Nell’edizione in corso di “Cheese” a Bra, parole come Alpi, monti, pascoli, transumanza, pastori, “riabitare” la montagna, sono echeggiati con frequenza. Un giusto tributo ai protagonisti che fanno impresa accarezzando il cielo delle quote più ardite e una vetrina dei loro prodotti. Sono loro che animano e sostengono le “terre alte” del nostro Paese. Le custodiscono silenziosamente con un’impagabile azione di manutenzione che fa prevenzione a quelle che ostinatamente si vogliono chiamare “catastrofi naturali” e che nascono dall’incuria. Originata dall’abbandono. Che per non verificarsi chiede investimenti. Politiche di prevenzione. Al netto di una persistente retorica della montagna che esalta improbabili reinsediamenti romantici, pur ammirevoli, non mancano episodi di giovani che investono il loro futuro nel ritorno, almeno parziale, ai pascoli alpini.
Siamo a Pion da Charm (borgata Durandin), nel punto più alto del Comune di Ostana, 1640 metri di altitudine, alta Valle Po, il secondo Comune che si incontra dopo le sorgenti del più lungo e importante fiume d’Italia. Il Comune (poco più di 80 residenti) ha allestito, con fondi europei – 214 mila euro provenienti dal FESR (Fondo Europeo agricolo per lo Sviluppo Rurale) – il nuovo caseificio comunale e lo ha affidato a due giovani, Eloise Vignon e Matteo Cottura che si sono conosciuti alla Scuola statale di specializzazione in allevamento caprino di Clermont Ferrand. La struttura architettonica, progettata con l’utilizzo di materiali locali declinati in maniera innovativa ed ecosostenibile, è stata progettata con la supervisione del Politecnico di Torino e realizzata da una Cooperativa in cui sono attive maestranze locali, compreso uno dei migranti che il Comune ha chiesto di accogliere e che ora, con il ricongiungimento familiare, vive stabilmente qui.
I gestori: lei, ingegnere agronomo con specializzazione in caseificazione, arriva da una famiglia di allevatori caprini del Vercors (massiccio montuoso delle Prealpi francesi del Delfinato), lui è laureato in Scienze agrarie, ha un incarico ad Entomologia presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, e arriva da una famiglia di agricoltori di Envie (la mamma è veterinaria) con azienda a indirizzo foraggero-cerealicolo. Al momento dispongono di un gregge di una cinquantina di capi ma l’obiettivo è di arrivare ad almeno 100-120 con un ciclo aziendale autonomo autosufficiente che prevede di convertire l’azienda destinandone la superficie prevalentemente a prato e colture foraggere, riducendo progressivamente la presenza del mais (esigente in termini idrici e di fertilizzanti) a favore dell’introduzione di nuove specie, tipo l’orzo.
«Cercheremo inoltre di rimanere il più possibile sui pascoli in altura, almeno quattro mesi, a integrazione dell’alimentazione in pianura, per trovare un equilibrio anche sotto il profilo economico» sottolinea Matteo. «Lavoriamo giornalmente il latte a crudo e munto a mano. Dai miei studi e dall’esperienza della mia famiglia produciamo tomini anche aggiungendo una varietà di erbe aromatiche che ne diversificano il sapore. Abbiamo, per ora tre tipologie di prodotto: ai tomini freschi o stagionati si aggiungono, infatti, la “Tuma d’Oustano” con pezzature da un chilo e mezzo, con un minimo di un mese di stagionatura e il Chabrotin, a pasta molle, con stagionatura di almeno quattro settimane e pezzature intorno ai due ettogrammi» osserva Eloise. Che aggiunge: «Per l’intera produzione utilizziamo fermenti lattici naturali non di provenienza industriale, caglio e sale; per i tomini applichiamo la tecnica della cagliata lattica che richiede latte a riposo per 24 ore». Produzione di alta qualità che ha scelto di non inseguire la quantità, i grandi numeri. «Siamo partiti con prudenza e per ora il nostro gregge ci assicura circa 1.300 litri di latte al mese che significano il 10% di prodotto trasformato. Ma contiamo di raggiungere l’obiettivo di raddoppiare i numeri – aggiunge Matteo – per vendere formaggi in parte freschi in parte a livelli diversi di stagionatura».
Un lavoro fatto con conoscenza scientifica e con professionalità, che garantisce un prodotto di qualità, che lascia ben sperare nel successo dell’iniziativa e che si aggiunge al già affermato “Pasturo del Sère” prodotto a marchio dell’altro caseificio comunale gestito da un altro pastore e dalla sua famiglia, Bruno Ferrato, in località Serre. Microcaseifici produttori di qualità organolettiche, di gusto e di futuro. La sfida della nuova montagna che non vuole morire.