L’orologio della guerra e le luci della pace

La guerra in Ucraina prosegue senza che se ne veda la fine per responsabilità molteplici. Il costituzionalista Antonio Cantaro le ripercorre in un recente libro (“L’orologio della guerra, chi ha spento le luci della pace”) che ha il pregio di guardare anche al dopo con l’auspicio, tratto da “La pace perpetua” di Immanuel Kant che, nel mondo, un assetto multipolare sostituisca le vocazioni a una “monarchia universale”.

Dov’è la vittoria?

Tutti, nel campo occidentale, stanno cantando in coro appassionatamente l’inno alla guerra in corso invocando la vittoria. Quando più Nazioni si affacciano sul palcoscenico della storia e si agitano invocando la vittoria vuol dire che la pace non è a portata di mano. La storia ci insegna che la mitologia della vittoria non porta bene. Soprattutto non porta né la pace, né la giustizia.

«Proletari di tutti i paesi unitevi», oggi

L’unità dei lavoratori a livello internazionale è l’unico scudo contro lo strapotere delle multinazionali, che mette i poveri in contrasto tra di loro e produce le guerre tra gli Stati. La Fiom l’ha detto con chiarezza nel suo congresso rivendicando la scelta di non schierarsi con uno degli eserciti oggi in campo ma con i popoli ucraino e russo, cioè contro la guerra. È auspicabile che diventi una scelta di tutti i sindacati.

Perugia-Assisi, 23-24 febbraio: una marcia notturna contro le guerre

La notte fra il 23 e il 24 febbraio, a un anno preciso dall’invasione russa dell’Ucraina, marceremo in molti da Perugia ad Assisi. Sarà un modo per essere e mostrarsi pacifici, aperti al confronto e per testimoniare, col proprio corpo, la persuasione che un altro modo di pensare, di essere e di agire è possibile. E per dire che, mentre non c’è una guerra giusta, c’è una via giusta per uscire dalla guerra: cessare il fuoco, subito.

La Costituzione è l’antitesi del potere

La Costituzione è approdata a Sanremo con un monologo di Benigni alla presenza del presidente Mattarella. C’è poco da rallegrarsi. La nostra Carta, come diceva Calamandrei «è una polemica contro il presente, contro la società». Non va celebrata ma praticata. Altrimenti si assiste al festival dell’ipocrisia. Com’è per l’articolo 11, che non è «una poesia», ma un impegno contro la guerra, purtroppo disatteso.

Non sono solo canzonette

L’intervento nel festival di Sanremo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky non farà che veicolare parole di odio contro il nemico e di esaltazione della guerra. È per questo, non per la commistione tra politica e canzonette, che va evitato. Dalla musica infatti ci aspettiamo, come spesso è accaduto, parole di pace e di speranza e non messaggi di propaganda bellica.

L’escalation dell’invio di armi all’Ucraina porta in un vicolo cieco

Il conflitto armato in Ucraina è stato fin dal principio sfruttato per giustificare quello che può diventare il più massiccio aumento di spesa militare degli ultimi 50 anni: nel mondo e anche in Italia. Parallelamente è sempre più chiaro che la pace è una cosa troppo seria e importante per lasciarla in mano a decisori politici che vedono le armi come unica soluzione.

Il senso della pace

«Bisogna dare armi all’Ucraina perché la pace si fa tra uomini vivi», si dice. Curioso modo di argomentare: non sono le armi che assicurano quel risultato. Al contrario, solo una tregua immediata può garantire che si arrivi da vivi al tavolo della pace. Di più. La pace e il diritto alla vita si costruiscono solo impedendo ai fabbricanti e ai venditori di armi di condizionare i parlamenti e i governi di tutto il mondo.

Pacifismo radicale. Non c’è giustizia senza pace

La pace non è possibile conseguirla alimentando la guerra o richiedendo come sua condizione preliminare la giustizia. Il discorso va capovolto: non è possibile la giustizia, senza che vi sia la pace. È quest’ultima ad essere la precondizione affinché si possano risolvere le questioni con giustizia, che è sempre il frutto di un compromesso. Per questo non c’è alternativa a un radicale, e insieme pragmatico, pacifismo.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina è urgente

Il riconoscimento dello Stato di Palestina è possibile e urgente. È il primo passo da fare, è il segnale che la politica è tornata in campo per costruire la pace. Ancora una volta ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica, al Parlamento, al Governo italiano chiedendo che si riconosca lo Stato di Palestina per avviare una politica di pacificazione nell’intera regione medio-orientale.