Napoli. Stazione centrale, piazza Garibaldi e, intorno, il quartiere Vasto e l’area di Porta Capuana. Aree urbane confinanti con altri luoghi urbani a forte degrado socio, economico e culturale, nonché attraversati da una forte presenza di criminalità e forme diffuse di illegalità, italiana e migrante, come il quartiere di Forcella. Zone complicate, in cui la fortissima densità multietnica si incontra con altri forti problemi, quali l’assenza di servizi, la scarsa presenza di presidi istituzionali, l’abbandono urbano, le povertà diffuse, lo scontro tra le nuove forme di commercio etnico con quelle più tradizionali. Qui, come già avvenuto in altre città, i processi di rigenerazione urbana attivati da Grandi Stazioni su Piazza Garibaldi non tengono minimamente in conto le dinamiche, le risorse e le contraddizioni sociali che interessano la zona, limitandosi da una parte a spingere, anche fisicamente (togliendo spazi e servizi), la marginalità e il disagio verso altri luoghi (l’importante e non vedere per garantire decoro), d’altra parte a caratterizzare il contesto come un grande centro commerciale all’aperto, dove la relazione viene orientata a centrarsi sul consumo o, quanto meno, sull’osservare e il desiderare quello che magari non si può acquistare
Quartieri e zone urbane dove, nonostante i problemi appena descritti, la convivenza tra persone con background migratorio e italiani, se pur difficile, non era mai stata attraversata da dinamiche forti di conflitto e rifiuto, riuscendo a trovare sempre, grazie alla straordinaria capacità di Napoli e dei suoi cittadini di fare i conti e gestire la complessità, un suo equilibrio e una sua modalità di convivenza e gestione.
Ma negli ultimi anni le sciagurate politiche sull’immigrazione di tutti i recenti governi, centrate solo sul contenimento e sulla gestione dell’emergenza, hanno messo a dura prova tale equilibrio, facendo emergere per la prima volta, spinte di discriminazione e rifiuto, di ostilità manifesta e pubblica che non avevano mai macchiato la città e la sua tradizione di accoglienza.
Nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) di Vaso e Porta Capuana, sono stati collocati, negli ultimi due anni, tra il 55 e il 64 per cento di tutti i richiedenti asilo accolti in città. Per di più in strutture (spesso alberghi che lavorano sul vuoto per pieno – alcuni dei quali con l’indotto collegato con ditte in odor di camorra – o mega strutture fino a 250 posti) che quasi sempre non hanno né le competenze, né una tradizione nella gestione di servizi di accoglienza e che per questo riversano ogni giorno nei diversi luoghi del quartiere, dalle 8 del mattino fino alle 10 di sera, centinaia di migranti condannati a non far nulla. Una presenza che inevitabilmente ha prodotto una sensazione di invasione e insicurezza nel quartiere che inizia a essere preda dei mercenari, pericolosi e irresponsabili, della costruzione del consenso elettorale.
Insomma a Piazza Garibaldi, nel Vasto, come a Porta Capuana, le politiche di emergenza e contenimento degli ultimi governi e non solo dell’ultimo, hanno prodotto tre gravi conseguenze intrecciate tra di loro in una sorta di interazione, micidiale e negativa: il mancato rispetto e tutela dei diritti e della dignità delle persone accolte; l’invasione nella gestione dell’accoglienza di gestori profit che al centro mettono il profitto e non la qualità dell’offerta (con atteggiamenti spesso clientelari nei confronti dei decisori); l’aumento esponenziale del conflitto e dello spostamento verso atteggiamenti di chiusura e discriminazione di cittadine e cittadini non pregiudizialmente contrari all’immigrazione.
Che fare in questo contesto?
Non ci sono ovviamente bacchette magiche. Ma come cooperativa sociale Dedalus, da tempo impegnata in quei territori, abbiamo deciso di non stare a guardare. Abbiamo, infatti, avuto chiaro che il nostro lavoro non poteva continuare ad avere un senso se collocato in ambienti comunitari e sociali diffidenti e ostili nei confronti delle persone migranti e anche nei confronti nostri, perché visti come troppo amici di chi viene vissuto con fastidio e paura. E, ancora, che mai come oggi il lavoro sociale come il nostro, se davvero si vuole lavorare in un’ottica di cambiamento e di emancipazione delle persone accolte nei servizi, deve essere pensato e agito fuori dalle cornici troppo strette dei servizi e dei tecnicismi. Sapendo che se si rimane collocati dentro a tale contesto, non solo si indebolisce la nostra capacità di tutelare e promuovere diritti ma si rischia di colludere, magari inconsapevolmente e con buone intenzioni, con la pandemia razzista che sta contaminando il Paese.
Per questo abbiamo deciso di provare a parlare, confrontarci e lavorare in modo condiviso anche con chi non la pensa come noi; con chi è spaventato e con chi si sente abbandonato e non riconosciuto dalle istituzioni e dalla politica. Provando a trovare terreni di interesse comune; aprendo spazi di mediazione sociale e dei conflitti; riportando le narrazioni sul dato di realtà e non sulla sua rappresentazione; proponendo momenti e spazi di cultura, formazione e rigenerazione partecipata dei luoghi.
Da qui è nata una prima iniziativa pubblica di confronto con comitati di cittadini e organizzazioni di categoria attivi sul territorio a cui è stato invitato il presidente della Camera Fico. Ad essa ha fatto seguito un lavoro comune tra operatori sociali e della cultura, con rappresentanze dei commercianti e con forme auto-organizzate di cittadini che è sfociata in una lettera aperta, indirizzata allo stesso Fico e alle autorità locali, sottoscritta da noi e dal Coordinamento “I love Porta Capuana”, dal Comitato Orgoglio Vasto e dalla Comunity Psychology Lab – Università Federico II (associazioni che raccolgono cittadini e settori della società civile).
In essa si descrive la situazione e si formulano precise proposte operative, dirette al Prefetto e al Sindaco di Napoli finalizzate a
immaginare un percorso di rigenerazione urbana e sociale partecipata capace di coniugare l’attenzione alle sicurezza urbana e alla legalità, con la tradizione di accoglienza e di sforzo a non lasciare da solo chi è più fragile e in difficoltà che da sempre caratterizza la Città di Napoli. Vedendo nella storica connotazione multi-etnica della zona una risorsa importante di sviluppo e di rilancio delle economia locale, ma solo a condizione di porre un freno e di reprimere le forme diffuse di illegalità e inserimento in attività criminali che purtroppo continuano a segnare pesantemente il quotidiano del territorio e che vedono coinvolte, a fianco della criminalità italiana, anche alcune componenti, della popolazione migrante presente sul territorio. Componenti migranti che, per altro, a volte sono utilizzate come ultima manovalanza dalle organizzazioni criminali locali determinando in queste aree un’abnorme e violenta reazione dei residenti.
Le proposte riguardano interventi di tutela della legalità e della sicurezza e una diversa e più razionale sistemazione delle persone richiedenti asilo ma si assumono contemporaneamente impegni diretti:
Infine, da parte degli enti e delle organizzazioni presenti si è condivisa la disponibilità ad investire risorse proprie per collaborare al ripristino e alla rigenerazione sociale, urbana e culturale delle zone del Vasto di Porta Capuana e di Piazza Garibaldi prevedendo interventi e azioni che da un lato rilancino e valorizzino la vocazione turistico-ricettiva e commerciale della zona e, d’altro lato, sappiano comunicare un’idea di multiculturalità che non viene vissuta come problema o presupposto all’illegalità ma come occasione di bellezza e benessere collettivo e non problema.
Non conosciamo ancora i risultati di questo lavoro – delicato e già segnato da andate e ritorni – ma siamo sicuri che ritrovare linguaggi, argomenti e obiettivi condivisi per comunicare con le aree di popolazione attratte più dal rancore che dalla cura, sia oggi l’unica strada possibile per chi come noi pensa che lavorare nel sociale non sia “far del bene” ma impegnarsi per tutelare e promuovere i diritti di chi è più in difficoltà.