Milano. Piccoli segni di comunità

image_pdfimage_print

Sabato 28 esco di casa al mattino, sono le undici. Vado a comperare un giornale qualsiasi: quelli economici li ricevo online da un amico e io sono abbonato al mio quotidiano preferito che leggo di notte quando mi arriva; mi dà il senso di anticipare il giorno. Lo compro lo stesso perché voglio che il mio giornalaio all’angolo sopravviva: scrive su facebook piccole storie di quartiere, ricordi personali e, con il coronavirus, storie e paradossi di insopportabile quotidianità. Stile tra Bukowsky ed Anthony Doerr con le dovute proporzioni. Davanti all’edicola in una piccola aiuola ha piantato un nespolo ormai adulto, un oleandro, due piccoli aghifogli recenti, qualche altra pianta che non so e altri fiori. Ha trasformato una aiuola senza vita e storia in un posto da guardare, fermarsi e, a tempo debito, mangiare qualche nespola. Un luogo.

Di fronte all’edicola, sull’altro lato della strada, e a trenta metri sulla sinistra da casa mia, da un po’ di mesi ha aperto una panetteria. Fanno anche bar e hanno dei buoni dolci … pochi ma buoni, che si rinnovano con il passare dei mesi. Hanno già altri due negozi. È stato rifatto l’interno: Bofill non c’entra, ma sopra il banco del pane c’è una insegna grande, lunga forse più di tre metri, PASTICCERIA, lettere grandi in stampatello, di plastica, o forse è bachelite, un po’ gialla e un po’ scura: vintage. Ha rianimato, insieme al giornalaio, il crocicchio ai confini di una piazza grande e alberata a Milano. Ancora, ma meno di una volta, storie di spaccio e di furti di auto. Bella piazza, grandi alberi ma pochi bambini di solito, e ora nessuno nelle due aree dei giochi, e molti cani nei recinti del Comune. Ottocento metri di circonferenza: lo so perfettamente, ci cammino in questa clausura per tre giri e l’app del telefono non mente. Di solito il mercoledì c’era il mercato, adesso da due settimane non c’è più. Un mercato grande che anima il quartiere ma è foresto… Viene molta gente da più lontano, è vivo ma non appartiene del tutto alle persone del quartiere. L’edicola e il panettiere sì; ormai si vede un po’ la stessa gente al caffè e i commessi, ti chiedono di te, ti salutano con un “ciao” inizialmente insopportabile ma ormai metabolizzato. Oltre i formalismi.

Il condominio, modesto ma pretenzioso, un tempo di più: con doppio ascensore (quello di servizio parte dal cortile con i box), borghese ma non del centro, marmi e passatoia, accostamenti discutibili ma scelte del costruttore e del progettista; due fratelli che avevano progettato l’ultimo piano, il sesto, per loro con due appartamenti più ampi e lastrici solari di proprietà e … futuri condoni; i piani più bassi con qualche condomino in più; in tutto 25 unità abitative, 28 caselle della posta per tre uffici a chiudere il numero. I condòmini isolati, ognuno di loro nella propria vita piccolo borghesi, benestanti, qualcuno con un po’ di soldi, commercianti all’ingrosso di derrate alimentari, quadri e dirigenti aziendali; in ascensore, occasione di incontri obbligati, silenzi impacciati e buongiorno e buonasera. In sei piani tre figli in giro per il mondo, uno in Australia, una in giro per l’Europa tra Londra e Ginevra, la terza, mia figlia, oggi nuovamente a Milano, ma per un po’ di anni in Brasile. Figli senza più rendite di posizione, ma con l’aiuto dei padri sembra che se la cavino, anche se non con lo stesso successo delle generazioni precedenti. Tutto fermo fino a due o tre anni fa: poi qualche morte ha liberato le vendite e qualche condomino nuovo più giovane e aperto in grado di ristrutturare l’appartamento, di dare del tu e di animare le tristissime riunioni condominiali, negli ultimi anni più conflittuali per questioni di terrazzi, riscaldamenti e derive anagrafiche.

Una grande e inaspettata novità di un nuovo condomino: una famiglia cinese. Ha comprato un ufficio con entrata dal cortile, prima un asilo nido privato, prima ancora qualche ufficio che, per troppo successo o insuccesso, comunque è durato poco. Oggi è un appartamento. Vista la donna una sola volta in una assemblea condominiale infuocata: con leggerezza è rimasta un’oretta, si è presentata parlando un buon italiano e poi se ne è andata gentilmente. Quando è uscita qualche commento contenuto: «come è l’Italia oggi…». L’altro giorno un cinese vecchio, acciaccato, faceva giocare nel cortile due bambini piccoli, una occasione di vedere un po’ meglio il cielo di quanto l’appartamento possa acconsentire.       

Ieri, vedo nella cassetta della posta qualcosa che non colgo esattamente, ma che è infilato anche dentro le altre cassette: una lettera di pubblicità, sembra. Comunque esco. La prenderò dopo, per andare dai miei fornitori di socialità: pane nero, una piccola Sacher monoporzione meravigliosa e il Sole24Ore col giornalaio che mi dice ridendo «oggi costa 2.50», e io dico «va bene lo stesso». Tanto non pago ora: saldo il conto quando lui me lo chiede.

Torno a casa, apro la cassetta: trovo una lettera, meglio un foglio A4 con ai bordi dello scotch che permette di chiudere a busta il foglio. Sul fronte, scritto in pennarello nero, «Andrà tutto bene», con un piccolo cuore tratteggiato all’interno con un pennarello rosso. E sotto «FORZA ITALIA E CINA», e un altro piccolo cuore un po’ più grande ancora, scritto con un pennarello rosso e un tratteggio incerto da bambino. Apro la busta: tre mascherine azzurre, interno bianco, come gli elastici.

Mi viene da piangere, e si ferma il pensiero. Poi mi torna in mente il giornalaio, e uno di quelli del pane che mi abbuona qualche centesimo per fare cifra tonda.

Gli autori

Riccardo Giorgio Zuffo

Riccardo Giorgio Zuffo è professore di Psicologia del lavoro, delle organizzazioni, dei consumi. Ha insegnato in vari atenei italiani. È il fondatore e amministratore delegato della società Telema, e si è occupato di temi relativi al disagio professionale e alle operazioni aziendali di natura straordinaria (m&a, downsizing). Ha scritto sul rapporto tra scienze sociali e sviluppi industriali del primo Novecento.

Guarda gli altri post di: