La Cavallerizza, i rischi di speculazione e il “sistema Torino”

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«La retorica delle puttane»: viene in mente il titolo di un libretto dell’eroico dissidente del Seicento, Ferrante Pallavicino (arso vivo per ordine di Urbano VIII), quando si sente Luigi Di Maio tuonare contro i «nemici della contentezza». Una retorica calcata su quella renziana, per cui chiunque si opponesse ai trafori degli affreschi di Vasari per trovare Leonardo inesistenti, agli Sblocca Italia pensati per cementificare l’Italia, alle riforme pensate per asfaltare la Costituzione era solo un gufo «non stupito dal mistero», votato a fare «a pugni con la realtà e con l’innovazione». Allora Di Maio e i suoi volevano cambiare tutto, disposti a mandare letteralmente affanculo il sistema. Ma oggi, arrivati al vertice del sistema, lottano contro i «nemici della contentezza». Come Guido Montanari, l’ottimo vicesindaco di Torino licenziato in tronco da Chiara Appendino per una battuta corrosiva contro l’uso commerciale di un parco pubblico monumentale: quanto manca perché la giunta venga risucchiata in quello che Maurizio Pagliassotti ha descritto come il “sistema Torino”?

Tra tutte le questioni per cui era una garanzia la presenza di Montanari, urbanista del Politecnico e attentissimo alla battaglia per i beni comuni, una preoccupa in modo particolare: la sorte della Cavallerizza Reale, il grande complesso del maneggio reale sabaudo. Un prezioso libro recente dei professori del Politecnico Giovanni Brino e Giovanni Maria Lupo (La Cavallerizza. Stato di conservazione e proposta di manutenzione straordinaria, Celid) ne illustra nel modo più autorevole l’eccellenza storica e architettonica (che si impenna in strutture monumentali come la Scala a tenaglia, ma anche in luoghi meno ovvi, come lo spettacolare sottotetto del Maneggio), ne analizza lo stato di conservazione e formula una serie di proposte per il suo futuro. La Cavallerizza non va pensata come un palazzo, ma come «un pezzo di città in forma di palazzi concatenati secondo uno schema ortogonale»: un pezzo di Torino progettato e costruito – tra Sei e Settecento – da architetti come Amedeo di Castellamonte, Filippo Juvarra, Benedetto Alfieri. E come un pezzo di città andrebbe trattata: essa «richiede una committenza – argomentano Brino e Lupo – che sia attenta all’uso pubblico di quei grandi spazi, interni ed esterni, e che condivida interventi di recupero leggero e di riuso compatibile: quindi di tipo non invasivo e, in definitiva, economico».

Questa la via maestra: chiusa, però, dalla demenziale «vendita della Cavallerizza, voluta dal sindaco Piero Fassino, al Fondo di cartolarizzazione della Città di Torino che ne può disporre in modo speculativo, come di un qualsiasi bene immobiliare» (così la prefazione al libro, firmata proprio da Guido Montanari). In precedenza (2005) la Direzione regionale dei Beni Culturali ne aveva autorizzato – con un atto che il MIBAC avrebbe il dovere di ritirare – il passaggio dal Demanio al Comune, senza imporne il mantenimento in proprietà pubblica. Nel 2017 l’Unesco, attraverso la sua agenzia ICOMOS, aveva osservato «che il Comune di Torino è un’amministrazione pubblica, pertanto il trasferimento di competenza, da statale a comunale, avrebbe dovuto mantenere il complesso di proprietà pubblica. Tuttavia, dato che l’autorizzazione alla vendita emessa dalla Direzione regionale non specifica che la vendita fosse autorizzata specificamente a favore della Città di Torino, pare che tale autorizzazione apra la possibilità che la Reale Scuola d’Equitazione sia venduta o trasferita a soggetti privati». Sarebbe l’unico caso di un bene della lista italiana Unesco che rischia di diventare albergo di lusso o centro commerciale.

L’Unesco osserva ancora che le rassicurazioni che le erano state fornite non sono affatto sufficienti: «Pare quindi ci sia una significativa divergenza tra ciò che la parte Stato afferma si otterrà attraverso il Master Plan, in termini di accesso pubblico e coinvolgimento, e ciò che è stabilito nel Master Plan, che sembra suggerire che l’accesso sarà fortemente vincolato e che il Piano sia principalmente orientato alla valorizzazione economica della proprietà attraverso una privatizzazione degli spazi piuttosto che alla sua valorizzazione per comprenderne il significato e il valore aggiunto sociale e culturale che apporta alla società in generale». Il fatto che il Master Plan, evidentemente inviato all’Unesco, fosse quello realizzato dalla società privata Homers, su incarico della Compagnia di San Paolo, è un dettaglio rivelatore: non solo l’uso, e in futuro la proprietà, ma anche la progettazione del futuro di questo pezzo di città era stato privatizzata.

Di fronte a questo disastro, la Giunta Appendino stava provando a «riqualificare la Cavallerizza e portarla nella piena disponibilità pubblica per farne un fulcro di elaborazione culturale. […] Un processo lungo e irto di difficoltà che si situa sul margine incerto del rapporto tra proprietà privata e pubblica, tra gestione dall’alto e partecipata, secondo forme che mettono in discussione il diritto consolidato e si aprono a nuove pratiche ancora episodiche e caratterizzate da luci e ombre (penso all’Asilo Filangieri di Napoli, al Teatro Valle di Roma, all’isola di Poveglia a Venezia)». Sono ancora parole dell’allora vicesindaco Guido Montanari: ora che è stato epurato in quanto “nemico della contentezza”, il destino della Cavallerizza sarà un termometro importante: per capire se c’è ancora qualche speranza, o se la “contentezza” coincide col ritorno al “Sistema Torino”.

L’articolo è stato pubblicato anche su “Il Fatto quotidiano”

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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One Comment on “La Cavallerizza, i rischi di speculazione e il “sistema Torino””

  1. Gentile professore,
    sono solito apprezzare la Sua profonda documentazione a supporto delle Sue analisi delle opere d’arte. Per questo, mi sorprende la Sua disinformazione sul tema, a me molto caro, della ‘Cavallerizza’ di Torino per la quale –unitamente a colleghi architetti, docenti di sociologia urbana del Politecnico, dottorandi, restauratori, economisti, ecc.- ho speso oltre un anno di lavoro per produrre una proposta di rifunzionalizzazione che oscurasse quella della giunta Fassino, anche da Lei ricordata.

    Il professor Guido Montanari (che non è mai stato un urbanista ma uno storico), alla presentazione pubblica (2016) della proposta sopra menzionata, ha speso parole di elogio della medesima definendola “..la giusta alternativa” a quella dell’amministrazione allora in carica. Ma si era in periodo preelettorale e, vinte le elezioni, il Guido Montanari che molti di noi conoscevano e con cui avevamo condotto tante battaglie contro la gestione della politica urbana imperante, si dimenticò presto dei presupposti di quelle battaglie che, nel caso specifico della Cavallerizza, erano l’indivisibilità dell’intervento e l’unitarietà gestionale e di destinazione d’uso in senso solo culturale. Nessuno ‘spezzatino’, quindi, a nessun livello.
    Invece, appena cooptato dalla nuova sindaca, dichiarò che la cosiddetta ‘manica del Mosca’ era destinata ad ostello (o albergo di lusso) in carico alla CDP . Invece di adoprarsi per la riacquisizione, da parte pubblica, delle tre frazioni della proprietà (oltre la propria) per dar vita ad un progetto unitario ispirato all’unitarietà storica del compendio, il neo assessore, come prima mossa, ha sposato la realizzazione di un suo pezzo con cui permettere alla CDP di lucrare –come sua abitudine- sulla ‘valorizzazione’ della sua proprietà. Ed è così che Montanari ha dato il via alla separazione definitiva della suddetta manica e dell’ex tribunale militare da tutto il resto.
    Lo ha fatto rifiutando il progetto –di cui Le allego, per maggior dettaglio, la sintesi dei principi ispiratori- che faceva perno sui tre principi base ricordati: totale proprietà pubblica, unitarietà di funzione e di gestione, destinazione solo culturale. Un progetto nato in risposta alle esigenze delle istituzioni pubbliche culturali cittadine (in primis: Università e Politecnico) rilevate in precedenza dalla prof.ssa Forni del Politecnico (che mi pare Lei conosca). Un progetto –approvato da tutte le suddette istituzioni e, in alcuni casi, oggetto di entusiastica ammirazione – per il quale l’allora Rettore dell’Università si era reso disponibile a ricoprire il ruolo di coordinatore. Un progetto per il quale, tutto il gruppo che vi ha lavorato, non ha mai chiesto riconoscimenti economici né privilegi in sede concorsuale. Abbiamo ripetuto, al nuovo assessore, che il nostro compito era innanzitutto quello di vedere affermate le sue linee guida, il suo metodo ed il suo percorso che potessero costituire la base per la definizione dei bandi di ogni lotto d’intervento. Niente da fare: si approva e si dà incarico di progettazione per la sola valorizzazione per la CDP.

    L’unico altro impegno dell’assessore delle ‘5stelle’ è stato quello di garantire uno spazio di stabile uso a disposizione degli occupanti sulla base di una piattaforma teorico-giuridica intestata al cosiddetto ‘uso civico’. Al di là della condivisione di tale scelta; al di là della disponibilità, offerta da diverse delle istituzioni culturali interessate alla ‘Cavallerizza’, a dare spazio ad attività di gruppi spontanei richiedenti; al di là -e tacendo- di quanto il gruppo degli occupanti ha sin qui dimostrato, resta la conferma dell’ulteriore sconfessione e contraddizione del principio dell’unitarietà e delle relative soluzione e ricerca dell’equilibrio e dalla visione assolutamente d’insieme. Niente da fare. Anche qui, Montanari ha tirato diritto pur consapevole, tra l’altro, di attività e insediamenti abusivi degli occupanti stessi.

    Quanto agli ex docenti Brino e Lupo, da Lei citati, è loro costume offrirsi per incarichi di restauro sperando in affidamenti diretti. E’ strano che due ex cattedratici fingano di non sapere che sono incarichi pubblici che prevedono l’iter concorsuale che si genera dalla pubblicazione dei relativi bandi. Eppure, la loro insistenza, tutt’altro che onorevole, si è ancora recentemente ripetuta -ovviamente inutilmente- in occasione dell’apertura della cosiddetta ‘Sala Gonin’ della stazione di Porta Nuova a Torino per il FAI, della ristrutturazione dell’isolato del liceo D’Azeglio per la Città metropolitana, , sempre a Torino, ecc.

    Pertanto, il modo di sbarrare sul nascere ogni possibile speculazione, ogni perdita del valore e della funzione della proprietà pubblica, ogni riedizione –seppure in altra forma- del ‘sistema Torino’, poteva essere programmato e dimostrato da subito. Perché la ‘Cavallerizza’ di Torino si riaffermasse realmente bene comune (“Le corti della Cultura”, secondo la denominazione data dal nostro gruppo all’idea-progetto offerto gratuitamente alla nuova giunta), occorreva forse ben altra politica e competenza. E, soprattutto, più coerenza con le premesse e le promesse.

    ALLEGATO

    “Le Corti della Cultura”

    Progetto di rifunzionalizzazione degli spazi della Cavallerizza

    I PRINCIPI DI BASE
    Il progetto ha origine da quattro principi-base:
    – La conservazione dell’unità del complesso
    – La sua finalità altrettanto unitaria (quella culturale)
    – La sua totale permeabilità e trasversalità in senso comunicativo, organizzativo, funzionale
    – La sua apertura al contesto cittadino (a differenza della chiusura per cui è nato)
    L’idea esalta le corti quali elementi-cardine attorno i quali ruotano, si aggregano e qualificano le funzioni. Come altrettanti campi magnetici, esse attraggono interessi culturali -tra loro prossimi- e da essi fanno derivare la loro caratterizzazione. La suddivisione e specificità in corti tematiche, anziché dividere ricompone omogeneamente un intero quartiere dedicato alla germinazione e innalzamento della produzione di cultura. E’ un quartiere (una piccola ‘città’) aperta alla grande città con l’aggiunta di aperture sul retro del Teatro Regio e su via Verdi.

    IL PROGETTO UNITARIO DI GESTIONE
    Per tener fede a tale impianto unitario diventa indispensabile un programma di gestione unico, approvato e condiviso da tutte le istituzioni, enti ed organizzazioni culturali che faranno parte dell’intero ‘borgo’. Tutto ciò -è evidente- non è compatibile (se non estremamente più difficile) con lo spezzettamento in proprietà diverse -a seguito di cessioni in compra-vendita- di ciò che resta delle architetture di Castellamonte, Juvara, Alfieri. Pertanto, l’idea progettuale prende forma a partire dalla rinuncia alla vendita del bene pubblico, si concretizza sul restauro e sulla conservazione per il suo riuso con capitali privati cui riconoscere i proventi dalla gestione di tutte le attività ospitabili dallo storico compendio.

    DUE CARATTERI FONDANTI LE CORTI
    Le tavole indicano la distribuzione e quantificazione funzionale tra le varie corti (5) ed i vari piani (5 + sottotetti). Esse mettono in evidenza l’osservanza di spazi e strutture richiesti dai suddetti enti e istituzioni per i quali si rimanda all’allegato ‘CHE’ – Cavallerizza Reale (Cultural Hub for Excellences). Mettono in evidenza due caratteri fondanti ogni corte: 1) la non separazione tra Piano Terra e piani superiori; 2) la non separazione tra studenti di tutte le provenienze possibili (perché aggregabili secondo scelte di interessi).
    I primi tre piani ospitano i laboratori, le aule didattiche, i gruppi di studio, le assemblee, i servizi per la comunicazione, gli uffici amministrativi, oltre alle caffetterie e ai ristoranti che si aprono, salvo eccezioni, tutti verso l’interno delle corti.
    Gli ultimi piani sono a disposizione delle foresterie e alloggiamenti (una novantina, aumentabile con l’occupazione dei sottotetti). Si tratta di residenzialità pertinente le corti stesse perché riguarda l’ospitalità a visinting professor, ad artisti, professionisti, artigiani, ecc. tutti chiamati dalla struttura per il periodo del loro intervento. Considerata questa come prioritaria, non manca la residenzialità studentesca, tendenzialmente per i periodi necessari all’attività da esperire nelle corti, anche per favorire l’ospitalità di studenti di altre università italiane e straniere. Ogni corte, quindi, vive dell’omogeneità anche nel suo sviluppo verticale: una qualità ed una caratterizzazione idonee e utili al proficuo rapporto/confronto con gli altri centri di interessi rappresentato dalle altre corti.

    IL CARATTERE AGGREGANTE DELLE CORTI
    Attorno alla “Corte della Storia e della Conservazione” si potranno aggregare studenti dell’Accademia di Belle Arti, di Lettere ad indirizzo Storico, di Architettura ad indirizzo Storico, Urbanistico e di Restauro, idem per quelli di ingegneria. La corte propone loro gli apporti specialistici dell’Archivio storico, della Sovrintendenza alle Belle Arti e della docenza sul tema del restauro del Politecnico e del Centro di Venaria. Il sito della Cavallerizza, bisognoso di profondi ed estesi restauri, ha suggerito l’idea di essere interpretato e utilizzato come cantiere didattico per tale attività che, oltre alla suddetta docenza, potrebbe avvalersi -direttamente in loco- dell’imput e della verifica della ‘Soprintendenza ai Beni Architettonici e Culturali del Piemonte’.
    Attorno alla “Corte della musica, del teatro e della danza” si potranno aggregare studenti iscritti ai corsi di musica, recitazione, canto, danza ma anche studenti di varie facoltà che affrontano i problemi di progettazione e adeguamento di ambienti per il suono o che devono approfondire la storia del teatro, dei costumi, dei balletti, ecc. ecc. Agli studenti e corsisti, la corte propone le docenze del Teatro Stabile, del Teatro Regio, del Conservatorio G. Verdi facilitandone il coordinamento. E mette a disposizione, per le necessarie prove, il prestigioso ambiente del maneggio (progetto di B. Alfieri) adattato senza alterarne il disegno. L’annessa ‘Rotonda’ è nata come snodo di relazione e comunicazione proprio tra le varie corti ed il progetto intende confermare funzione e ruolo originari (nessun ‘foyer’).
    Attorno alla “Corte delle arti visive e del T.F.F.” si potranno aggregare studenti dell’Accademia delle Belle Arti ma anche dei licei artistici cittadini, della facoltà di Architettura, degli Istituti di design. Potranno avvalersi, oltre che della docenza delle istituzioni culturali di cui è previsto l’intervento, del concreto esempio dei prodotti e dell’organizzazione del “Torino Film Festival” che nella corte avrebbe la sua ideale cornice di rappresentanza.
    Attorno alla “Corte della progettazione, della creazione e dell’expo” si potranno aggregare studenti dell’Università e del Politecnico, dell’Accademia, degli Istituti di design, dei licei d’arte e degli istituti superiori di II grado in genere. La corte propone la docenza di valenti professionisti, artisti e artigiani di grande esperienza per favorire la nascita delle idee, dell’invenzione, favorendone la migliore realizzazione. La corte propone la sollecitazione derivante anche dalla presenza e compartecipazione dell’Ordine degli Architetti e dell’Urban Center su progetti programmati a scopo didattico e divulgativo. Questa corte si avvale della ricostruzione del suo quarto lato mancante con un edificio di trasparente (in cristallo) di altezza pari a quelli esistenti: i suoi piani bassi saranno dedicati all’esposizione –la più estesa e ricca possibile- della produzione culturale di tutta la ‘città della cultura’ che sta alle sue spalle; ospiterà –a cura dell’Urban Center- la comunicazione dei progetti urbani dell’amministrazione con lo spazio, l’evidenza (e la ‘trasparenza’, appunto) che essi richiedono; ospiterà i progetti- che la categoria degli architetti intende farne proposta di indirizzo.
    Questa ricchezza espositiva ‘della quotidianità’ si interfaccerà con quella certo non meno ricca delle mostre storiche organizzate dal ‘Polo Reale’ nell’ampia manica voltata che collega via Verdi alla ‘Rotonda’: un presidio del compendio museale metropolitano all’interno della Cavallerizza, a testimonianza dell’imprescindibile significato di quest’ultima di farne parte.
    Attorno alla “Corte dell’intercultura” si potranno aggregare studenti che, a partire da quelli dell’Università e a seconda dei progetti, possono essere del Politecnico e delle scuole medie superiori. Per tutti gli interessati sono disponibili gli spazi necessari al lavoro di creazione delle start-up di aziende di produzione culturale di tipo innovativo: dalle sale per piccoli gruppi a quelle fino a 200 posti, a quelle per proiezioni collettive, per la stampa, per l’archiviazione, ecc. oltre ai servizi di ristorazione e per incontri riservati. Ma anche questa corte, a dispetto della forma, non è un recinto chiuso. I suoi studenti, i suoi docenti ed esperti fanno parte –come tutti i loro colleghi- della stessa rete di gestione di un programma comune di continuo scambio – vitale per la cultura- delle persone e dei contenuti.

    LE ‘PAGLIERE’ CENTRO DELLA VITA SOCIALE DEL BORGO
    Nelle ‘pagliere’ sono previste tutte le botteghe: alimentari, di servizio alla persona, artigianali per la forniture e manutenzioni, ecc. Sono previsti i locali per il ritrovo e lo svago di giovani ed anziani. C’è spazio per servizi di livello sociale come un piccolo asilo ed un ristorante per la ‘mensa sociale’. L’ulteriore sistemazione di foresterie completa il quadro delle disponibilità. Pur perseguendo la volontà dell’apertura del complesso verso l’esterno, il progetto intende favorire il generale carattere di borgo circoscritto, non tradendo la propria fisionomia identitaria che gli deriva dalla storia.

    CAVALLERIZZA E GIARDINI REALI: GARANZIA DI EQUILIBRIO DELL’INSIEME
    L’aver privilegiato un asse diretto di comunicazione con i Giardini Reali ancor prima di sapere della loro riattivazione, testimonia dell’importanza e del ruolo che i giardini stessi hanno nell’impostazione del progetto: la considerazione che il paesaggio è cultura; che il dato naturale è essenziale e che ne va assicurato l’equilibrio con l’ambiente artificiale dell’architettura; che il recupero di una visione urbana secentesca non può fare a meno della sua completezza della quale i giardini sono componente essenziale irrinunciabile. Rappresentano la miglior cornice ed il miglior completamento, la conferma della volontà di perseguire la realizzazione di un unico insieme di ricerca, produzione ed estetica della cultura.

    Gruppo di Ricerca e Progettazione della Cavallerizza
    25.03.16

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