Venezia: il Mo.S.E. non è la soluzione

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Il 22 novembre 2022 (con un marea di 173 cm. sul livello medio del mare davanti alla bocca di porto del Lido e con punte di addirittura 203 cm. in Alto Adriatico) è stata, a Venezia, la terza “acqua granda” di sempre, dopo il 4 novembre 1966 (+ 194 cm) e il 12 novembre 2019 (+ 187 cm) e sono state, conseguentemente, atttivate le paratoie del sistema Mo.S.E. Il sistema è stato poi attivato per altri tre giorni consecutivi,  il 23, 24 e 25 novembre per maree più contenute rispettivamente di + 145, + 134 e + 114 cm. con un costo stimato di quasi 850.000 euro. Gli eventi catastrofici legati all’innalzamento del livello del mare in passato si registravano con frequenza di qualche decennio ora si registrano più frequentemente. È l’effetto dei cambiamenti climatici. Dopo estati con temperature record dei mari che si mantengono tali per tutto l’autunno, repentinamente si scaricano livelli straordinari di energia con veri e propri cicloni. Quello del 22 novembre scorso – denominato “Poppea” – solo nel litorale di Sottomarina di Chioggia ha provocato danni per oltre due milioni di euro, quattro milioni comprendendo Eraclea, Caorle, Jesolo ecc. Come si è detto, la più alta marea mai registrata a Venezia si era verificata nel 1966, la seconda 53 anni dopo nel 2019, la terza solo 3 anni dopo nel 2022. E le previsioni per il prossimo futuro non indicano nulla di buono, vista l’impossibilità di mantenere gli obiettivi della COP di Parigi 2015 e il sostanziale fallimento della COP 27 conclusasi in questi giorni a Sharm El Sheikh. Senza contare la sostanziale marcia indietro anche del nostro Paese sulla decarbonizzazione, di fronte alla crisi energetica da guerra in Ucraina: ritorno al carbone e al gas e progettato ritorno alle trivellazione anche in Adriatico, con il pericolo della ripresa della subsidenza in tutta la costa. Eustatismo e subsidenza sono esiziali, non solo per Venezia e la Laguna, ma per tutto l’arco costiero dell’Alto Adriatico.

A fronte di questo evento straordinario, le paratoie del sistema Mo.S.E., in funzione in modalità provvisoria (i lavori non sono ancora conclusi e l’opera non è ancora stata consegnata e collaudata), hanno salvato Venezia, Chioggia e gli altri centri urbani lagunari dalla devastazione. Devastazione che invece c’è stata lungo tutti i litorali, da Grado fino al Delta del Po. Naturalmente siamo tutti felici che le barriere abbiano arginato la marea e tenuto Venezia all’asciutto, ma riteniamo infondata e strumentale la canea che si è aperta contro gli ambientalisti e i tecnici indipendenti che hanno sempre criticato l’opera (https://volerelaluna.it/commenti/2019/11/14/venezia-muore-annegata-ma-non-per-il-maltempo/). Una canea aperta dal neo ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (che si è subito lanciato contro “quelli del No”: i No Tap, i No Tav ecc., e che nessuno pensi di opporsi al Ponte sullo Stretto di Messina riemerso nel programma di governo!) e cavalcata dal sindaco di Venezia (che ha tuonato contro i No Mo.S.E. e i No Grandi navi) mentre c’è chi, tra i giornalisti più vicini al potere, vuole insistentemente che gli ambientalisti chiedano pubblicamente scusa. Dimenticando, tra l’altro, che non è colpa degli ambientalisti se un’opera pensata nell’altro secolo, dopo l’alluvione del 4 novembre 1966, è ancora da concludere dopo i ritardi, le ruberie e gli scandali rivelati dalla “retata storica” del 14 giugno 2014. Il primo “progettone” di barriere mobili è del 1981; il prototipo del Modulo sperimentale elettromeccanico (il Mo.S.E., appunto) è del 1988; il progetto definitivo è del 2002 e l’inizio lavori è del 14 maggio 2003, mentre la consegna dell’opera sarebbe prevista per il 31 dicembre 2023.

Scienziati e tecnici indipendenti, assieme con gli attivisti No Mo.S.E., non erano e non sono per il No a tutto. Le critiche consistono nell’aver affidato per legge a un unico soggetto (il Consorzio Venezia Nuova) gli studi, la progettazione e le opere della salvaguardia, generando un monopolio tossico che ha impedito il confronto con altre soluzioni meno costose e impattanti sull’ecosistema. Lo dimostra la vicenda giudiziaria del Mo.S.E. in cui è emerso che le regalie e le retrocessioni di fatture erano volte a costruire il consenso politico, in modo bipartisan, per fare approvare il progetto più costoso e sbagliato. Nel 1998 la Commissione Nazionale di Valutazione di Impatto Ambientale bocciò il progetto Mo.S.E. e solo per decisione politica si decise di proseguire e nel 2006, di fronte all’opposizione del Comune che – sindaco Cacciari – aveva proposto una serie di progetti alternativi, il Governo Prodi decise di proseguire senza neppure considerarli: con gli arresti del 2014 si capì il perché. Sono sei i miliardi spesi fino ad ora, di cui uno andato in corruzione.

Solo i critici più superficiali del Mo.S.E. pensavano che “non avrebbe funzionato”, nel senso che non si sarebbe mai riusciti a tirare su le 78 paratoie incernierate nei cassoni posati sul fondo delle tre bocche di porto, separando il mare dalla Laguna. Le critiche consistevano nell’aver finanziato solo il Mo.S.E tralasciando tutte le altre opere sistemiche volte a ripristinare l’equilibrio idrogeologico della laguna manomesso con le opere dell’età industriale (dallo scavo dei profondi canali navigabili, agli interramenti per realizzare l’area industriale ed altre infrastrutture). Pensiamo al ripristino della morfologia lagunare, alla riapertura delle valli da pesca privatizzate e confinate alla espansione dell’onda di marea, alla ricalibratura del Canale dei petroli che ha aumentato la velocità delle correnti erosive in tutta la Laguna centrale. Gli ambientalisti propugnavano e propugnano gli interventi per insulae, con l’intento di rialzare i piani di calpestio delle fondamenta e i piani terra degli edifici. Solo ora stanno partendo i cantieri per rialzare l’insula di piazza San Marco che va sotto con una marea di soli 80 cm. sul l.m.m., e quindi ben al di sotto della quota di progetto del sistema Mo.S.E. (le paratie si alzano con una previsione di marea di +110 cm.).

Le critiche al Mo.S.E. riguardano dunque, anzitutto, la mancanza di interventi sistemici, da fare preliminarmente alle opere di chiusura delle bocche di porto. Ma ci sono anche critiche al tipo di barriere che sono state realizzate. Innumerevoli sono le criticità: dalle incrostazioni degli apparati tutti sottomarini alla necessità di una manutenzione dagli altissimi costi (stimati in circa 100 milioni di euro annui) e alle spese di gestione e manovra delle paratie. E soprattutto il pericolo di risonanza delle paratie in condizioni meteomarine particolari, cioè in presenza di un’onda alta 2,5 metri con una frequenza d’onda di 8 al secondo, allorché le paratoie cominciano a oscillare attorno alle cerniere, inficiando l’effetto barriera e divenendo instabili. Finora tali condizioni (descritte dalla perizia della società francese Principia, effettuata per conto del Comune di Venezia nel 2009) non si sono verificate: neppure il 22 novembre quando – come ha segnalato alla stampa locale l’ing. Di Tella, autore con altri di un progetto alternativo al Mo.S.E. (la paratoia a gravità) – i venti alla bocca di Lido soffiavano in senso opposto alle onde. Ma il pericolo che ciò accada è incombente.

Saranno, peraltro, i cambiamenti climatici ad affondare il Mo.S.E., e molto più in fretta di quanto prevedevano i tecnici e gli scienziati indipendenti critici fin dall’inizio sulla grande opera alle bocche di porto. Il sistema era stato progettato per funzionare sei o sette volte l’anno, con una marea superiore ai 110 cm. sul l.m.m. Invece già in questo mese di novembre è stato attivato sei volte. Il progetto definitivo del 2002 si basava su una previsione di innalzamento dei livelli medi del mare di soli 22 cm. (17 di eustatismo e 5 di subsidenza) e ciò pur se le prime previsioni del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) del 1995 segnalavano ben altro. Ma oggi l’IPCC stima per fine secolo, in uno scenario ottimistico, un innalzamento di 28-55 cm e, in uno più realistico-pessimistico, di 63-101 cm. La sottovalutazione degli effetti dei cambiamenti climatici ha agevolato la scelta di un progetto pensato per entrare in azione qualche volta l’anno e per qualche ora ogni volta mentre solo in questo scorcio di fine novembre la Laguna è stata chiusa al mare per quattro giorni, con aperture solo alla bocca di Malamocco per fare entrare le navi in porto. Ma chiudere troppe volte la Laguna al mare significa rinunciare a un porto al suo interno (anche se, paradossalmente, il nuovo Governo sembra intenzionato, come vogliono il presidente della Regione Zaia e il sindaco Brugnaro, a raddoppiare il canale dei petroli e scavare il Canale V. Emanuele III per riportare le grandi navi da crociera in Marittima, entrando in Laguna dalla porta secondaria) e farla morire dal punto di vista ecologico e biologico, trasformandola in un lago salato (come sostengono non solo i soliti ambientalisti del No ma anche la prestigiosa rivista scientifica Nature: https://www.lescienze.it/news/2018/12/03/news/inondazione_venezia_mose_danni_laguna_alternative-4212260/).

Che Dio ce la mandi buona nei prossimi anni! E che le barriere del Mo.S.E. funzionino! Ma è evidente che già ora si deve pensare a come contrastare i cambiamenti climatici con riguardo a tutto il comprensorio lagunare, compreso l’entroterra e tutto l’Alto Adriatico. Bisogna chiudere per sempre con il fossile che provoca l’effetto serra, il cambiamento climatico e l’innalzamento dei mari. Bisogna pensare a finanziamenti per la ricerca indipendente su interventi di immissione di fluidi negli strati geologici profondi, volti al sollevamento del sottosuolo lagunare: studi sull’applicazione di tecnologie esistenti all’area lagunare che non sono mai stati fatti, proprio per privilegiare il Mo.S.E. Lo ribadisce, in una lettera alla stampa locale, la professoressa A. Zitelli, già membro della Commissione che espresse il parere negativo di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA): «Nel 1998, nel parere, come compete a un gruppo di seri esperti proprio nella scarsezza di certezze circa l’entità degli effetti del cambiamento climatico, avevamo raccomandato di sviluppare una riflessione sull’area vasta onde inserire la difesa di Venezia in un sistema di interventi territoriali che avessero come fine la ricreazione della difesa di Venezia rappresentata dalla sua Laguna e dal territorio alle spalle, ripristinando così quell’“allontanamento di Venezia dal mare” che l’aveva sempre salvata, e per ultimo, a fronte dell’innalzamento del livello del mare che porta a sempre più frequenti maree invasive, provvedere di dare un franco altimetrico al suolo urbano con lo studio delle tecnologie del sottosuolo». E ora non lo dicono solo gli ambientalisti No Mo.S.E., ma anche il prof. Carlo Giupponi, docente di economia ambientale a Ca’ Foscari, nel suo recente libro Venezia e i cambiamenti climatici, nel quale sostiene che tra qualche decennio il Mo.S.E. non basterà più e che bisogna implementare le ricerche sul blocco della subsidenza iniettando fluidi negli strati geologici profondi.

Intanto una recentissima ricerca di Bankitalia ci fa sapere che l’effetto Mo.S.E. valorizza gli immobili della città, addirittura del 7% per gli appartamenti al piano terra a rischio “acqua alta” e gli altri del 3%. Una buona notizia per il mercato, già drogato, degli immobili in una città insulare dove ben 8.000 sono gli alloggi a locazione turistica su Airbnb. Ormai in un sestiere centrale come S. Croce gli alloggi su Airbnb sono più di quelli rimasti agli ultimi residenti, che in tutta la Venezia insulare e la Giudecca sono meno di 50.000 (nel 1966 – anno della prima “acqua granda” – erano circa 120.000). Se non si inverte la tendenza con il conflitto sociale (che comunque non manca), Venezia, a causa delle politiche estrattiviste in atto da anni e implementate dalle ultime giunte Brugnaro tende a diventare un parco a tema, una Veniceland per l’overtourism, addirittura la prima città al mondo in cui si entra con un ticket, come vorrebbe, dalla prossima estate, il sindaco imprenditore: la definitiva consacrazione che Venezia non è più una città e che la sua Laguna non è più una Laguna, ma uno specchio d’acqua regolato con barriere mobili artificiali.

Gli autori

Stefano Micheletti

Stefano Micheletti è uno dei portavoce dell’Associazione AmbienteVenezia e del Comitato No Grandi Navi - Laguna bene comune

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