Le Alpi Apuane nei nostri dentifrici. Intervista a Eros Tetti

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Le Alpi Apuane costituiscono un qualcosa di unico nel paesaggio italiano e non solo. Una catena di monti splendidi e teoricamente tutelati che l’attività di escavazione invece sta pian piano divorando. Questa è l’intervista che mi ha rilasciato Eros Tetti, fondatore del movimento “Salviamo le Apuane”.

Eros, tu fondasti anni fa un movimento dal nome “Salviamo le Apuane”, tuttora attivo. Me ne puoi parlare?

Sì, il movimento nacque su mia iniziativa. All’inizio – era il 2009 – solo come pagina di Facebook, poi si estese realmente sul territorio. Negli anni crebbe in numero di partecipanti e crebbe altresì di importanza. Nel 2015 si fece promotore di un “Manifesto per le Alpi Apuane”, che fu sottoscritto dalle maggiori associazioni ambientaliste italiane.

Vi fu anche un altro manifesto, se ben ricordo, firmato da illustri personalità.

Era un appello, più mirato verso la montagna simbolo – il Pizzo d’Uccello –, che fu firmato tra gli altri da Vandana Shiva, Salvatore Settis, Alberto Asor Rosa, Tomaso Montanari.

Il Movimento non si limita a dire no, ma si è fatto anche promotore di una proposta per un diverso indirizzo economico per queste montagne.

Il movimento ha redatto un vero e proprio piano che si chiama PIPSEA – Piano Programma per lo Sviluppo Alternativo per le Apuane. È una proposta partita dal basso redatta insieme a esperti di vari settori che propone un futuro sostenibile per questa catena montuosa. In sintesi, il piano divide il territorio delle Apuane in tre zone. Una prima zona da salvaguardare integralmente, non ancora toccata dalle cave; una seconda zona, già parzialmente compromessa, in cui si andrebbe verso una conversione delle attività di cava, con lo sviluppo di attività agricole e artigianali; una terza zona in cui l’attività di escavazione continuerebbe anche se votata principalmente alla trasformazione in loco. Pur riducendo le attività di cava, il piano prevedrebbe comunque di salvaguardare i posti di lavoro attuali un po’ continuando l’attività e un po’ ripristinando il territorio. Con il piano si creerebbe un flusso turistico legato al marmo, con ad esempio un museo del marmo (che non esiste), che potrebbe attirare anche una parte del movimento turistico delle contigue Cinqueterre. Ma si imporrebbe anche un piano per la sicurezza per preservare la salute dei lavoratori: qui abbiamo un incidente in cava ogni due giorni.

Qualche forza politica ha fatto proprio il manifesto o ne ha tratto degli spunti?

No, nessuna forza politica lo ha preso in considerazione, e questo è il dramma. Nessuna forza politica ha mai preso in considerazione la possibilità di un intervento per ridurre l’impatto delle cave, nessuna forza, né di sinistra, né di destra e neppure il M5S di cui fa parte il sindaco di Carrara. Anzi, le proposte del M5S penso che abbiano fatto impallidire pure il PD, proponendo persino di tenere aperte cave che producono il 95% di scarti. E ti parlo di quel PD, di quel centro-sinistra che da sempre è alleato dei cavatori contro l’ambiente. Con ciò non voglio certo difendere il centro-destra. È che qui da sempre governa il centro-sinistra con i bei risultati che vediamo. Eppure, formalmente, la regione Toscana fa della tutela del paesaggio il suo punto di forza.

Quello che stupisce di questa attività di escavazione che continua senza sosta è che ci sono due strumenti di tutela, e cioè un Piano Paesaggistico e un Parco regionale.

Sì, però tieni presente che il Piano Paesaggistico, proposto dall’allora assessore Anna Marson su pressione anche nostra e di vari comitati locali, fu completamente stravolto da una pesante azione di lobby dei cavatori (https://iltirreno.gelocal.it/regione/2015/02/20/news/toscana-stravolto-il-piano-paesaggistico-l-assessore-marson-pronta-a-dimettersi-1.10902138). Il risultato è che qualche cava è stata chiusa, ma altre stanno per riaprire: una sorta di presa in giro. Potenzialmente, il Piano riuscirebbe a essere uno strumento atto a far diminuire l’attività di escavazione, solo che ci fosse la volontà politica di interpretarlo in senso restrittivo, cosa che finora invece non c’è stata. Il parco. Il parco fu costituito su grosse pressioni da parte di speleologi, escursionisti, alpinisti. Ma è un parco del tutto anomalo, forse l’unico parco in cui si tutela a macchia di leopardo. Praticamente si lasciano fuori tutte le aree di interesse economico, nel caso le cave: sono le cosiddette “aree contigue di cava”. Eppure ricordiamoci che c’è anche il riconoscimento UNESCO di geoparco, il Geoparco delle Alpi Apuane. Diciamo che qualche molto timido intervento da parte del parco c’è stato, ma è ancora molto poco a fronte del disastro in atto, tanto più grave oggi perché le escavazioni vanno a intaccare anche le falde acquifere, in un periodo come il nostro in cui l’acqua è un bene sempre più prezioso.

Parliamo della fine che fa il materiale di estrazione. Uno pensa che finisca nell’industria dell’edilizia come marmo o nei laboratori di scultura, e invece no.

Il principale business non è più il marmo, bensì il carbonato di calcio, settore in cui è qui molto attiva la multinazionale svizzera Omya (https://www.tvsvizzera.it/tvs/cultura-e-dintorni/economia-mineraria_a-carrara–sulle-tracce-del-marmo-della-discordia/44377160). Tutto cominciò quando Raul Gardini vinse l’appalto con l’Enel per fornire i filtri per le centrali a carbone, filtri che si realizzano appunto con la polvere di marmo, cioè il carbonato di calcio. Quello delle Apuane è purissimo e perciò molto richiesto. Così si giunge all’assurdo che si consente per legge, a fronte di una tonnellata di marmo scavato, di estrarne tre di detrito, 25 contro 75. Una volta, con i mezzi tradizionali, esistevano davvero i detriti dell’estrazione. Oggi, con le macchine che vengono utilizzate, non più. Quindi si estrae la pietra solo per destinarla a lavorazioni industriali come appunto i filtri, le paste, i dentifrici. E a essere ottimisti del marmo estratto solo lo 0,5% va all’attività scultorea.

Mi sapresti dire quante cave attive ci sono ma soprattutto quanti sono gli addetti?

L’assurdo è che non ci sono dati certi dell’occupazione nelle cave. L’unico dato davvero certo risale al 1996 e dava meno di 700 addetti diretti nelle cave. È una vergogna che dobbiamo denunciare: né la Regione Toscana, né la Camera di Commercio sono in grado di dirci quanti sono gli occupati reali oggi. Spesso i dati sono drogati perché vengono calcolati come lavoranti coloro che fanno prima questa attività, poi quell’altra, poi quell’altra ancora, ma in realtà sono sempre gli stessi. Si dice che le cave danno lavoro, ma non ti dicono quanto… In realtà si può tranquillamente affermare che ormai, con l’avvento dell’automazione, un bar dà più lavoro di una cava. Per quanto riguarda il numero delle cave, sono in totale – fra attive, dismesse, saggi di cava – circa 800, di cui quasi 200 attive.

La manodopera è italiana?

Non sempre. In alcuni casi sono cooperative locali con manodopera italiana, ma altre imprese utilizzano lavoratori stranieri e anche solo stagionali.

Avete ricevuto minacce?

Abbiamo ricevuto minacce, più di una volta, anch’io personalmente. La minaccia e la brutalità caratterizzano, purtroppo, questo tipo di economia: dalla violenza che per sua natura imprime contro l’ambiente fino al modo in cui tiene in scacco la politica locale e la stessa popolazione che, direttamente o indirettamente, si sente minacciata sia dalla presenza delle cave sia da una loro potenziale assenza visto che in alcuni luoghi, come Carrara, la classe dirigente ha puntato tutto sulla connessa monocultura.

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

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