Orgogliosi eredi della civiltà alpina

image_pdfimage_print
Bassa Valle di Susa, vista dal Monte Caprasio

Cara Signora,

non la chiamo madamin, perché non mi sembra appropriato…

Le scrivo dalla Valle di Susa dove, come lei afferma in modo così altezzoso, dovremmo dedicarci all’allevamento di mucche ecc.

Vede, Signora, qui in Valle, le rammento, nonostante situazioni avverse, e non per ultima quella burocratica, sopravvivono, quasi eroicamente, gli eredi di quella che viene definita Civiltà Alpina. Sono giovani e meno giovani che hanno scelto di rimanere lassù, per viverci. Sono allevatori di mucche, capre e pecore, pensi un po’ … ma sono anche boscaioli, agricoltori, commercianti.

Quelli che hanno deciso di viverla, la montagna, non osservandola dai finestrini dei loro grandi SUV, salendo verso le piste da sci. Non per dormitorio, per non vivere in città, per poi andarci a lavorare. No. Sono uomini e donne che salgono con gli armenti ai pascoli alti, incontrando nebbia, pioggia, freddo, ma anche albe meravigliose di luce, tutti i giorni, feste comprese. Per scelta, certamente, ma determinata da un grande amore verso la propria terra, non lo dimentichi.

Eredi della Civiltà Alpina, dicevo. I loro predecessori, che sono anche i miei, hanno costruito case di pietra e legno in luoghi a volte inaccessibili. Case con architetture semplici, adatte al clima. Volte basse, finestre piccole, porte di legno spesso, grandi camini per cucinare e riscaldarsi. Fieno per le mucche a riempire solai, d’inverno, ma anche in funzione di isolante termico.

Hanno posato pietre per erigere i muri a secco dei terrazzamenti per ricavare campi da semina, vigne. Hanno tracciato un reticolo infinito di mulattiere e sentieri, per potersi spostare facilmente tra un abitato e l’altro. Mulattiere percorse in tutte le stagioni, sempre tenute in efficienza, usufruibili fin dal giorno successivo a una grande nevicata. Hanno scavato lunghi canali, a mano, passando attraverso rocce impervie, a centinaia, per irrigare campi e prati, tenendo puliti alvei di torrenti.

Abitare la montagna, cara signora, vuol dire scongiurare alluvioni, incendi, frane. I nostri vecchi raccontano che, essendo evidentemente una disgrazia la morte accidentale di una mucca, di un vitello, ad esempio per la caduta in un dirupo, per chi poteva allevarne al massimo due o tre, gli adulti del paese allestivano una sorta di trasportino dove, su drappi bianchi, veniva posato l’animale macellato e, passando di casa in casa, chiedevano un contributo, che nessuno rifiutava di dare, anche le famiglie meno abbienti. Era semplicemente fare Comunità, Solidarietà. Per non lasciare indietro nessuno. Nemmeno a forestieri e viandanti veniva negata una scodella di minestra.


Sacra di San Michele

Ebbene, signora mia, quelle genti, ciò che lei chiama “compostezza sabauda” l’hanno conosciuta, e anche molto bene, attraverso le cartoline precetto che, nelle varie epoche, sono giunte lassù. Quelle che intimavano ai giovani di scendere al “piano” per sottoporsi alla visita per l’arruolamento nel Regio Esercito. Per diventare reclute. “Pistapauta”, soldati del Re. Giovani forti, abituati alla fatica, alla dura vita in montagna, alle intemperie, con spirito di sacrificio. Perfetta carne da macello. Dall’Assietta, quella che cita orgogliosamente lei, quella dei “bugianen”, fino alle campagne della Seconda Guerra Mondiale, passando dal Monte Nero del Terzo Alpini, a Caporetto, nella Prima.

Tutti sono morti gridando “Savoia!”. Poco più che ragazzi strappati ai propri affetti, alla loro terra, alle proprie famiglie, costrette a piangere i propri figli e a non avere futuro, senza giovani braccia a lavorare la terra. Affetto e amore che, queste genti seppero regalare a quei giovani in divisa che dopo l’8 settembre del 1943, scelsero di salire in montagna, sbandati, ma decisi a combattere i nazifascisti, mentre il Re, quello elegante, sabaudo, fuggiva!

E assieme all’affetto, un tozzo di pane, un brodo caldo. Si dava rifugio, insomma, a rischio della propria pelle. Quanti caduti civili si contano, sulle nostre montagne! Senza la popolazione alpina, la Resistenza sarebbe stata un’altra cosa, ne sono certo. Ogni piccolo borgo conta le sue lapidi, i suoi monumenti, a ricordo.

Quindi le dico che, quando un giorno di tardo autunno, tra le vie dritte della sua Torino, scostando annoiata le tende di casa sua, noterà una folla arrabbiata ma festante, con bandiere trenocrociate, a difendere per l’ennesima volta la propria terra, ascolti bene!

Perché tra noi, in mezzo a noi, con noi, ci sarà tutta la gente di montagna che, ostinata, non ha mai smesso di marciare.

Gli autori

Walter Borla

Walter Borla è valsusino di Frassinere (Condove)

Guarda gli altri post di:

One Comment on “Orgogliosi eredi della civiltà alpina”

  1. Caro Walter,
    sottoscrivo ogni tua parola. Grazie!
    barbara debernardi

Comments are closed.