Piemonte: difficile fare peggio di così

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Difficile fare peggio di così: da qualche giorno, il Piemonte è la Regione d’Italia con il maggior numero di casi attivi di coronavirus (positivi meno guariti e deceduti) rispetto alla popolazione, nonché la seconda per numero assoluto di contagiati totali, un dato su cui incide, in particolare, la Provincia di Torino, oramai la seconda del Paese avendo superato Bergamo e Brescia. I malati sono 356 ogni centomila abitanti (uno ogni 281 persone), il doppio della media nazionale. In Lombardia il dato ammonta a 343 casi ogni centomila abitanti (uno ogni 286 persone). Una tendenza in continuo incremento: da inizio aprile, in Piemonte l’indice dei positivi ogni centomila abitanti è cresciuto dell’83,1%, contro un incremento nazionale del 31,4%.

«Facevo il Presidente da sette mesi quando è scoppiata l’epidemia e la Sanità non la distruggi e non la costruisci in sette mesi: prendi quella che c’è», si è difeso il Presidente Cirio (FI), in un’intervista alla trasmissione televisiva «Uno Mattina» dello scorso 17 aprile. Un evidente tentativo di chiamare in causa la precedente Giunta Chiamparino.

L’argomento non è del tutto infondato, anche se, per comprendere davvero la situazione in cui il Covid-19 ha sorpreso la Sanità piemontese, occorre fare un balzo ben più indietro nel tempo. I tagli sono, infatti, iniziati vent’anni fa, per mano della seconda Giunta Ghigo (FI), il primo Presidente eletto direttamente dai cittadini. Da allora, non si sono più fermati: le amministrazioni Bresso (Pd), Cota (Lega), Chiamparino (Pd), con maggiore o minore velocità, hanno continuato a muoversi nella medesima direzione. E così, tra il 2010 e il 2017, il personale sanitario è sceso di oltre 3.800 unità, i letti di quasi 6.000 posti (crollando da 4,5 a 3,1 ogni mille abitanti), gli ospedali da 44 a 36. Nel contempo, i pazienti in carico a ciascun medico di famiglia salivano di oltre il 20%, avvicinandosi ai 1.300. Insomma: il centrodestra, di cui Cirio è sempre stato esponente, ha anch’esso le sue innegabili responsabilità nella riduzione della Sanità regionale.

Comune a centrodestra e centrosinistra è, altresì, il richiamare, a motivo di giustificazione degli ingenti tagli, la circostanza che tra il 2010 e il 2016 il Piemonte è stato soggetto a piano di rientro sanitario, unica tra le regioni del Centro-Nord (salvo una breve parentesi della Liguria). La vicenda è, tuttavia, opaca. Come scritto da Rosella Zerbi e Giorgio Cavallero sul n. 1/2017 di Torino Medica (la rivista dell’Ordine dei medici della Provincia di Torino), «per anni è stata convinzione comune che il bilancio della Sanità regionale fosse la causa dell’incredibile “buco nero” (disavanzo) di 7.258.726.834,62 [del bilancio regionale], ma analisi approfondite [basate sull’Indagine sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale condotta dal Senato] dimostrano che la Sanità piemontese non è mai stata in deficit dal 2005»: dunque, il debito era, in realtà, dovuto allo squilibrio di altre voci del bilancio regionale. Come se non bastasse – aggiungono Zerbi e Cavallero – «una parte dei finanziamenti provenienti da Roma per la Sanità sono stati negli anni utilizzati come cassa per spese extra-sanitarie […]. Si tratterebbe di 4,3 miliardi di euro […] destinati al Servizio sanitario regionale che sono stati utilizzati altrove». Insomma: difficoltà economiche regionali «misteriose e non chiaramente identificate», sarebbero state scaricate sulla Sanità, contribuendo ad aggravare i tagli di cui oggi i piemontesi pagano le conseguenze. Non sarebbe il caso che chi ha avuto la responsabilità di guidare la Regione in quegli anni facesse chiarezza?

In questo quadro s’inserisce l’azione della Giunta Cirio, una compagine composta da figure di modesto spessore politico, ai più sconosciute prima dell’insediamento, che ha reagito alla pandemia mostrando un’imbarazzante sudditanza psicologica nei confronti della Lombardia. Tutte le più errate scelte lombarde sono state riprodotte in Piemonte: la centralità attribuita agli ospedali, così trasformati in focolai di contagio; l’alleggerimento degli ospedali, rapidamente intasatisi, con spostamento dei malati nelle RSA e conseguente strage degli anziani pazienti; la costruzione alle Officine grandi riparazioni di un ospedale analogo a quello della Fiera di Rho, ultimata proprio quando la pressione sulle strutture ospedaliere iniziava a scemare; la sottovalutazione della risposta territoriale, sino allo scandalo delle centinaia di segnalazioni dei medici di base andate perdute; la mancata fornitura di adeguate protezioni al personale sanitario, mentre i vertici dell’unità di crisi facevano sfoggio di tute di protezione NBC (nuclear, biological, chemical).

Insomma: in una situazione del Servizio sanitario regionale già compromessa da anni di tagli bipartisan, il Piemonte ha pensato bene di copiare dai peggiori della classe. C’è da stupirsi del disastro odierno?

 

Gli autori

Francesco Pallante

Francesco Pallante è professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di "Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali" (Laterza 2016). Da ultimo, ha pubblicato "Contro la democrazia diretta" (Einaudi 2020) e "Elogio delle tasse" (Edizioni Gruppo Abele 2021). Collabora con «il manifesto».

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