Pietà!

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“Questa foto, oggi, interroga tutti noi e ci chiede di scegliere in che tipo di società desideriamo vivere. Lo sguardo assente, sospeso fra la vita e la morte, di Josephine, ci riporta alla brutale realtà di quello che sta avvenendo nel Mediterraneo, dove salvare vite umane non sembra essere più un imperativo. Josephine è rimasta due giorni in mare, attaccata ad un pezzo di legno, prima che i volontari della Ong spagnola Open Arms la soccorressero al largo della Libia. Meno “fortunati” di lei, una madre e un bimbo, di cui sono stati ritrovati i corpi. Per loro, il soccorso è arrivato troppo tardi”
#Salviniundelinquente #Salviniunassassino

 

 

 (reuters)

Lo sguardo traumatizzato, quasi vitreo, di chi ancora non distingue la vita dalla morte. Così appare l’unica donna sopravvissuta all‘ultimo naufragio libico, in cui sono morti una madre e un bambino. Questa donna miracolata si chiama Josephine, viene dal Camerun ed è rimasta due giorni in mare, attaccata ad un pezzo di legno, prima che i volontari della Ong spagnola Open Arms la recuperassero al largo della Libia. A raccontare la sua storia è Annalisa Camilli, una giornalista di ‘Internazionale‘ che si trova a bordo della nave e ha assistito al salvataggio. A soccorrere la donna è stato Javier Figuera, uno volontario spagnolo di 25 anni: “Quando le ho preso le spalle per girarla – dice – ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me”. A quel punto, prosegue Camilli, sono arrivati altri soccorritori e l’hanno trasportata sulla nave, dove ora si trova con sintomi di ipotermia. Accanto a lei gli uomini di Open Arms hanno trovato anche un’altra donna e un bambino di circa 5 anni, che però erano già morti. I loro corpi sono a bordo della nave della Ong. Secondo il medico di bordo – scrive ancora Camilli – “la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco”. Per la Ong quanto avvenuto è “un’omissione di soccorso” da parte della guardia costiera libica – dice il fondatore di Open Arms Oscar Camps – che non è in grado di gestire una situazione d’emergenza e ha abbandonato due donne e un bambino”

 

Dal sito “Post”:

Dopo il soccorso, i membri dell’equipaggio hanno cominciato a parlare con Josefa per capire cosa fosse successo a lei, al barcone e agli altri migranti a bordo. Josefa, ha raccontato Camilli, ha detto di essere scappata dal suo paese, il Camerun, perché suo marito la picchiava, e la picchiava perché non poteva avere figli. «Siamo stati in mare due giorni e due notti. Sono arrivati i poliziotti libici e hanno cominciato a picchiarci». Josefa, ancora sotto shock, ha detto di non ricordare da dove fossero partiti e di non sapere dove siano finiti i suoi compagni di viaggio. «Sul braccio ha ancora i segni di una bruciatura», dice Camilli: «Non oso chiederle chi o cosa le ha lasciato questo segno. Dice di avere dolore dappertutto». E dice di non voler tornare in Libia per nessuna ragione al mondo.

Martedì la ong Open Arms ha accusato le autorità libiche di omissione di soccorso, cioè di avere lasciato in mare Josefa, l’altra donna e il bambino perché si erano rifiutati di salire sulla motovedetta libica e tornare in Libia. Non c’è solo la testimonianza di Josefa a far pensare a un’omissione di soccorso dei libici.

Riccardo Gatti, portavoce di Open Arms, ha detto che il 16 luglio ha ascoltato per tutto il giorno una conversazione alla radio tra un mercantile e la Guardia costiera libica: si parlava di due gommoni in difficoltà a circa 80 miglia dalle coste della Libia, una distanza simile a quella dove è stata soccorsa Josefa. Il mercantile diceva di essere stato allertato dalla Guardia costiera italiana, ha raccontato in un altro articolo Annalisa Camilli, e chiamava la Guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. In serata i libici avevano detto al mercantile di ripartire: sarebbero intervenuti loro. Gatti ha detto: «Quello che ipotizziamo è che i libici siano intervenuti, ma non riusciamo a spiegarci cosa sia successo perché abbiamo trovato i resti di un gommone affondato, due morti e solo un sopravvissuto».

Oscar Camps, fondatore di Open Arms, ha usato toni molto più duri in due tweet pubblicati martedì. Nel primo ha scritto: «La Guardia costiera libica ha annunciato di avere intercettato una barca con 158 persone a bordo e di avere fornito assistenza medica e umanitaria. Quello che non ha detto è che ha lasciato due donne e un bambino a bordo e poi ha affondato la barca, perché le tre persone non volevano salire a bordo delle motovedette libiche». Poi ha aggiunto: «Quando siamo arrivati, abbiamo trovato una delle donne ancora in vita, ma non abbiamo potuto fare niente per salvare l’altra donna e il bambino che era morto poche ore prima. Per quanto tempo ancora dovremmo avere a che fare con gli assassini arruolati dal governo italiano per uccidere?» (I tweet sono qui, ma attenzione, contengono fotografie molto crude).

 

Tra i soccorritori  c’era anche il campione di basket NBA Marc Gasol, giocatore dei Memphis Grizzlies e della nazionale spagnola. Gasol che ha scritto su Twitter lo stesso messaggio in tre lingue, catalano, spagnolo e inglese: «Frustrazione, rabbia e molta impotenza. Incredibile che si abbandonino le persone in mezzo al mare. Ammirazione profonda per quelli che in questi giorni sono miei compagni di squadra, Open Arms». 

 

Questa la posizione della ONG “Open Arms” dopo il salvataggio:

 

 

ROMA – “Ci dirigeremo verso la Spagna anche se l’Italia ci ha dato la disponibilità di un porto di sbarco a Catania. Ma abbiamo rifiutiamo il porto di sbarco italiano dopo le dichiarazioni del governo e per il fatto che non crediamo che in Italia ci sia un porto sicuro”. Lo ha detto il direttore delle operazioni di bordo della Open Arms, Riccardo Gatti, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, in merito al recupero in mare della camerunense, Josephine, ancora in vita e i cadaveri di un’altra donna e di un bambino.

“Non sicuro attraccare in Italia”

“Siamo anche preoccupati- ha sottolineato Gatti- per la donna da noi salvata per la sua tutela e la piena libertà nel rendere una testimonianza in sicurezza perchè Salvini ha dichiarato che tutto ciò che abbiamo detto è una fake news. Questo ci fa pensare che non sia sicuro attraccare in Italia”.

“Malta e Italia non volevano far sbarcare i cadaveri, andremo in Spagna”

“Temiamo che tutte queste dichiarazioni del governo italiano vadano tutte nella stessa direzione: la criminalizzazione delle ong. Purtroppo la spregiudicatezza di queste accuse non può farci stare tranquilli. A Lampedusa- ha aggiunto Gatti- saremmo già arrivati. Per il porto di Catania ci vorrebbe un giorno mentre per arrivare in Spagna ci vorranno circa 3 giorni. Abbiamo richiesto il porto spagnolo più vicino che probabilmente sarà Palma di Maiorca. Ieri quando abbiamo chiesto il trasferimento delle persone a bordo ci è stato comunicato da Malta e Italia che in primo luogo avrebbero proceduto a sbarcare Josephine e non i cadaveri. Noi abbiamo evidentemente rifiutato perchè non sappiamo ancora se sono tra loro parenti”.

 

A queste accuse l’infame rispose con un Tweet:

 

 

 

 

 

 

 

 

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