Il trambusto sviluppatosi attorno alle “riflessioni” del generale Vannacci, di cui ignoravo l’esistenza e avrei volentieri seguitato a farlo, contenute in un “libro” che, guarda caso, ha subitaneamente scalato le classifiche online di vendita, ci interroga sul senso del limite e se ne esista ancora uno in ciò che comunichiamo al tempo dei social. Non mi riferisco tanto alla questione del ruolo pubblico del generale, che avrebbe dovuto indubbiamente osservare maggiore prudenza. Il tema è certamente rilevante, ma qui vorrei focalizzare la mia valutazione su quella sorta di “salvacondotto” che il virtuale garantisce, oltretutto in nome della “libertà di espressione”: questione sulla quale gli ultimi tre anni hanno segnato un cambiamento non particolarmente positivo, per dirla con un eufemismo, nell’attitudine nei confronti del “dissenso”.
Esiste un limite a ciò che si può affermare in pubblico e, soprattutto, cosa è pubblico all’epoca dei social? Di recente mi è accaduto di osservare che i social garantiscono ormai una sensazione di libertà assoluta che ci fa ritenere di poter dire ciò che vogliamo, senza freni, senza attenzione agli altri (https://volerelaluna.it/spazio-aperto/2023/07/27/social-o-sociale/). Un palcoscen(ic)o virtuale dove siamo i soli protagonisti, dove non interagiamo col pubblico pur cercandone il consenso, dove il nostro individualismo non conosce barriere. E può permettersi di dire ciò che vuole in nome della “libertà”.
Intendo affermarlo con nettezza: pur riconoscendo con crescente preoccupazione la costante compressione delle libertà di espressione individuale e collettiva in nome di emergenze alimentate ad arte, ritengo che la libertà compromessa da un contesto come questo non si possa e non si debba recuperare sul piano virtuale, permettendosi di affermare ciò che si vuole, offendendo le sensibilità altrui, legittimando intolleranza e razzismo, prendendo la parte del “dico ciò che tanti pensano, ma non hanno il coraggio di dire”.
Esiste un limite oggi? Esiste ancora una morale comune all’epoca dei social? E, se c’è, è presidiata dai gestori privati che, poi, con i social fanno profitto, anche con situazioni come queste? Non sono mosso da intenti moralistici, né automaticamente attribuisco questo degrado al ritorno del fascismo (argomento che pare buono per coloro che – e non sono pochi – non hanno nulla da dire, se non slogan atti a celare un tragico vuoto), ma a me un mondo dove non esistono più limiti, soprattutto se questa assenza produce profitti, fa sempre più orrore, con buona pace di chi invoca il mainstream e la dittatura del pensiero unico ogni tre per due. Anche stavolta, temo, perché non ha niente da dire di alternativo.