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Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica all’università di Roma La Sapienza e membro del Comitato scientifico del Museo della Shoah, è tra i maggiori studiosi dell’Olocausto e dell’universo concentrazionario, considerati punti d’avvio anche per la riflessione filosofica. Negli ultimi anni ha approfondito, in particolare, i temi delle migrazioni, della critica dello Stato nazione, della coabitazione nel mondo e del superamento del concetto di cittadinanza in una visione in cui siamo tutti “stranieri residenti”.
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La ripresa del Coronavirus si accompagna a un’ondata di negazionismo. Tutto sarebbe falso o comunque sopravvalutato, inventato dai “politici” e ingigantito dai media. Tra spavalderia e complottismo i negazionisti aumentano, spalleggiati da personaggi pubblici che si propongono come novelli capi-popolo dei sovranisti anti-virus.
L’internamento dei migranti che non hanno commesso alcun reato è diventato normalità. Ormai si è giunti a credere che sia ovvio, normale, legittimo internare uno straniero, solo perché straniero. Un’eredità inquietante del più buio Novecento europeo e delle sue scellerate politiche di ecologia della nazione, di pulizia etnica, di detenzione abusiva di esseri umani.
Si chiude la porta all’altro, bandito, scacciato, cancellato, perché potrebbe infettare. E con l’altro non si intende solo lo straniero, ma anche chi va fuori, chi osa varcare le frontiere, chi guarda oltre. Meglio fermarsi entro i confini nazionali, anzi regionali e provinciali, meglio restare nel proprio Paese.
Il sovranismo poggia sulla rivendicazione di sovranità dello Stato nazionale e dei suoi cittadini mobilitati contro nemici esterni e interni. Per rovesciarlo occorre un nuovo paradigma fondato sulla percezione che siamo tutti “stranieri residenti”. Sarà una lotta lunga e impegnativa, pari a quella per l’abolizione della schiavitù.