Rita Sanlorenzo, già segretaria nazionale di Magistratura democratica, è stata giudice del lavoro a Torino ed è attualmente avvocato generale presso la Procura generale della Corte di Cassazione.
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Nella transizione dal fascismo alla Repubblica si pose, ovviamente, il problema di un radicale ricambio del personale che aveva agito sotto la vecchia amministrazione. Fu, anche per la magistratura, un’occasione pressoché totalmente mancata. Lo documenta in maniera analitica un recente lavoro (“L’epurazione mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica”) curato da Antonella Meniconi e Guido Neppi Modona.
Lo Statuto dei lavoratori, frutto di dure lotte sindacali, ha 50 anni. Esso ha costruito una nuova civiltà del lavoro fondata sul riconoscimento della dignità dei lavoratori. Il suo smantellamento, perseguito negli ultimi anni, ha prodotto impoverimento e sfruttamento. Per questo occorre tornare ai suoi valori e ai suoi princìpi.
Due fatti di questi giorni (la scritta “Juden hier” sulla porta di casa di una ex deportata e l’“interpello citofonico” di un presunto spacciatore da parte di Matteo Salvini) mostrano una regressione etica e culturale senza precedenti. Spetta anzitutto ai giuristi il dovere di denunciarla e contrastarla.
“Sorry we missed you”, ultimo film di Ken Loach butta in faccia allo spettatore il dramma, umano prima ancora che economico, di un lavoro privo di tutele e di dignità. È il lavoro di oggi, con la sua solitudine, la sua incapacità di riscatto della persona e, anzi, per molti versi la sua condanna.
Con la sentenza n. 194/2018, la Corte costituzionale ha sconfessato l’impostazione del Jobs Act, che puntava a fare del licenziamento un semplice “costo” predefinito per l’imprenditore trascurando ogni collegamento con la situazione concreta del lavoratore. L’auspicio è che ciò serva come indicazione per il futuro.