Un nuovo appello per l’ambiente
Tra i firmatari ci sono i più bei nomi dei protagonisti delle battaglie per l’ambiente sostenute nel nostro Paese negli ultimi decenni. A chiamarli a raccolta Gianluigi Ceruti, avvocato, già vicepresidente di Italia Nostra, da sempre sostenitore dell’istituzione del Parco nazionale del Delta del Po, poi parlamentare dei Verdi e padre di quella legge quadro sulle aree protette che l’universo degli ambientalisti e degli scienziati italiani attendeva da decenni. Sono oltre duecento ed è difficile estrarne qualcuno senza far torto agli altri. Così cito solo i più noti, da Fulco Pratesi storico leader del WWF a Salvatore Giannella, primo direttore di Airone, una testata che ha fatto storia. O, ancora, Piero Belletti e Mauro Furlani, segretario e presidente della Pro Natura prima associazione ambientalista nata nel 1948 in Italia; Cesare De Seta, professore emerito di Storia dell’arte e dell’architettura all’Università Federico II di Napoli; Vittorio Emiliani, giornalista, presidente del Comitato per la Bellezza; Carlo Alberto Graziani, già parlamentare europeo e presidente del Parco Nazionale dei Monti Sibillini; Corradino Guacci, presidente della Società italiana per la storia della fauna; Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale; Francesco Mezzatesta, già segretario generale LIPU; Franco Pedrotti, professore emerito Università di Camerino, past president della Società Botanica Italiana; Luigi Piccioni, storico dell’ambientalismo Università della Calabria; Paolo Pupillo, professore emerito dell’Università di Bologna, già preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali; Giuseppe Rossi, già presidente di Parchi nazionali, direttore di Federparchi.
Un piano di manutenzione
Cosa chiedono nella loro mozione inviata al Presidente del Consiglio e al Parlamento? Obiettivi tanto semplici quanto concreti. Di immediata realizzazione. Basta la volontà. Un piano pluriennale di manutenzione dei beni pubblici e in particolare dei beni ambientali e culturali. La proposta si incardina sulla constatazione che «la manutenzione, costante e adeguata, dei beni è essenziale alla loro conservazione e previene l’insorgenza di eventi calamitosi accaduti anche nel recente passato in Italia con perdite di vite umane e danni patrimoniali ingenti; la manutenzione è una forma di estrinsecazione concreta del principio giuridico comunitario di precauzione che amministratori pubblici e magistrati debbono applicare per evitare conseguenze negative e personali responsabilità anche nell’incertezza sulle cause dei danni all’incolumità delle persone e alla integrità dei beni materiali». L’appello si rivolge al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Governo e al Parlamento affinché presentino alle Autorità competenti dell’Unione Europea un piano pluriennale di manutenzione dei beni pubblici come edifici scolastici, ponti, acquedotti, strade nonché dei beni culturali e paesaggistico-ambientali notificati, prevedendo agevolazioni fiscali, anche sotto forma di incentivi, a beneficio dei proprietari dei beni. Si tratta di azioni ripetutamente richiamate ogni qual volta si verificano incidenti o tragedie che si sarebbero potute evitare con una maggiore attenzione alle opere di manutenzione. Ebbene, oggi un programma capace di muoversi in questa direzione può consentire di attivare tutte le misure necessarie alla messa in sicurezza rispetto ai materiali inquinanti (si pensi all’amianto, ancora fortemente diffuso), alle misure antisismiche e all’efficientamento energetico con la riconversione verso le fonti naturali rinnovabili.
«Non fermare la crescita»
La vera transizione ecologica parte anche da questi medio-piccoli, ma territorialmente molto diffusi, interventi, il cui censimento si suppone in gran parte già disponibile presso le singole Amministrazioni pubbliche competenti. Un’iniziativa concreta che può determinare e alimentare la ripartenza di attività imprenditoriali e lavorative in più settori, direttamente e nell’indotto, creando nuova occupazione anche giovanile per imprese industriali e artigianali, qualificate e di alta professionalità cui è chiesto di coniugare la tradizioni dei saperi con l’innovazione dei materiali e delle tecnologie. Su questi obiettivi si capirà subito se il nuovo Governo ha intenzioni serie oppure sbandiera la transizione ecologica come vuoto slogan al pari di chi in passato ha disinvoltamente abusato dell’aggettivo sostenibile appiccicato a qualsiasi cosa si volesse realizzare, magari a scapito di territorio e ambiente, dall’inutile tunnel ferroviario Torino-Lione, al ritornato di moda Ponte sullo Stretto, passando attraverso variante di valico, trivelle, Tap, riconversione di Taranto, inutili autostrade varie… Tutto ecosostenibile, tutto con Valutazioni di incidenza o di impatto ambientale favorevoli, tutti con il benestare di chi dovrebbe garantire anche le compatibilità economiche. Ah, no. La Corte dei Conti europea per il tunnel di base Lyon-Torino ha detto di no. Ma l’Unione Europea se ne è strabattuta. Segno che i vizi italiani dilagano in Europa, in ossequio al mantra «Non fermare la crescita». E questa è purtroppo l’unica che conosciamo, o vogliamo conoscere. Ma questa sarebbe già un’altra storia.
Se poi davvero ci fosse la determinazione di guardare avanti (la tanto dichiarata quanto mai definita “visione”), ci sarebbe sempre quello che già nel lontano 1967 la Commissione De Marchi battezzò come possibile New Deal ambientale italiano, per la sistemazione idraulica e di difesa del suolo, l’attuazione del programma di manutenzione e difesa idrogeologica che, se attuato, avrebbe risparmiato centinaia di vite umane e miliardi di danni al nostro ecosistema. Un New Green Deal ante litteram. Resta il dubbio che questo Paese sia ancora legato alla sindrome del geometra (con tutto il rispetto per i geometri) che di fronte al dubbio: ripariamo e restauriamo casa oppure ne facciamo una nuova rispondeva senza ombra di dubbio: «ne facciamo una nuova». Un consiglio allora sicuramente valido sotto il profilo economico; sbagliato e culturalmente ignorante per ciò che ha significato in termini di distruzione della narrazione storica di molti centri urbani della penisola. Rinunce culturali che in molti casi hanno cancellato capitoli importanti della nostra storia e delle nostra cultura. È accaduto in epoche storiche che non avevano maturato il senso della memoria. Ma tollerarle oggi non è più possibile. Significherebbe arrendersi a una grettezza di pensiero che va combattuta e non assecondata.
Pensare e programmare il futuro non può oggi prescindere dal salvaguardare il passato e le testimonianze migliori che lo hanno contrassegnato. Per farlo è necessario uno scatto di intelligenze che non si devono rassegnare alla rinuncia alla bellezza.