Introduzione
di Elisabetta Grande
È la domanda che alcuni studiosi di lunga data del sistema nord americano si sono posti in questa “talpa” di Volere la luna, affrontando temi diversi, ma legati da un fil rouge che mette a fuoco le dinamiche nascoste di un mondo che troppo spesso diventa un modello da seguire per l’Italia e per il globo intero.
Le talpe di Volere la luna portano in superficie ciò che vedono sottoterra.
Anzitutto, in questo caso, la paura, palpabile negli Stati Uniti, di cadere sempre più in basso, il senso di declassamento dei penultimi, che dal piano personale si riverbera sul piano internazionale. Ne tratta Alessandro Portelli, che ci mette in guardia contro i pericoli mortali che quel timore reca con sé. «Ciò di cui davvero dobbiamo aver paura è la paura stessa», disse profeticamente Franklin Delano Roosevelt agli americani nel suo discorso inaugurale il 4 marzo del 1933. A fianco, si portano alla luce gli effetti delle riforme del welfare che Trump sta inaugurando e che rischiano di impoverire ancora di più i già poveri (è il mio pezzo) e si fanno emergere le contraddizioni di un sistema scolastico che dai tempi di Brown v. Board of Education non dovrebbe più permettere discriminazioni basate sulla razza e che invece continua a separare i bianchi dai neri e i poveri dai ricchi (è il pezzo di Francesca Nicola).
Ma non mancano gli spunti sui cambiamenti possibili: l’illustrazione delle modalità, inedite e assai poco conosciute, di lotta dei lavoratori americani che seguono vie non convenzionali di resistenza (è Cinzia Arruzza che ce ne parla); il racconto di cose che i media non riportano o riportano solo in parte (si pensi al caso Monsanto di cui parla Ugo Mattei); le attese per le elezioni del 6 novembre prossimo e le dinamiche meno ovvie di un voto che potrebbe rivelarsi cruciale (affidate alla penna di Antonio Soggia).
«As a scholar it is my job to look in dark places and describe as precisely as I can what I see» («come studioso il mio lavoro consiste nel guardare dentro i luoghi bui e nel descrivere il più precisamente possibile ciò che vedo»), scrisse nel 1982, in A Common Law for the Age of Statutes, il nostro grande Guido Calabresi. Seguire il suo esempio e il suo suggerimento è ciò che con questa talpa abbiamo cercato di fare.