Questo bel libro, di splendide immagini e parole – Arte è liberazione, Edizioni Gruppo Abele, 144 pagine e 20 immagini, euro 20 – introdotto con intelligenza e passione da Luigi Ciotti, è prima di tutto uno straordinario esercizio di amicizia, in cui Tomaso Montanari, storico dell’arte, e Andrea Bigalli, prete dei poveri e teologo, mettono insieme le loro diverse competenze e quel che hanno in comune per leggere l’arte del nostro Paese dialogando su alcune grandi opere della nostra storia. E fanno dialogare le immagini con le parole, mettendo in azione uno straordinario detto di Sant’Agostino, ricordato da Papa Francesco in Fratelli Tutti, «l’orecchio vede attraverso l’occhio, e l’occhio ode attraverso l’orecchio». Bellezza e verità vanno infatti insieme, entrambe comprese nell’infinito sentimento della dignità dell’uomo.
Quello che hanno in comune Tomaso e Andrea è la straordinaria storia del cattolicesimo fiorentino. Don Milani, padre Balducci, Dossetti e La Pira, e come questa storia, la loro fedeltà al Vangelo, si incrocia con quella di un padre della Costituzione come Piero Calamandrei. Vangelo e Costituzione sono i riferimenti fondamentali su cui si fonda la loro amicizia e la loro capacità di leggere insieme il presente e la storia. Il Vangelo degli umili e la Costituzione che si propone di rimuovere le ragioni di fondo che trasformano la povertà in minorità di possibilità e di diritti. Li accomuna anche l’indignazione verso il presente della loro città, che si sta progressivamente trasformando da luogo in cui l’arte e la bellezza erano elementi fondamentale di una cittadinanza consapevole, in luogo in cui l’arte viene mercificata, in cui i bed and breakfast scacciano dal centro storico i cittadini, e sempre più frequentemente i beni di tutti si chiudono per diventare beni di lusso per i giochi di società e di mercato dei ricchi. E l’arte diventa così progressivamente un catalogo di capolavori da sponsorizzare distaccati dal loro contesto e dal paesaggio in cui sono immerse. Spezzando così l’unità fra pietre e popolo, fra arte e natura che è la caratteristica più importante e più vera del patrimonio artistico del nostro Paese.
È questa unità inscindibile che il dialogo fra i due amici vuole recuperare, in un viaggio dall’Abbazia di Novalesa ai murales di Orgosolo, passando per Tuscania e l’eremo delle Carceri di Assisi, mostrando di quali capolavori sia piena l’Italia considerata minore, quella delle aree interne del Paese, che potrebbero trovare proprio nel recupero e nella valorizzazione del loro patrimonio culturale sommerso, e qualche volta distrutto, il senso della loro centralità nel presente e nel futuro del nostro Paese.
E una nuova centralità per noi stessi, per la nostra capacità di progettare il futuro. Ad esempio meditando, come fa Montanari sulla scia di Simone Weil, sullo spettacolo «più sereno, più paradisiaco, dell’Umbria», vista dall’Eremo delle Carceri. E di come la povertà di San Francesco si nutrisse di un senso forte della bellezza e del suo godimento, in luoghi in cui l’opera dell’uomo si esprime nel rispetto assoluto della integrità del paesaggio e della natura. E come quella felicità del bello vissuto pienamente, quel sentirsi intrinseco agli alberi, agli animali, alla terra e al cielo di quel paesaggio, nutrisse la felicità del Santo quando si accostava ai poveri della terra. Spostare la visione di San Francesco dall’ascesi alla felicità di una vita pienamente vissuta, è un messaggio fondamentale per il nostro presente. Le scelte che ci invita a fare Papa Francesco in nome della giustizia ambientale e della giustizia sociale, la fratellanza verso i poveri del mondo, sono un invito a una vita più felice, a un godimento più pieno di quello rinserrato nei miti e nei riti del consumismo, ad una più integrale realizzazione di se stessi. Essere fraterni alla natura e ai poveri del mondo non è rinuncia, se non a quello che è effimero e ingannevole, ma è la strada che porta alla gioia.
L’arte è liberazione, che è qualcosa di più di libertà. È libertà conquistata. A volte anche oltre la propria stessa consapevolezza. Così Canova, chiamato a scolpire la Maddalena nuda e penitente, oggi ospitata a Genova in Palazzo Bianco, dal bigottismo sporcaccione di un’aristocrazia laica ed ecclesiale, che vedeva il corpo come simbolo del peccato, e al tempo stesso amava vederlo rappresentato in pose che sollecitassero la sensualità, riscopre il carattere sacro della corporeità, recupera, per via di bellezza, la sacralità evangelica del corpo, la materialità più autentica del messaggio di Cristo.
E corpi, volti, di grande dignità sono i corpi e i volti dei poveri con cui la grande pittura riempie le pareti e le tele delle Chiese del nostro Paese, e libera gli umili dalla condizione di marginalità in cui la cultura dei ricchi e dei potenti li vorrebbe tenere e li rende protagonisti delle più sacre delle storie, secondo lo spirito e la lettera del Vangelo. La svolta di Masaccio verso il “vivo e il naturale” nella Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine a Firenze ha il suo momento più alto ‒ ci dice Montanari ‒ nella figura, «fremente di dignità dolente» della madre povera e del suo bambino, così come Caravaggio che veste da Santi e da Madonne i poveri della sua terra, incorrendo spesso nel rifiuto delle sue opere da parte dei committenti, fino a Carlo Levi, al grande quadro di Matera dedicato a Rocco Scotellaro, il sindaco socialista dei braccianti e dei contadini poveri, che sono il centro ideale di una Costituzione a loro ancora in gran parte negata.