Sembrava ribellarsi anche il cielo, nei primi giorni di ottobre, alla notizia dell’arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano. È venuto giù il mondo. Oltre ai danni materiali anche dei morti. Strade impraticabili, ponti crollati.
Una manifestazione indetta nel piccolo comune della Locride così di corsa, senza una vera organizzazione che si facesse carico di tutta la logistica, rischiava di saltare per il maltempo.
Sabato 6 ottobre: la pioggia non si fermava insieme al numero dei pullman annunciati da Genova da Lecce, Brindisi, Roma, Potenza e Matera, da Napoli, da tutta la Calabria. Nella notte bombe d’acqua si sono scaricate ancora su Riace. Il giorno dopo una bomba di persone, venute con auto, treni, aerei dalla Toscana, dal Veneto, Piemonte, da Reggio Emilia…
Non si conoscevano ancora le accuse che già martedì mattina una marea di persone, compresi giornalisti, si ribellava facendosi viva, dichiarando il suo sconcerto. E la preoccupazione per il momento che stiamo vivendo.
Riace, un piccolo paese della Locride diventato il chiodo fisso del Ministro degli Interni insospettisce. Non sarà che proprio da questa terra martoriata e dimenticata nasce un riscatto e un insegnamento che rischia (finalmente) di scombinare tutto con la forza dell’autenticità? Riace un paese rurale che sembra fermo nel tempo è diventato, attraverso un’idea semplice e geniale allo stesso tempo (accogliere i richiedenti asilo per salvare il paese da uno spopolamento ormai avviato), un progetto conosciuto nel mondo. Nel 2009 un corto girato da Wim Wenders, nel 2016 la segnalazione del prestigioso magazine Fortune che inserisce il sindaco Lucano fra i 50 uomini più potenti del mondo. Premi ricevuti in Italia e all’estero, il film voluto dalla Rai e interpretato da Beppe Fiorello, fino ad arrivare alla copertina dedicatagli da Famiglia Cristiana. La Rete dei Comuni Solidali è stata sempre al suo fianco, passo a passo, dal 2004 e si può dire che lo ha accompagnato e sostenuto condividendone il percorso. Non è stata una passeggiata di salute perché il progetto era rivoluzionario in una terra notoriamente difficile.
Anche i fichi d’india e i vasi delle piante grasse fuori delle porte, sabato scorso sembravano intimoriti dal clamore, dal passaggio di tante persone, dalla presenza di Digos e carabinieri. Quella casa e quella finestra dove il sindaco si affacciava rappresentavano il luogo del cuore di tutte le persone che hanno trovato finalmente una motivazione per alzarsi in piedi e scendere nelle piazze. Solidarietà anche dall’estero: Parigi, Barcellona, Berlino. Ovunque una mobilitazione per “Riace non si arresta”. “Riace non S’Arresta”.
Già si parla del modello Riace che può e deve diffondersi ma deve rimanere estraneo e difendersi da certe dinamiche e pratiche autoreferenziali politiche che invece di allargare il consenso indeboliscono la mobilitazione.
A Riace lo stare insieme è diverso.
Fra i tanti commenti letti, un amico di Domenico Lucano scrive: «Sindaco tu hai fatto quello che noi abbiamo sempre ipotizzato stando seduti sul divano senza scomporre la nostra vita». Domenico si è giocato tutto. Nel suo saluto letto al termine della manifestazione dice: «Non ho rancori e rivendicazioni contro nessuno. Vorrei però dire a tutti che non ho niente di cui vergognarmi, niente da nascondere. Rifarei le stesse cose che hanno dato un senso alla mia vita. Vi auguro di poter avere il coraggio di essere soli e l’ardimento di stare insieme sotto gli stessi ideali».
Post scriptum. Nella lunga ordinanza che rinvia a giudizio operatori e mezzo paese (30 persone) il Gip non ha riconosciuto una serie di reati come la concussione, il falso, la malversazione parlando di «vaghezza e genericità dei capi d’imputazione», «di mancati riscontri e conclusioni indimostrabili o presunte». Nessun matrimonio è mai stato celebrato. La Procura ha annunciato ricorso al Tribunale del riesame.