Nella lunga diretta televisiva che da Torino ha inaugurato il Giro d’Italia i commentatori – nell’esaltare le magnificenze della città, come da copione, e le sue tradizioni ciclistiche – non hanno parlato del motovelodromo. Non è un caso: avrebbero dovuto dire che non è più in mano pubblica, ma che è stato ceduto a privati per sessant’anni a fronte del pagamento della misera somma di 350.000 euro: neanche seimila euro all’anno. Ma non solo non è più in mano pubblica in cambio di un tozzo di pane ma ne verrà cambiata completamente la destinazione. La ditta che si è aggiudicata la gara d’appalto infatti vi realizzerà sei campi da padel, un campo da calcio a otto convertibile in una struttura da rugby, campi da beach volley, piscine, piste da bici (ma guarda un po’…), campi di atletica, bar, punti ristoro e spazi espositivi (https://mole24.it/2020/10/28/progetto-per-il-motovelodromo-di-torino-investimento-per-14-milioni/).
Ora: capiamo tutto. Capiamo che Torino per ospitare la furbata delle olimpiadi invernali si coprì di debiti e questi debiti se li porti ancora addosso. Capiamo che si voglia onorarne il pagamento e che si pratichi una politica di austerità. Capiamo tutto ma c’è un limite anche alla comprensione. Partiamo dal presupposto che un motovelodromo, oggi, è una ricchezza inestimabile. Le città che ne sono dotate in Italia si contano sulle dita delle due mani. In particolare, a parte Torino, solo Roma ne ha uno attivo fra le grandi città. Quello di Milano (il Maspes-Vigorelli) non è utilizzato per il suo scopo. Non solo, oggi il ciclismo tira, e tira molto, appunto anche a Torino: pensare di ristrutturare l’impianto in partnership con un soggetto privato, visto che dalla fine dello scorso secolo lo si è lasciata andare in malora, no eh? Oppure, se proprio si voleva metterlo all’asta per lucrare la modestissima somma di seimila euro all’anno, almeno mantenere il vincolo di destinazione dimodoché vi si potessero riprendere solo attività ciclistiche, e si potessero indirizzare al ciclismo agonistico bambini e ragazzi, no, eh? Anche in considerazione del fatto che – tra l’altro – il motovelodromo Fausto Coppi è attualmente la struttura sportiva più vecchia fra quelle ancora esistenti in Piemonte (fu inaugurato il 24 luglio 1920) ed è anche l’unica architettura sportiva superstite dei primi trent’anni del Novecento, tant’è che ha un vincolo della Soprintendenza (https://archistadia.it/viaggio-torino-motovelodromo-storia-architettura/).
La vicenda del motovelodromo purtroppo dimostra ancora una volta la miopia – a voler essere teneri – di una amministrazione. Amministrazione – notate bene – che ha addirittura adottato un Regolamento per il governo dei beni comuni urbani (http://www.comune.torino.it/benicomuni/bm~doc/governo-dei-bcu_391.pdf) e sponsorizzato un Manuale di diritto dei beni comuni urbani. Il tutto nell’ottica, ovviamente, di una loro salvaguardia per il bene della collettività. Ecco come si tutelano, non in teoria ma in pratica, i beni comuni.
La diretta televisiva del giorno 8 maggio ha inquadrato tra l’altro dall’elicottero la struttura del motovelodromo: le sue gradinate, la pista e il campo verde. Tutto questo diventerà solo un ricordo: in cambio di neanche seimila euro all’anno.
E tu pensi che una struttura di quelle dimensioni, con i costi di ristrutturazione e manutenzione possa vivere sui soli ragazzi che fanno pista ( e che comunque potranno farla perché viene ristrutturata). Mi sa che di economia ed investimenti non ci prendi molto. Poi il comune di tasca sua non tira fuori 1 euro quindi meglio 350k e lavoro per tanta gente e sport per tutti.