L’ultima follia: sciare al coperto

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Ricordo bene quando c’era in ballo la candidatura di Torino per le Olimpiadi invernali del 2006. Io allora operavo come volontario in Pro Natura Torino e partecipavo attivamente alle riunioni di Consiglio Direttivo in cui si discuteva della candidatura e altresì delle opere che dovevano essere realizzate se i giochi venivano aggiudicati a Torino. E non posso ovviamente scordarmi del fatto che le due opere che poi sono rimaste letteralmente sul groppone alla città furono e sono i trampolini di Pragelato (che andai anche a fotografare con dolore mentre erano in fase di realizzazione) e la pista di bob e slittino a Cesana.

Eppure (e noi l’avevamo sommessamente suggerito) quelle opere – che già si sapeva a priori che sarebbero poi costate in termini di manutenzione senza essere utilizzate – si potevano evitare. Bastava spostare le gare di salto con gli sci ad Albertville e, per quanto riguardava la pista di bob e slittino, c’era già la tecnologia per renderla amovibile. Ma Torino doveva avere tutto, anche se poi non serviva: per ragioni francamente a noi ignote. Fummo facilissimi profeti: i trampolini a Pragelato e la pista di bob e slittino a Cesana rimangono a imperitura memoria della stupidità umana.

Ma forse questo non è vero. Almeno a giudicare da un articolo de La Stampa del 17 gennaio scorso che annuncia solennemente: «A Cesana si scierà anche d’estate: al via Ski Dôme, progetto da 50 milioni. L’impianto sorgerà sulle ceneri della pista da bob. Il sindaco assicura: investimento privato e sostenibile» (https://www.lastampa.it/torino/2023/01/17/news/). Anche se poi quando leggiamo l’articolato ci rendiamo conto che non è assolutamente certo che l’impianto sorgerà, resta il progetto, quello sì, che vorrebbe che al posto dell’impianto di bob venga realizzato uno Ski Dôme interrato lungo 870 metri e largo 60 con due piste per la discesa. Insomma, invece di smantellare l’onerosa struttura verrebbero versati altri soldi pubblici per sciare tutto l’anno sottoterra. Già, i soldi pubblici. Secondo un articolo di stampa del 2020, la pista di bob, «un impianto costato 135 milioni», è stata «utilizzata per 20 manifestazioni sportive. E la struttura è in completo abbandono, gestirla costa mezzo milione nei mesi invernali e 800mila euro per le manutenzioni ordinarie» (https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/sprechi_nord_pista_di_bob_mangiasoldi_olimpiadi-5396569.html).

È l’ennesima dimostrazione che la colonizzazione della montagna da parte della pianura trova sempre l’appoggio dei locali, che anzi qui ne diventano fautori, ma c’è anche, a mio avviso, un’altra considerazione da fare. Sappiamo tutti che viviamo ormai appieno all’interno di un’epoca di riscaldamento globale e che lo sci di pista ne risente pesantemente e che, secondo studi accreditati, tra pochi anni si potrà sciare solo in quelle località che hanno impianti sopra i 2000 metri di quota, perché le temperature non consentiranno al di sotto di tale quota di sparare neve finta. Eppure, nonostante questo sia noto, la mano pubblica continua a sostenere progetti privati e pubblici che prevedono nuove piste da sci (nell’arco alpino occidentale il più devastante sicuramente il collegamento Alagna-Zermatt). Questa balzana idea di sciare sottoterra è figlia ancor più degenere di questa mentalità evidentemente dura da estirpare. Che poi fa il paio, uscendo dall’Italia, con gli ski dôme sotto le cupole o la futuribile stazione sciistica associata a Neom, in pieno deserto (https://www.neom.com/en-us/regions/trojena).

Ma sciare sottoterra ci mancava. È facile affermare che questo progetto va in direzione esatta e contraria a quello che suggerirebbe il buonsenso: attrezzarsi per il futuro e rinunciare allo sci a certe quote (sopra o sotto terra), valutando le alternative, che comunque forzatamente dovranno prevedere una contrazione dell’economia montana, dei posti di lavoro e quant’altro. Del resto, siamo noi che stiamo distruggendo il pianeta: vorremo accollarcene i costi diretti e indiretti? A margine ma – non poi neppure tanto parlando di stupidità –, la pista di bob di Cesana potrebbe essere utilizzata nell’ambito di Cortina 2026, ma pare che il Veneto non ci senta e voglia proprio farne una propria. La storia si ripete all’infinito. E non insegna nulla.

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

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