1.
Nel discorso di apertura dell’anno accademico dell’Università La Sapienza di Roma, il recente premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, ha paragonato la scienza a un falò di luce accesa nel buio di un’isola sconosciuta, con l’obiettivo di rischiarare le tenebre pur nella consapevolezza di non poter pretendere di sconfiggere l’ignoto. La sfida della scienza per mettere a tacere l’oscurantismo della superstizione, delle derive ascientifiche, del prevalere dell’illogicità sta nel trovare la maniera giusta di mettersi in contatto con il maggior numero di cittadini. Per farlo ci si deve spogliare di ogni arrogante esclusivismo e senso di superiorità e cercare così di intercettare l’umanità del quotidiano con la capacità di comunicare con tutti, in un dialogo comprensibile ai più, in condizioni di reciprocità.
L’istruzione degli italiani non è ai primi posti, l’analfabetismo di ritorno è in crescita; siamo agli ultimi posti, in Europa, per capacità di comprensione di un testo e la soluzione non può certamente essere quella di togliere la prova scritta dagli esami. Nelle nostre aule ci si ferma ancora alla fisica classica mentre già trova applicazioni tecnologiche la meccanica quantistica che si appresta a rivoluzionare, in un futuro molto prossimo, le nostre vite. Eppure, quanti sanno del paradosso del gatto di Erwin Schrodinger? Sappiamo poco o nulla di genetica e pochi sono in grado di comprendere davvero il significato di Rna o Dna (termine, quest’ultimo di cui pure si usa e si abusa) mentre la scoperta di Watson e Crick trova ormai vasta applicazione in campo sanitario, agricolo etc. Meno che mai sappiamo di microelettronica, di campi elettromagnetici (nei quali pure siamo sempre di più immersi), di astrofisica o radioastronomia. Siamo dunque privati di fette importanti di sapere che restano di proprietà di una élite che può utilizzarli per il bene comune. Ma anche no. Ecco perché, ancora una volta, va ribadito che questa diseguaglianza di conoscenza rappresenta un difetto di democrazia. Che fare? Colmare questo vuoto non può essere solo compito delle famiglie, che al più possono essere preziose nella trasmissione del sapere umanistico e stimolo alla curiosità consigliando, stimolando e indirizzando i giovani verso il desiderio di conoscenza. Né la scuola sembra in grado di stare al passo con i tempi a causa di una popolazione docente che quelle nozioni non le ha probabilmente apprese nel corso degli studi. E che non viene adeguatamente aggiornata professionalmente nei periodi in cui non ha compiti di insegnamento. Sarebbe già molto se si tornasse a insegnare, in maniera moderna, la storia, la geografia, le scienze naturali (chi sa cosa significano termini ampiamente impiegati come ecologia e biodiversità?).
2.
Per indirizzare i cittadini a esplorare e conoscere questi campi del sapere che restano spesso relegati in un cono d’ombra, a livello internazionale funziona egregiamente la rete dei Centri Scienza (Science Center), da La Villette di Parigi a Barcellona, Londra, Amsterdam… per restare in Europa. L’Italia ci ha provato, con Trieste e con Napoli-Bagnoli e sta provvedendo a modernizzare i suoi musei naturalistici (vedi Trento). A Torino ci abbiamo provato negli anni di fine secolo, partendo dall’esperienza dei Giovedì Scienza e dalle varie edizioni di Experimenta e anche con una edizione di Next in coabitazione con il Salone del libro. Ma, nonostante il coinvolgimento di svariati e autorevoli attori (dai due Atenei alle Accademie, ai Centri di ricerca pubblici e privati, alle aziende protagoniste a livello mondiale dell’innovazione scientifica e tecnologica…) tutto si è arenato. Così il più recente rilancio dell’idea da parte del Rettore dell’Università, che non è andato al di là dell’annuncio, resta un buon proposito mentre si registra qualche timida avvisaglia per l’ipotesi della rete dei musei universitari. Pare che a Torino non ci siano orecchie disposte a sentire…
L’argomento mi è tornato in mente sfogliando la cronaca che – visto lo stato di degrado e abbandono in cui versa – periodicamente ripropone l’attenzione sui destini del Palazzo del lavoro di Italia ‘61 realizzato su progetto di Pierluigi Nervi. Di recente la neo assessora alla cultura della Città lo ha proposto quale sede per i magazzini di tutti i musei torinesi. Non so cosa significhi fare di Palazzo Nervi un deposito dei tesori nascosti delle civiche collezioni. Mi auguro non voglia dire sottrarre, oltre loro, anche la fruizione pubblica di una notevole bellezza architettonica da troppo tempo negata. Dal punto di vista museologico ho il dubbio sull’opportunità di separare le collezioni dal museo cui è affidato il compito di conservarle, in un magazzino condiviso: l’allontanamento rischia di diventare rimozione. In numerose esperienze internazionali il “magazzino” è parte integrante e viva del museo cui, periodicamente attinge, per rinnovare le sue proposte. Ma se, come credo, la proposta nasce dalla mancanza di spazi attigui alle istituzioni museali, allora parrebbe più consona e funzionale la scelta della Manifattura Tabacchi (altro monumento storico alla ricerca di nuove destinazioni).
Per Palazzo Nervi esiste un interessante progetto del Dipartimento di Progettazione Architettonica del Politecnico di Torino che ne prospettò un recupero funzionale che ne valorizzava una parte come spazio/agorà coperto, in cui l’area esterna a verde si compenetrava con lo spazio “abitato” in maniera armonica, salvaguardandone la straordinaria bellezza architettonica e adattandola alle esigenze di nuovo utilizzo energeticamente sostenibile. L’immaginario di quel progetto nasceva proprio dall’ipotesi di dotare la nostra città di un centro di edutainment (apprendimento divertente) scientifico-tecnologico. Uno Science Center capace di dare rappresentazione delle eccellenze scientifiche e tecnologiche del territorio torinese, sia storiche (Lagrange, Ferraris, Garziera, Perotto, Chiariglione, Montalcini…) che proiettate nel futuro, con le tante realtà oggi impegnate nel campo della ricerca quanto dell’applicazione tecnologica di avanguardia. Una vetrina che manca alla nostra città e che bene ne sottolineerebbe un primato non trascurabile di perdurante eccellenza. A beneficio della sua immagine ma anche delle tante realtà imprenditoriali di eccellenza che vi operano. E magari di stimolo per giovani alla ricerca di nuove opportunità per realizzare le loro aspirazioni. Non solo, ma se ci si occupasse, collettivamente, di promuovere un’adeguata educazione scientifica, forse i cittadini sarebbero posti in condizioni migliori per esercitare democraticamente le loro scelte. Come prima richiamato sarebbero messi nelle condizioni di sapere cosa sono Dna ed Rna, protagonisti dei vaccini e degli OGM; sarebbero preparati a passare dall’obsoleta fisica classica alla meccanica quantistica che disegnerà e determinerà il loro futuro.
Per dare rappresentazione di tutto questo, immaginammo proprio, come possibile sede, l’ex Palazzo del lavoro. Propongo sommessamente, all’assessora Purchia – che certamente ben conosce l’esperienza della Città della Scienza di Napoli/Bagnoli – di visionare la proposta progettuale del Politecnico di Torino e anche l’ipotesi di mettere a disposizione un luogo in cui Torino possa narrare, con orgoglio, i primati raggiunti nel progresso scientifico-tecnologico non solo del Paese ma di livello internazionale. Per la transizione ecologica serve anche un nuovo dialogo tra cultura scientifica e tradizione umanistica. Il “tempio” di Nervi potrebbe esse il luogo adatto per attivarlo. Là dove l’architettura e l’ingegneria sono state capaci di essere sintesi tra i due pensieri.
Lieto dell’attenzione dedicata a Giuliano ad un tema essenziale per Torino. Un paradosso. Un capolavoro assoluto dell’architettura contemporanea, collocato all’ingresso da Sud della città, che si trasforma in una prova di colpevole incuria, una macchia per la città stessa.
Da anni lo segnalo. Da mesi chiedo udienza alla nuova Assessora che mi dicono essere dinamica ed innovativa.
Segnalo a lei e a Giuliano la prossimità col campus dell’Onu con cui potrebbe integrarsi, magari ospitando, oltre ad altre attività (è molto grande), un museo dei tesori mondiali dellUnesco, molti dei quali sono italiani (almeno uno piemontese). La Farnesina, da me contattata, è interessata. Il momento è cruciale perchè sono in ballo i fondi Pnrr.
E se invece si creasse un centro dove si mettono in contatto designer e artigiani dando l’opportunità di creare contaminazioni inedite.
Organizzare workshop con designer e artigiani internazionali.
Valorizzare le eccellenze artigianali e il rapporto oggetto-natura (tema della eco compatibilità degli oggetti).
La ricerca creativa delle atmosfere di antiche culture e delle forme organiche riprodotte dalla natura.
Laboratori artigianali dove si coniuga l’alta tecnologia)stampanti 3 D) con strumenti immutati dal tempo.
In altre parole M.A.D.
Manifattura Arte Design