Sembra incredibile che, in tempo di pandemia non ancora conclusa, 90 realtà del sociale (note e meno note ma rappresentative di un vero e proprio “mondo”) si trovino di fronte al Campidoglio per rivendicare «una città più accogliente», come dice lo slogan che ha convocato il sit in (o una città accogliente tout court, come sarebbe più esatto dire considerata la catena di inadempienze al riguardo collezionata dalla città negli ultimi anni e decenni). Eppure è accaduto. Ieri 20 giugno, a Roma, è stata la giornata di associazioni, cooperative sociali, movimenti per il diritto all’abitare, sindacati, reti studentesche, centri antiviolenza, parrocchie, comitati di quartiere, circoli culturali, scuole pubbliche, biblioteche popolari, centri di ricerca, presidi antimafia, progetti di mutualismo sociale, spazi liberati, cittadine e cittadini chiamati dalla Rete dei Numeri Pari (http://www.numeripari.org) ad essere protagonisti.
«Roma – è scritto nel manifesto che ha indetto l’iniziativa ‒ rischia di diventare la capitale delle disuguaglianze e delle mafie, dove già prima dell’arrivo del virus si contavano 90 clan e 100 piazze dello spaccio. Senza interventi strutturali e percorsi condivisi, si rischia di far scivolare nel baratro della povertà relativa e assoluta settori sempre più consistenti della società […]. Certo, Roma non ha il debito che si ritrova, né versa nella crisi che è sempre più evidente solo per responsabilità della sindaca Raggi. Responsabilità evidenti provengono anche dalle precedenti amministrazioni capitoline, da quella Marino a quella Alemanno, fino a quelle Veltroni e Rutelli. Il tanto sbandierato “modello Roma” ha contribuito al declino della città, non alla sua crescita». «La Rete dei Numeri Pari – continua il manifesto – ha scritto una lettera aperta alla sindaca Raggi e prodotto proposte specifiche sui temi dell’abitare, del reddito, del lavoro, dell’accoglienza, dei servizi sociali, della lotta alle mafie. Ora la Sindaca deve risposte alla città, a quanti lottano ogni giorno per sopravvivere, per mangiare, per un reddito, un lavoro dignitoso e per avere una casa. A quanti si sono adoperati nel sociale in questi mesi per tappare le falle di un’amministrazione capitolina incapace di dare le risposte più elementari. All’associazionismo diffuso e a quelle cooperative sociali che hanno permesso di proseguire un percorso di accoglienza e di cura. Perché sono queste le realtà che sui territori romani hanno retto l’onda d’urto del Covid e della crisi che ne è derivata».
In piazza, su un palchetto improvvisato, si sono susseguiti diciotto interventi di associazioni, sigle sindacali, rappresentanti di lavoratori in bilico e di senzatetto, migranti, operatrici antiviolenza di Be Free e della Casa Internazionale delle Donne, operatori di Arca di Noè, volontari di Iskra e di Nonna Roma. E, poi, movimenti per il diritto all’abitare, particolarmente significativi in una città che vede 20mila persone in emergenza abitativa e in cui non esiste un piano di costruzione massiccia di case popolari, anche se c’è la disponibilità di 200 milioni di fondi ex Gescal inutilizzati dalla Regione Lazio e dal Comune. Sono stati diciotto appelli che, a un anno dalle elezioni capitoline, «non possono più essere disattesi», come ha detto il coordinatore della Rete, Giuseppe De Marzo. Particolarmente suggestiva la coreografia finale, in cui è stato srotolato un rocchetto di fogli di giornale che ha fatto emergere 16 parole chiave per il presente e il futuro, tra le quali “Abitare”, “Reddito”, “Lavoro”, “Accoglienza”, “Servizi Sociali” e “Lotta alle mafie”.
È stata una piazza determinata e inclusiva, rappresentativa delle differenze e delle sofferenze della città, che ha dato voce a chi vive la lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un buon segnale dal basso. Una prova di democrazia da seguire e consolidare mentre si apre, a Roma e non solo, una campagna elettorale per le elezioni amministrative del prossimo anno a cui le forze politiche si preparano parlando di candidature e di alleanze ed eludendo i problemi dei più. Per questo la giornata di ieri ha rappresentato – come hanno detto gli organizzatori ‒ l’avvio di un percorso di mobilitazione che si chiamerà “Mosaico Roma”, a cui sono chiamate a partecipare tutte le realtà interessate alla costruzione di una nuova forma di rappresentanza a partire dai bisogni e dalle necessità di chi vive in condizioni di maggiore difficoltà.