Di questi tempi vivo la sensazione urgente di diffondere il più possibile notizie, fonti, storie che possano se non altro tentare di scalfire la narrazione propagandistica e quindi mendace che viene propugnata sul tema delle migrazioni, in particolare nelle “sveltine dell’informazione”, quei gesti ormai automatici di apertura e scroll dei social network, mordi e fuggi prima di fare la doccia.
Penso che una via per intercettare l’attenzione sia mostrare esempi che evidenzino che sì, è possibile operare in maniera differente, al di là delle parole. L’accoglienza può farsi carne. È quello che accade a Riace, in Calabria, da tempo un modello di accoglienza fruttuoso, dove non solo non si chiudono i porti, ma si aprono case e botteghe. Qui italiani e stranieri migranti vivono insieme, lavorano e creano una comunità, mantenendo ognuno la propria cultura ma al tempo stesso contaminandosi.
Le scorse settimane per un articolo che è uscito poi su Repubblica, ho avuto modo di chiacchierare a lungo con un uomo speciale, che è Isidoro Napoli, Sisì per tutti, che da 10 anni con l’Associazione Jimuel Internet Medics for Life da lui fondata, offre assistenza medica via internet in varie missioni nel mondo. Da un anno Jimuel ha deciso di aprire un ambulatorio anche a Riace, nel centro del paese, dove un medico di base, un pediatra e una ginecologa mettono gratuitamente a disposizione il proprio tempo per offrire un servizio di supporto alla popolazione, andando incontro a chi ne ha bisogno, migranti e italiani. Chi non ha i mezzi per recarsi nell’ospedale più vicino, o allo sportello migranti, che non è a Riace. «Un supporto, non un’alternativa al Servizio sanitario nazionale» ci tiene a precisare Sisì. L’ambulatorio è potuto nascere grazie a una convenzione con la Asl di Reggio Calabria e alla collaborazione con lo studio radiologico Fiscer di Siderno, che ha finanziato l’avvio, e con il Comune di Riace che ha concesso gratuitamente i locali.
Successivamente alla pubblicazione dell’articolo, che titolava “A Riace l’ambulatorio dove si cura la povertà senza guardare la cittadinanza”, sui social si sono scatenati gli odi di molti, ma non tanto sul fatto in sé di accogliere e aiutare persone migranti, ma sul concetto specifico espresso nel titolo di “curare la povertà senza guardare la cittadinanza”. Non andare oltre il titolo ma prendersi il tempo per un commento al volo, come fosse un sanbitter, è una delle caratteristiche delle sveltine dell’informazione, che finiscono per concentrarsi sul dito e non sulla luna. Due sono gli aspetti su cui ci si è scatenati: il fatto che qualsiasi ambulatorio cura tutti al di là della cittadinanza, e aver scritto che qui non si cura la povertà, ma semmai i poveri.
La prima obiezione è di fatto vera, né era mia intenzione smentirla: in qualsiasi ospedale o ambulatorio italiano si curano tutti, senza guardare la cittadinanza. Ciò non significa però che un sistema formalmente funzionante sia concretamente inclusivo. In alcuni casi – spiega Sisì – è necessario andare incontro all’altro, non attendere solamente che si presenti alla porta. Se proprio vogliamo scomodare il fine filosofo che è stato Emmanuel Levinas, troppo poco conosciuto ai più, «io sono nella misura in cui sono responsabile dell’altro». A Riace per i “soggetti di lunga permanenza” lo sportello più vicino è a diversi chilometri di distanza dal centro abitato, e l’ospedale o anche solo il pronto soccorso sono ancora più lontani, specie per chi non ha un proprio mezzo.
La conseguenza di questo modello di accoglienza è che a Riace la popolazione sta bene. «Non si è mai visto nessun focolaio di malattie infettive a Riace – continua Sisì – e nemmeno la tanto citata scabbia. Attualmente stiamo cercando di capire chi fra la popolazione adulta, italiana e non, è stato vaccinato nel proprio Paese o in Italia e contro quali malattie, e stiamo costruendo delle cartelle cliniche per ogni persona che viene assistita dall’ambulatorio». In questo senso a Riace si curano i poveri e si contribuisce anche a curare la povertà, che passa sempre attraverso un senso di integrazione sociale, di accesso agevolato al servizio, di sgombero degli ostacoli.
E poi c’è la prostituzione, «un fenomeno ancora presente non a Riace, ma nelle zone limitrofe« spiega Sisì. L’ambulatorio di Riace non è infatti un servizio solo per chi abita nel paese: le porte sono aperte per chiunque lo desideri, anche dai centri vicini, centri di accoglienza compresi, soprattutto per le donne. «Non neghiamo che per noi l’avvicinare queste donne, unicamente per scopi sanitari è un processo ancora complesso e faticoso. Le donne non si fidano di noi perché hanno paura di venire schedate e al tempo stesso i loro sfruttatori sono recalcitranti a sottoporle a visita medica perché intuiscono che perderebbero parte del controllo che esercitano».
Quello che io personalmente sto imparando da persone come Sisì – e ce ne sono parecchie in Italia, per fortuna – è che non sono mai troppe le mani, le penne, le voci e i portafogli che si impegnano per contribuire a direzionare l’integrazione. E in alcuni casi nello stato attuale delle cose è l’impegno del piccolo che fa grandi differenze. Per queste persone di Riace sicuramente è stato così grazie alla figura del sindaco Domenico Lucano, che – non dimentichiamolo – il ministro Salvini ha definito “uno zero” per il suo impegno sociale.
«C’è il rischio che lo SPRAR decida, in sintonia con la prefettura e il ministero, di sospendere l’erogazione dei fondi per i progetti a lungo termine che hanno fatto di Riace un esempio mondiale di accoglienza e integrazione, – ci racconta ancora Sisì. – Se così fosse, se ciò dovesse accadere, non basterà più indignarsi con chi usa la burocrazia inumana contro gli “zero”, gli ultimi e i più deboli. Bisognerà guardarsi allo specchio, se si è ancora in possesso di una coscienza, e domandarsi: “io, che cosa ho fatto per impedire che questo crimine contro l’umanità fosse compiuto?”».