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02/03/2020 di: Tomaso Montanari
«Come a man destra, per salire al monte / dove siede la chiesa, che soggioga / la ben guidata sopra Rubaconte, / si rompe del montar l’ardita foga / per le scalee che si fero ad etade / ch’era sicuro il quaderno e la doga…». Questi famosi versi del XII canto del Purgatorio dimostrano che fin dal Medioevo i fiorentini erano affascinati dall’erta salita del “monte” dell’Oltrarno, già allora coronato dalla Basilica di San Miniato e che più tardi ospiterà anche il Forte di Belvedere, e vedrà stendersi sulle sue prime pendici il Giardino di Boboli. E dimostrano anche che, fin da allora, i fiorentini con un po’ di cervello avevano più di un dubbio sui pessimi governi di una città che Dante chiama – con terribile, amorosa, ironia – «la ben guidata».
Ebbene, cosa direbbe ora il Poeta? Ora che un’amministrazione prova a far violare quel colle, sacro alla storia e alla bellezza, nientemeno che da una teleferica per milionari che non si degnano di salirlo a piedi, e trovano evidentemente banale il taxi?
Pochi giorni fa, una compiacente Repubblica Firenze ha informato (con un titolo leggermente enfatico: «Funicolare Boboli-Forte: il sogno fa un passo avanti») che la giunta di Dario Nardella ha dato il via libera allo studio di fattibilità per «realizzare l’ascensore inclinato, tutto in vetro, trasparente e quindi a basso impatto ambientale» (!). L’“ascensore” – come viene pudicamente chiamato – è una richiesta del magnate argentino Alfredo Lowenstein. A Firenze egli è noto per aver comprato la culla della stirpe medicea, la celeberrima villa di Cafaggiolo in Mugello. Pur di favorire la trasformazione di quel monumento in un mega resort di extralusso, la Regione Toscana si sta inginocchiando (in quella che Don Milani chiamerebbe l’«idolatria della proprietà privata») fino a far spostare la Strada Regionale 65, che “interferisce” con il progetto privato. In un’inversione che più simbolica non si potrebbe, è ora la rendita immobiliare a guidare il progetto urbanistico, fino allo stravolgimento delle infrastrutture pubbliche. Ora quella stessa famiglia ha acquistato anche il pezzo più pregiato del patrimonio immobiliare pubblico del centro di Firenze, l’ex monastero medioevale di San Giorgio alla Costa, già ospedale militare. I ricchissimi proprietari di una catena di resort di lusso tra Florida e Caraibi hanno detto di averlo fatto per amore. Già: «la scelta della Toscana è stata una scelta d’amore – perché la bellezza e la varietà del suo territorio, la straordinaria ricchezza del patrimonio artistico-culturale delle sue città ci hanno da sempre affascinato. […] Ci ripetiamo spesso infatti quello che è il nostro primo intento: non essere i proprietari del Complesso Immobiliare di Costa San Giorgio, esserne solo i custodi. Un bene mobile o immobile si può acquistare, si può vendere, ma un’eredità storica e culturale non si può mercanteggiare, si può solo custodire, preservare, conservare per i nostri figli e per i figli dei nostri figli».
C’è qualcosa di oltraggioso in questo storytelling che trasforma una gigantesca (e legittima) speculazione immobiliare in un atto di amore. C’è qualcosa di insopportabile in questa idea che prendere un monumento e trasformarlo in un hotel esclusivo a mille stelle sia “valorizzazione”. C’è qualcosa di degradante nel marketing per cui la storia della città diventa un’esperienza spray, tra una spa e un drink.
Capisco che in un momento in cui la ricchezza dell’1% più facoltoso degli italiani (in possesso oggi del 25% di ricchezza nazionale netta) è oltre 30 volte quella del 30% più povero, gli addetti alla comunicazione sconsiglino gli speculatori di parlare di lusso.
Ma la verità è esattamente questa: Firenze diventa ancor più diseguale; il suo patrimonio pubblico viene privatizzato e messo al servizio del piacere esclusivo di pochi super ricchi; La Pira si rivolta nella tomba.
Tutto questo amore, infatti, si concretizza – ha denunciato il laboratorio politico Perunaltracittà – in «12 mila metri quadri di superficie adibiti per l’86% a struttura alberghiera di lusso, per l’8% a strutture commerciali (ristoranti, pizzerie, ecc.), l’1% a strutture commerciali di vicinato e per il restante 5% della superficie ad attività di servizio alla persona e alla residenza. In un’area sottoposta a vincolo archeologico e dal fragile equilibrio idrogeologico sono previsti vari interventi interrati: due autorimesse con accesso carrabile da Costa San Giorgio e da Via della Cava, ambienti di stoccaggio per le cucine e ambienti di servizio per la spa e il centro benessere, collegati tra di loro tramite un percorso carrabile interrato della lunghezza di circa 660 metri, con accesso da Costa San Giorgio». Insomma, sarà amore, ma il risultato assomiglia a uno stupro: Firenze perde un altro straordinario spazio pubblico, che non viene dedicato ai poveri, agli ultimi, ai cittadini comuni, ma all’incremento di una turistificazione che la riduce come Venezia. Al lusso privato super-esclusivo: quello che super-esclude. Un luogo dove i discendenti di Dante potranno entrare, ma a pulire le stanze e servire lo spritz.
E siccome i ricchi spesso sono anche pigri, non si potrà certo pretendere che contino sulle proprie gambe per vincere «del montar l’ardita foga». Da qui l’idea pazzesca di violare il Giardino di Boboli, cioè uno dei monumenti più importanti del Paese, con una teleferica cui si accederebbe varcando la porta di un museo, Palazzo Pitti: un vulnus impensabile, in una città in cui, giustamente, il proprietario di un palazzo vincolato non può mettere nemmeno il motore di un condizionatore.
Ciò che non si sarebbe comunque potuto fare per i disabili, ora sembra possibile per i milionari. Ed è risibile il tentativo dell’assessore Del Re di dire che la funicolare servirebbe anche per turisti e fiorentini: con cento suites di lusso a cui condurre, e con i venti milioni di turisti che ogni anno vessano la «ben guidata» Firenze, davvero si pensa che quell’ascensore potrebbe mai accogliere i residenti con le borse della spesa?
E qui si arriva al punto: nella città ormai in mano a capitali stranieri, la Firenze di Botty & Celly (copyright di Massimo Lensi), ogni nuova aggressione al patrimonio comune è anche una ferita alla democrazia. Non per caso il grande guru di questo massacro continuo, l’emerito sindaco Matteo Renzi, quando ancora non si era asciugato l’inchiostro della sentenza del Consiglio di Stato che ha finalmente bocciato l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, si è precipitato a rassicurare l’altro miliardario argentino che si è comprato un pezzo di città (appunto l’aeroporto), dicendo che «si farà comunque». Quello stesso giorno Renzi è andato da Vespa a invocare, come una cosa sola, il presidenzialismo e le Grandi Opere affidate a commissari straordinari: perché nella visione di questi solerti camerieri dei nuovi padroni stranieri, la democrazia è un ostacolo allo “sviluppo”. Che consiste poi nel continuare la svendita di Firenze, la «ben guidata».