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01/12/2021 di: Francesca Romana D'Amico
Siamo nel settembre 2018 a Bologna, quando il disagio abitativo studentesco e la crescita esponenziale del portale Airbnb (intermediario per affitti di camere o alloggi per brevi periodi) hanno determinato un grande fermento cittadino. Nel comune di Bologna nel 2017 sono stati attivi 4.317 annunci su Airbnb di cui 2.817 (pari al 65%) riguardanti appartamenti interi, sottratti al mercato abitativo. Il restante 35% (1.500) era costituito da stanze singole o in condivisione in appartamenti presumibilmente abitati da proprietari e/o locatari. Nel centro storico, dove si concentra più della metà degli annunci (51,7%), gli appartamenti interi in locazione su Airbnb hanno sottratto fino al 6% del patrimonio immobiliare privato di tipo residenziale e hanno contribuito all’aumento dei prezzi di quelli restati nel mercato a lungo termine.
Intanto ‒ come dimostrato da uno studio dell’Istituto Cattaneo del 2017 ‒ all’aumento della presenza degli studenti fuorisede in città ha corrisposto anche un aumento degli affitti turistici e ciò ha reso molto complessa la ricerca della casa, creando un cortocircuito: la mancanza di case ha portato gli studenti a cercare soluzioni temporanee (short-term rent) su Airbnb, ma il crescere della piattaforma ha determinato la mancanza di case per studenti. L’aumento esponenziale di annunci su Airbnb, infatti, non è avvenuto senza costi per la città: l’accresciuta presenza di locazioni di breve periodo si è unita alla già carente offerta abitativa per le popolazioni a reddito medio-basso, alla scarsa presenza ed efficacia dell’edilizia pubblica residenziale e all’inadeguato numero di posti letto disponibili per studenti e studentesse nelle residenze dell’Azienda Regionale per il diritto agli studi superiori, nel secondo ateneo più grande d’Italia.
In questo contesto, alcune esperienze attive sul territorio ‒ come l’organizzazione studentesca Link Bologna e il circolo sociale RitmoLento ‒ hanno iniziato a ragionare in termini mutualistici su possibili interventi. È nato così il “Couchsurfing solidale”, una rivisitazione della piattaforma di ospitalità gratuita, con l’obiettivo di mettere a disposizione i divani dei volontari e delle volontarie per ospitare per qualche tempo chi arriva a Bologna alla ricerca di una casa. Dall’evoluzione dell’esperienza del “Couchsurfing solidale” è, poi, emerso un comitato formato da studenti, studentesse e giovani per provare a risolvere i problemi della turistificazione improvvisa. È sorto quindi il comitato “Pensare Urbano”, che ha mosso i suoi primi passi organizzando una conferenza con studiosi, professori universitari e attivisti per analizzare il fenomeno di Airbnb da una prospettiva accademica. Questa rimane la cifra del comitato: l’approccio accademico, la ricerca di dati e l’approfondimento teorico coniugati alle mobilitazioni degli attivisti e delle attiviste.
L’obiettivo di “Pensare Urbano” è quello di utilizzare le leve dell’amministrazione municipale per regolamentare le piattaforme digitali in modo da limitare l’esplosione di Airbnb, nell’ottica di una lotta per il diritto all’abitare. L’idea dei soggetti fondatori del comitato è quella di dimostrare l’ingiustizia abitativa che vivono i cittadini bolognesi. La mobilitazione del comitato è consistita nelle tendate che si sono ripetute più volte sotto Palazzo d’Accursio, la sede del Comune. Nello stesso periodo, anche le istituzioni ‒ il Comune di Bologna e l’Alma Mater ‒ hanno provato ad affrontare il tema degli affitti studenteschi mettendo in campo la ricerca “HousingBO”, promossa tra studenti e studentesse, che segna un primo riconoscimento della questione abitativa studentesca.
Nel 2019 “Pensare Urbano”, insieme a sindacati, associazioni e collettivi, ha promosso un’istruttoria pubblica (strumento di amministrazione partecipata garantito dallo Statuto del Comune di Bologna) sul disagio abitativo. Ciò ha portato l’amministrazione comunale ad assumere una serie di importanti rivendicazioni, sintetizzate in un’agenda di impegni per la municipalità, aventi come obiettivo quello di contenere i disagi della crisi abitativa. In particolare, il primo passo si è concretizzato nella promozione del Codice unico identificativo degli alloggi, che permette di verificare eventuali abusi. Ciò si è aggiunto all’intesa stipulata con Airbnb, nel 2017, che ha introdotto l’obbligo, per il portale, di riscuotere l’imposta di soggiorno e girarla al Comune. L’attivazione per l’istruttoria pubblica ha portato alla raccolta di 2000 firme tra residenti e non, segnando il punto sull’attivazione rispetto alle questioni abitative e riuscendo a mostrare un’alleanza trasversale in grado di mettere in discussione lo sviluppo della città in chiave prevalentemente turistica. “Pensare Urbano” è diventata così una piattaforma sociale che si scontra, a livello cittadino, con le piattaforme digitali, dimostrando che i colossi multinazionali possono essere contrastati proprio dove “toccano terra”, nelle città.
L’esperienza bolognese non solo rappresenta un’attivazione dal basso per il diritto alla casa e il contrasto alle piattaforme digitali, ma indica uno dei primi momenti di messa in discussione del modello di città turistica, a cui Bologna è stata orientata negli ultimi anni. Infatti, a Bologna, come in altre città, la terziarizzazione ha determinato una nuova centralità di attività economiche precedentemente marginali come il turismo e la ristorazione. A ciò si sono aggiunte trasformazioni infrastrutturali, in primis l’allargamento dell’aeroporto “G. Marconi” (divenuto scalo essenziale per le compagnie low cost per i collegamenti internazionali o col Meridione) e poi lo sviluppo della stazione dell’alta velocità ferroviaria, che ha aumentato e velocizzato i collegamenti nazionali e per il Nord-Italia. E non vanno dimenticate le operazioni di city branding, come quella di Bologna city of food, che hanno attirato a Bologna numerosi investimenti come FICO, la Disneyland del cibo, e riallocato le risorse verso ristoranti e servizi del mercato turistico. Ma la pandemia di Covid-19 ha dimostrato la fragilità dell’economia basata sul turismo, la precarietà dei lavori e l’insostenibilità di un sistema estrattivista, portando al pettine i nodi scoperti e determinando la necessità di nuove prospettive di sviluppo economico.