Una politica per i beni comuni: la svolta della Cavallerizza a Torino

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Non si possono raccontare in modo critico le vicende recenti che riguardano il complesso monumentale di Cavallerizza Reale a Torino senza calarle nella complessa vicenda politica del movimento italiano dei beni comuni. Una vicenda che ha trovato la sua epifania istituzionale più significativa, avanzata e contestata nel capoluogo sabaudo i primi due giorni del mese di dicembre 2019. Il primo dicembre, l’Assemblea Cavallerizza 14.45 si costituiva in Comitato d’uso civico in forma pauperis (con come unico patrimonio il lavoro di commoning) eleggendo a maggioranza un’artista e occupante, l’architetta Giovanna Preve, a suo legale rappresentante. Il giorno successivo, il Consiglio Comunale approvava a stretta maggioranza dopo un’estenuante discussione intorno a oltre cinquanta emendamenti, il nuovo Regolamento per i beni comuni urbani, che per la prima volta fa entrare nel diritto pubblico italiano tanto l’uso civico sperimentato a Napoli all’Asilo Filangieri, quanto la Fondazione bene comune, sul modello del Teatro Valle Occupato di Roma (cfr. Aa.Vv, Teatro Valle Occupato. La rivolta culturale dei beni comuni, Derive Approdi, 2012). Sullo sfondo di questi due atti giuridici, l’uno di autonomia privata (Comitato) l’altro di normativa secondaria (Regolamento), strettamente collegati fra loro in questa fase della vicenda della Cavallerizza, si colloca il dibattito nazionale sui beni comuni, riapertosi con toni anche molto aspri durante la raccolta delle 50.000 firme per la Legge di iniziativa popolare (LIP) promossa dal Comitato Rodotà e oggi pervenuta in Parlamento per la riforma del Codice civile in materia di beni pubblici e comuni (www.generazionifuture.org).

La Cavallerizza era stata occupata il 23 maggio del 2014 e da allora era stata governata in forma assembleare (Assemblea 14/45) da un gruppo di artisti, di militanti e di intellettuali per denunciarne lo stato di abbandono e il processo di privatizzazione ad opera dell’amministrazione del sindaco Fassino. Pochi mesi dopo quell’occupazione, si concludeva a Roma con un lacerante “autosgombero” l’esperienza del Teatro Valle Occupato, che il 14 giugno del 2011 (giorno successivo alla proclamazione del risultato del Referendum sull’acqua bene comune) aveva aperto in Italia la stagione delle occupazioni artistiche costituenti. L’Assemblea del Teatro Valle, costituitasi infine in Fondazione Teatro Valle Bene Comune, era riuscita, anche grazie all’entusiasmo e al prestigio di Stefano Rodotà, ad aprire un dialogo molto costruttivo fra movimenti sociali e giuristi militanti e la riflessione giuridica sui beni comuni, resa itinerante dalla cosiddetta “Costituente per i beni comuni” ivi organizzata, aveva ispirato decine di esperienze di occupazione fra cui quella dell’ex Asilo Filangieri di Napoli ad opera di alcuni artisti del Collettivo la Balena il 2 marzo del 2012 (www.exasilofilangieri.it).

In questo contesto di lotte e dibattiti sull’autogoverno dell’arte e della cultura come bene comune, grazie a un clima favorevole determinato da un buon rapporto con l’amministrazione comunale partenopea che per prima in Italia aveva istituito fin dal 2011 un Assessorato ai Beni Comuni, l’Asilo Filangieri non solo riusciva a evitare lo sgombero, ma anche a ottenere un proattivo supporto del Comune (guardiania) diventando modello per altere esperienze di autogoverno a Napoli poi complessivamente denominate di “uso civico urbano”. Elemento caratterizzante l’uso civico urbano partenopeo, oltre alla benevolenza dell’Amministrazione pubblica, è stata la scrittura partecipata di una “carta di uso civico”, sul modello già sperimentato al Teatro Valle per la scrittura dello Statuto e del Preambolo della Fondazione. L’instancabile opera di promozione di questa nuova terminologia partenopea (non solo uso civico ma anche bene comune emergente) ha fatto sì che anche Assemblea Cavallerizza 14/45 si desse come obiettivo politico il riconoscimento di diritto pubblico di tale uso civico, a tal fine approvando la propria carta di Uso Civico il 23 maggio 2018, dopo dieci assemblee pubbliche domenicali all’uopo dedicate a seguito di una mozione del Consiglio Comunale Torinese di fine 2017.

Come ovvio, il più serio problema giuridico delle occupazioni costituenti, quelle cioè che riconoscono uno spazio (privato o pubblico) come bene comune, è come sostituire alla nozione di legalità quella di legittimità. In sostanza, un bene comune emergente è certamente occupato in modo formalmente illegale (forse anche penalmente rilevante), ma il suo governo come bene comune fondato su accessibilità generale, partecipazione civica, welfare di prossimità e solidarismo costituzionale, deve legittimare l’occupazione. L’operazione di legittimazione fallì con la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, nonostante la sua istituzione con rogito notarile, perché l’allora sindaco di Roma Ignazio Marino non ebbe il coraggio di difendere gli “illegali” dopo che il Prefetto rifiutò il riconoscimento della Fondazione. Sull’altare della legalità formale fu così sacrificata un’esperienza di riconosciuto valore artistico internazionale e oggi il più antico Teatro di Roma è tristemente chiuso.

Mentre a Napoli l’uso civico fu riconosciuto dal Comune (amico) pur in assenza di appositi strumenti regolamentari, a Roma proprio l’assenza di un Regolamento per i beni comuni fu utilizzata da un’amministrazione (ostile e spaventata dalla Corte dei Conti) come scusa per determinare lo sgombero. Fu così che l’idea del possibile utilizzo del Regolamento per i beni comuni urbani (con i suoi patti fra cittadini e amministrazione sperimentato a Bologna nel 2013 e oggi assai diffuso in Italia: cfr. www.labsus.org) come strumento di legittimazione di occupazioni illegali (tanto di spazi pubblici quanto privati) vide la sua inedita concretizzazione normativa (mai attuata per mancanza di occupazioni!) nella cittadina di Chieri. Qui il regolamento per i beni comuni approvato nel novembre del 2014 contiene la possibilità di proporre anche per fatti concludenti un patto di condivisione nella cura di un bene comune. Tale idea, ripresa nel nuovo Regolamento Torinese che la rende retroattiva in un contesto politico e sociale in cui certo le occupazioni (anche storiche) non mancano, è la chiave di volta per comprendere come l’Assemblea 14.45 possa essere legittimata e riconosciuta come interlocutore nel complesso iter di recupero di un bene comune importante come la Cavallerizza. In altri termini, a Torino dal 2 dicembre 2019, ogni occupazione volta a far emergere un bene comune può essere interpretata come una proposta di negozio civico per fatti concludenti, cosa che mette a disposizione della politica locale gli strumenti giuridici adeguati a gestire in modo negoziato e costruttivo I’emersione dei beni comuni (cioè degli spazi che la comunità di riferimento riconosce come comuni). Non solo: ben più difficilmente a fronte di un tale impianto un PM potrebbe iniziare seriamente un’azione penale contro chi occupa (rectius: chi propone un’offerta di negozio civico), come per esempio è avvenuto ancora di recente a Palermo alla Casa del Popolo sulla base proprio del Decreto Salvini (http://www.palermotoday.it/politica/siamo-tutti-casa-del-popolo-riprende-corpo-il-movimento-palermitano.html).

Paradossalmente, questo straordinario passo avanti di civiltà giuridica dei beni comuni è stato osteggiato da quella parte (non troppo numerosa per la verità) del movimento per i beni comuni ancora legata a una nostalgica visione pubblicistica, secondo cui strumenti come la Fondazione per i beni comuni (e lo stesso impianto del disegno di legge Rodotà) sarebbero strumenti di privatizzazione occulta. Si confonde purtroppo la privatizzazione con l’autonomia privata. Questa visione, scatenata da una strenua, quanto ideologica, difesa dello screditato concetto di demanio pubblico rispetto alla presa d’atto della sua totale impotenza storica rispetto alle privatizzazioni, non si accorge che la contrapposizione fra pubblico e privato è il prodotto più squisito di quell’ideologia borghese che nel contesto neoliberale sta privatizzando ogni bene pubblico e comune (cfr. U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, 2011). I beni comuni vanno difesi tanto nei confronti del pubblico quanto del privato e vanno governati nell’interesse delle generazioni future con strumenti che ne garantiscano la destinazione d’uso indipendentemente dall’amicizia o dall’inimicizia della maggioranza in carica. Ogni strumento di autonomia privata (che meglio sarebbe chiamare autonomia civica) deve essere sviluppato nella costruzione di nuove istituzioni del comune, per essere gramscianamente utilizzato in modo controegemonico. Così, se il Comune di Napoli potesse conferire l’ex asilo Filangieri in una Fondazione bene comune, avrebbe formalizzato per sempre la Carta d’uso civico (come Statuto) e nulla cambierebbe quando De Magistris lascerà Palazzo san Giacomo. Infatti, una nuova amministrazione ostile dovrebbe dimostrare la pubblica utilità e riconoscere un indennizzo qualora volesse espropriare la comunità di riferimento dei suoi spazi. Sarebbero aperte vie giudiziarie molto efficaci laddove l’attuale uso civico sarà invece alla completa mercé legale di un eventuale futuro sindaco ostile.

A Torino abbiamo saputo fare di necessità virtù, sfruttando le condizioni locali ma offrendo un contributo costruttivo al panorama nazionale che voglia servirsene. Infatti, l’incendio del 21 ottobre 2019, che ha distrutto un’ala della Cavallerizza, ha prodotto un’accelerazione alla vicenda fin qui narrata. Da un lato, prefetto e sindaca hanno aperto un tavolo di negoziato con l’Assemblea 14.45 al fine di evitare l’insensato uso della forza per liberare gli spazi, consentendo l’inizio dei lavori. Dall’altra, in assemblea è prevalsa la consapevolezza che resistere non era più né possibile né coerente con la cura di un bene comune di quell’importanza. Sarebbe stato un gesto puramente romantico e velleitario, che avrebbe avuto come solo esito il perdere l’interlocuzione e la credibilità conquistata in città con l’eccellente lavoro artistico e sociale che in questi anni ha fatto della Cavallerizza un’esperienza di commoning ammirata in tutta Europa. Tutto ciò grazie all’impegno degli artisti e nonostante un travaglio politico molto significativo determinato da personalismi di ogni tipo. Occorreva raggiungere un accordo che consentisse di evitare la distruzione di tanti manufatti artistici, libri e altri strumenti utilizzati in questi anni. Occorreva inoltre ottenere una garanzia il più possibile credibile di poter rientrare in tempi brevi, appena finita la messa in sicurezza di almeno una parte del grande complesso monumentale. Dopo quattro lunghe sedute di negoziato, l’11 novembre 2019 una delegazione di Assemblea 14.45 siglava un accordo che prevede fra l’altro l’assegnazione di spazi alternativi, il rientro in tempi ragionevoli in una porzione del bene, la costituzione dell’uso civico in parte dell’immobile di proprietà comunale, nonché la formalizzazione di un soggetto giuridico rappresentante l’Assemblea. Non senza dibattito anche duro e seppur senza essere riusciti a evitare lo sgombero cd. soft di quattro o cinque compagni dissenzienti, il primo dicembre con la costituzione del Comitato d’uso civico di cui sopra si è conclusa questa fase.

Cavallerizza non è tutta in proprietà del Comune (grosse porzioni sono in mano a Cassa Depositi e Prestiti, soggetti bancari privati e Università). L’uso civico, ancorché conquista importante, finalmente raggiunto per via di autonomia civica e presto per via regolamentare, non può essere il punto d’ arrivo. Infatti è uno strumento inadatto per egemonizzare il processo prossimo venturo che governerà il destino di un bene dalla natura e dalla struttura giuridica molto più complessa rispetto all’ex Asilo di Napoli.

Noi “vogliamo la luna”, sicché inizia adesso una nuova fase politica volta a scongiurare spezzatini, privatizzazioni ed eccessi di provincialismo. Sul piano culturale, il Comitato d’ uso civico 14.45 già spinge per un nuovo bando internazionale, sola soluzione culturalmente legittima per proporre una visione d’insieme davvero adeguata a un bene comune di questa importanza internazionale. Sul piano giuridico, ci stiamo già mettendo al lavoro per studiare soluzioni alte e ambiziose, capaci di dare concretezza alle soluzioni istituzionali approvate col nuovo regolamento. Tutta la Cavallerizza, tanto nelle parti pubbliche quanto in quelle private, deve essere garantita per le generazioni future con un assetto istituzionale coerente con la sua natura di bene comune, nello spirito del disegno di legge Rodotà e delle nuove possibilità di autonomia civica aperte dalla Fondazione beni comuni di cui al Regolamento torinese. Sul piano più importante, quello politico, occorre che tutto il movimento per i beni comuni superi divisioni ideologiche novecentesche, primogeniture e personalismi e sappia porsi come interlocutore critico, credibile e autorevole nell’affrontare la partita che ci attende, certo non pensando che qualche spazio occupato possa essere l’ombelico del mondo.

Gli autori

Ugo Mattei

Ugo Mattei è professore di diritto civile nell’Università di Torino e professore di diritto internazionale e comparato nell’Università della California. È inoltre coordinatore accademico dell'International University College of Turin. È stato vicepresidente della Commissione Rodotà presso il Ministero della Giustizia (2007) e presidente dell'acquedotto di Napoli, Arin SpA poi trasformata in ABC, Acqua Bene Comune Napoli (2011-14). Ha scritto, tra l’altro, “Beni Comuni, un manifesto” (Laterza, 2011); "Ecologia del diritto. Scienza, politica, beni comuni" (con Frjtioff Capra, Aboca 2017); "Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto privato" (con Alessandra Quarta, Aboca 2018).

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