Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.
Contenuti:
Noi siamo incapaci di coglierlo e, tristemente, non ce ne rendiamo conto, ma le piante, attraverso una peculiare forma di intelligenza diffusa, si scambiano un’elevata quantità di informazioni sulle caratteristiche dell’ambiente esterno, l’attività degli insetti impollinatori ecc. Insomma, a loro modo, le piante sono intelligenti e comunicano.
Sta nascendo nelle grandi città un movimento dal basso a difesa del verde cittadino. Accade a Roma, a Torino e a Milano ma anche altrove. Questa nuova sensibilità è un fatto importante ma colpiscono due fatti: la scarsa attenzione di giunte cosiddette di “sinistra” e la sostanziale assenza delle associazioni dell’ambientalismo storico.
A Cervinia sta per iniziare la stagione sciistica più lunga di sempre: ben undici mesi. Ovviamente con l’ausilio della neve “programmata”. Il progetto sembra folle dati i tempi e il tempo atmosferico, ma gli studi dicono che, nonostante tutto, sopra i 1800 metri si potrà sciare ancora per qualche anno. E, dunque, basta spremere la natura e le risorse fin che ce n’è…
A 60 anni dal disastro del Vajont tornano in voga le dighe. Benché presentino una inevitabile pericolosità, abbiano una durata temporale limitata e comportino un consumo rilevante di suolo su terreni fragili. Perché non puntare, invece, sul risparmio di acqua (intervenendo sulla rete idrica) e del consumo di energia elettrica?
Per definire l’era in cui viviamo si fa frequente riferimento al termine Antropocene, a indicare l’accresciuta capacità degli umani di influenzare i cicli biogeochimici del pianeta. Ma non tutti gli umani possiedono tale capacità allo stesso modo. Così si affacciano nuove denominazioni, come Capitalocene e Wasteocene.
La Regione Liguria vuole posizionare al largo di Vado Ligure una nave gasiera lunga 292,5 metri, larga 43,4 e alta 55 che scarica 100milioni di mc di gas liquefatto in una nave rigassificatrice che li trasforma nuovamente in forma gassosa. Un istituto scolastico ne critica le ricadute ambientali. Ma il presidente della Regione insorge.
Da due mesi è in corso a Torino una mobilitazione per impedire il taglio di un’imponente alberata di aceri in corso Belgio. Essa si collega con altre azioni in difesa del verde pubblico ai prati Parella, nel giardino Artiglieri da Montagna, al Prinz Eugen, al Meisino e alla Pellerina: tutti esempi di democrazia dal basso e di tutela dei beni comuni.
Il Covid non circola più o comunque non è più così letale. Ma l’eredità che ha lasciato è estremamente pesante. “Niente sarà più come prima”, si diceva. Forse. Ma oggi è peggio di prima. Passata la grande paura è diventato impossibile chiedere comportamenti virtuosi, più consoni con Madre Natura. La massima a cui adeguarsi sembra essere l’antico adagio “chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”.
Il Comune di Torino si appresta al taglio dell’alberata di corso Belgio per sostituirla con alberelli alloctoni, senza consultare la cittadinanza e senza giustificare il taglio, semplicemente affermando che gli attuali aceri versano in “condizioni di criticità”. Il quartiere si oppone esigendo, almeno, una spiegazione più specifica. A mobilitarsi sono comitati spontanei e piccole associazioni. Le grandi non sono neppure più tali.
Le isole, in quanto terre chiuse e circondate dal mare, sono i territori in cui l’azione umana è più impattante e l’estinzione più probabile. Basti pensare alle trasformazioni avvenute nelle Maldive, nelle Seichelles, a Mauritius, specialmente ad opera dell’industria turistica. Socotra, gioiello yemenita nell’Oceano Indiano, è ancora parzialmente salva ma i rischi sono elevati, e non solo a causa della guerra.