasso, il quale, grazie a un’astuta e mendace trovata pubblicitaria del suo consulente Jaime Durán Barba ‒ già consulente del presidente argentino Macrí ed esperto di guerra sporca avendo a disposizione notevoli risorse finanziarie nelle attività di sostegno della destra in America Latina ‒, ha indotto buona parte dell’elettorato a credere il contrario. Una delle ultime imprese di Moreno e del banchiere è la privatizzazione in corso della Banca Centrale, una misura che impedirà all’istituto di difendere gli interessi nazionali e garantirà benefici ancora maggiori ai banchieri, accentuando al contempo l’impoverimento dei settori popolari. Inoltre, la vittoria di Lasso implica anche una maggiore subordinazione agli Stati Uniti, un’opposizione all’unità e all’integrazione regionale e l’istituzione di un’alleanza con i presidenti colombiani Uribe-Duque nell’azione contro il Venezuela, i governi e le forze progressiste della regione.
È antologia ricordare che al secondo turno delle elezioni del 2017, Yaku Pérez, anche allora candidato del movimento indigeno CONAIE, dichiarò di preferire votare per un banchiere, in riferimento a Lasso, piuttosto che per un dittatore, alludendo a Moreno, che pure non aveva ancora consumato il tradimento con chi lo aveva eletto. Pérez ha il sostegno del CONAIE ma non ha alcun rapporto con altri movimenti sociali mentre lo ha, e ottimo, con l’ambasciata americana e con una ONG imperialista e ambientalista light. Ha tutte le tracce di un agente insediato dalla CIA per dividere ulteriormente il movimento indigeno (basta ricordare che si schierò in appoggio al golpe contro Evo Morales in Bolivia, ndr).
Il CONAIE ha un ammirevole record di ribellioni che hanno rovesciato diversi presidenti neoliberali, ma da quando ha fatto parte del governo di Lucio Gutiérrez, ha iniziato una deriva per la mancanza di principi e per la corruzione di alcuni dei suoi leader. Durante il primo governo di Correa, non ha condannato il colpo di stato del 2010, apertamente sostenuto dal suo braccio politico, Pachacutik. Per quanto ne sappiamo, niente di tutto questo è stato oggetto di un’analisi autocritica da parte dei leader del movimento indigeno. Speriamo di sentirla presto. Così come speriamo anche di leggere presto una valutazione critica di questa natura da parte da parte di coloro che hanno sostenuto Andrés Arauz, la coalizione UNES, poiché è molto chiaro che gli indigeni non sono oligarchi e che i leader di Rivoluzione Cittadina non si sono adeguatamente impegnati per giungere, con la dovuta umiltà, a un dialogo con questo settore indispensabile per il progetto liberatore andino-amazzonico.
Nulla dovrebbe essere lasciato fuori dall’analisi, compreso il fatto se debba essere ritenuto corretto che Correa fosse assente dal paese e dalla guida del movimento senza poter contare su un partito e un movimento sociale organizzato.
L’articolo è stato pubblicato su Rebelion il 17 aprile 2021
La traduzione è di Fulvio Perini